Sebastiano Triulzi, ཿil manifesto 18/1/2006)., 18 gennaio 2006
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GUARE John. Nato a New York (Stati Uniti) il 5 febbraio 1938. Drammaturgo. Ha scritto all’età di undici anni i suoi primi tre testi teatrali, che furono rappresentati da alcuni amici in un garage
GUARE John. Nato a New York (Stati Uniti) il 5 febbraio 1938. Drammaturgo. Ha scritto all’età di undici anni i suoi primi tre testi teatrali, che furono rappresentati da alcuni amici in un garage. L’anno successivo, come premio, i genitori gli regalarono la prima macchina da scrivere, una Royal. Nel 1952 fu folgorato dalla lettura delle Tre sorelle di Cechov - «quando sei giovane c’è tutta quella malinconia...». Si formò dapprima alla Georgetown University e poi alla Yale School of Drama. Nel 1968 pubblicò il suo primo atto unico, Muzeeka, e due anni più tardi giunse il primo successo grazie a The house of blue leaves, che vinse il New York Drama Critics Circle Award come miglior testo teatrale americano. Nel 1972 decise di portare in giro per i parchi di New York un adattamento shakesperiano, il musical I due gentiluomini di Verona, che venne rappresentato nel retro di un camion e che ebbe un tale successo da approdare ben presto a Broadway. Poco meno di dieci anni dopo ricevette dall’Accademia americana delle arti l’Award of Merit per l’intero corpus delle sue commedie. Sempre nell’81 scrisse la sceneggiatura di Atlantic City, il film di Louis Malle vincitore a Venezia. Nel 1990 venne messa in scena la sua commedia più nota, Sei gradi di separazione, da cui venne tratto un omonimo film - fu lui a scegliere il regista e a scriverne l’adattamento cinematografico - diretto da Fred Schepisi con Donald Sutherland e Will Smith. «[...] ”[...]Quando una mia commedia ha trovato chi la produce, incomincio subito a scriverne una nuova. Così appena ne va in scena una, ce n’è già un’altra che posso proporre. In questo modo, se le recensioni non sono buone, non posso dire a me stesso che non scriverò più. E invece, se sono positive, mi rallegro del fatto che ne ho una nuova forse anche migliore della precedente. il mio metodo. come tenersi una stanza alla bisogna, sempre pronta. Una commedia è una casa dove vivi per un po’ di tempo” [...] Sei gradi di separazione è basato su un episodio di cronaca [...] ”[...] è una storia capitata ad un mio amico. Nella realtà il giovane nero protagonista si chiamava David Hampton, ed è morto a trentanove anni di aids, nel luglio del 2003. [...] L’ironia nella commedia è che veramente esistono questi gradi di separazione a meno che non sei nero. Per la società americana bianca il nero semplicemente non esiste. E quando esiste è perché si è trasformato in quello che i bianchi pensano che dovrebbe essere. In questo caso, il figlio di una star del cinema appartiene all’ideal-tipo del nero accettabile. Non c’è razzismo se sei una star. Poi la formula ha avuto successo. Ne hanno fatto perfino un film porno. Si chiamava Sei gradi di penetrazione [...] L’immaginazione è diventata una questione di stile. Una cosa futile. Aggiungo che ciò di cui più mi piace scrivere è di cosa siamo disposti a fare e dove siamo disposti ad arrivare pur di non affrontare quello che siamo. In fondo è il tema anche di Orfani d’agosto, che è una commedia sul bisogno di sfogare le proprie insoddisfazioni, e sul tentativo di guardarsi dentro per non essere estranei a noi stessi. [...] Amo il teatro perché dipende letteralmente dal dialogo. Un drammaturgo ha poche pagine a disposizione, mentre invece un romanziere ha tutto lo spazio che vuole. Insegno drammaturgia a Yale, e dico sempre ai miei studenti che scrivere dialoghi è una vera e propria arte, come il ricamo o il merletto. come catturare una stanza piena di sconosciuti e farli diventare una cosa sola. , in senso metaforico, una esperienza di vita o di morte che si instaura tra il palcoscenico e il pubblico. [...] sono stato dieci anni in analisi e posso confessare che ogni giorno che andavo dall’analista mi sembrava un giorno meraviglioso. Riuscivo sempre ad incolpare gli altri delle mie disgrazie”» (Sebastiano Triulzi, ”il manifesto” 18/1/2006).