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 2006  gennaio 14 Sabato calendario

Storia delle cooperative

"Ai Soviet 200 lire: ne hanno tanto bisogno". Il Sole 24 Ore 14/01/2006. Tagliare i benefici fiscali alle cooperative non è un’idea del tutto nuova. Ci pensò per primo Antonio Starabba, marchese di Rudinì, capo del governo italiano sul finire dell’800. Esattamente il 27 febbraio 1898 varò un regolamento che escludeva dall’esenzione della tassa sulla vendita al dettaglio quei beni che fossero commerciati nei locali delle cooperative e "quando la distribuzione non sia fatta a fine di lucro o di speculazione, cioè sia fatta al solo prezzo di acquisto". Ma a di Rudinì il gettito fiscale interessava assai poco, gli premeva invece chiudere i locali pieni di anarchici e socialisti. La storia sappiamo come finì: mandò Bava Beccaris a sparare sulla folla, poi si dimise e l’attacco alle coop finì in nulla. La prima cooperativa di consumo nasce a Torino nel 1854, e a leggere i documenti ufficiali le finalità sono chiare. Se la spinta iniziale è la lotta al caro-prezzi, via via si delinea un movimento, a forte matrice politica, con un progetto imprenditoriale che non sarà poi così diverso da quello vagheggiato da Giovanni Consorte. Nel 1865 il giornale fiorentino "Il Proletario", gran sostenitore della cooperazione, scriveva: "Se le cooperative di produzione rappresentano la prima elementare autodifesa del lavoratore e se l’immorale usura esercitata dalla borghesia esige la fondazione di società di credito, l’anarchia completa e lo sfrenato aggiotaggio a cui è abbandonato il commercio, consiglia agli operai la fondazione di società cooperative di consumo". Una sorta di anti-banche, insomma. Che oggi una banca vorrebbero addirittura scalarla. E la lunga corsa del movimento cooperativo - ben descritta nel libro "La cooperazione di consumo in Italia", di Vera Zamagni, Patrizia Battilani e Antonio Casali (Il Mulino, 2004) - coglie i molti punti di contatto con la realtà di oggi, che vede il movimento e la sinistra impegnata in una sorta di psicodramma collettivo. Il legame con la politica è un fatto, e già allora nei comitati centrali se ne parlava a viso aperto. Lo stesso Vladimir Ilych Lenin, nell’agosto 1910 al congresso di Copenhagen della II Internazionale, presentò a nome delle delegazione socialdemocratica russa una relazione in cui si sosteneva che "le cooperative proletarie di consumo migliorano la situazione della classe operaia perché restringono il campo dello sfruttamento dei commercianti intermediari di ogni tipo, influiscono sulle condizioni di lavoro degli operai che lavorano nelle aziende dei fornitori e migliorano le condizioni dei dipendenti". Da Lenin al fascismo. Nel 1935 un primo "caso Bnl" per le coop. "Emblematico" quello che accadde alle Cooperative operaie di Trieste, protagoniste in quell’anno di una ricapitalizzazione a opera della Provincia, del Comune (proto-socialismo municipale?) e, appunto, della Banca nazionale del lavoro, denominazione assunta dal 1928, rispetto alla precedente Istituto nazionale di credito per la cooperazione (e infatti anche in anni recenti sarà chiamata dagli addetti ai lavori Bancoper). Cosa accadde nella cooperativa triestina? La nomina del presidente divenne appannaggio del ministro delle Corporazioni, la Bnl entrò nel consiglio di amministrazione e i soci videro dimezzato il numero dei propri consiglieri. Alla fine un decreto trasformò le Cooperative operaie in ente morale e tutto finì. Di Bnl se ne parla anche alla fine della Grande guerra, quando il movimento cooperativo appariva irrobustito rispetto all’inizio del decennio. Infatti, specie nel comparto del consumo, "aveva conosciuto i benefici dei finanziamenti dell’Istituto nazionale di credito per la cooperazione". Allora i due soggetti, coop e Bnl, viaggiavano d’amore e d’accordo, e i nemici erano altri: commercianti, agrari, industriali. "Maturòl’idea che la cooperazione, sempre più articolata attraverso le strutture consortili, rappresentasse un modello economico che traeva le proprie energie da un intreccio illiberale con il potere politico, anche perché le varie organizzazioni autogestite erano dichiaratamente animate da un’ideologia di riferimento". Certo, all’origine questa era la cifra delle iniziative, non solo nel territorio della sinistra. Scriveva nel 1906 don Enrico Giovagnoli sulle sue coop bianche, poi decadute verso il 1910 per la crociata antimodernista di Pio X: "La cooperazione non ha solo lo scopo di ripartire degli utili e di vendere le derrate a metà prezzo, ma è altresì un potente ausiliare alla preparazione di uno stato nuovo che bisogna meritarci con degli sforzi perseveranti e dei sacrifici". C’è, in nuce, quel "di più di valore etico, sociale e ambientale" di cui parla nel 2002 Pierluigi Stefanini, allora presidente della potente Coop Adriatica, socio-chiave di Holmo, e oggi nuovo numero uno di Unipol. Lo sforzo di oggi è superare la zona grigia tra politica e affari. Nel ’21 invece si metteva a verbale. di allora una storia - come si direbbe oggi - di dazione in denaro: la cooperativa di Malcantone, estrema periferia bolognese, deliberò all’unanimità di "mandare lire 200 ai Soviet, che ne hanno tanto bisogno". Carlo Marroni