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 2006  gennaio 12 Giovedì calendario

La demografia debole. La Repubblica 12/01/2006. Nel tanto discorrere sul divario tra Nord America ed Europa, sulla dinamica crescita della prima e il passo incerto della seconda, si dimentica spesso il fattore principale

La demografia debole. La Repubblica 12/01/2006. Nel tanto discorrere sul divario tra Nord America ed Europa, sulla dinamica crescita della prima e il passo incerto della seconda, si dimentica spesso il fattore principale. Gli Stati Uniti continuano ad avere una demografia con i "conti in ordine"; i genitori mettono al mondo due figli in media. Nell´Europa dei 25, i conti sono in deficit, la natalità è bassa e se negli Usa i figli di tre coppie possono mettere su una squadra di pallavolo, da noi si debbono mettere d´accordo i figli di quattro famiglie (o addirittura di cinque, nelle zone a più bassa natalità). Passiamo dal gioco al lavoro: nella Ue a 25 nel 2005 c´erano, tra i 20 e i 25 anni (in entrata nel mondo del lavoro) quasi 30 milioni di giovani; nel 2025, nelle stesse età, ce ne saranno poco più di 23; negli Stati Uniti da 21 milioni nel 2005 si crescerà a 23 nel 2025. Molto del futuro sviluppo dipenderà dalla velocità di formazione delle nuove leve di lavoro, in declino dell´1 per cento all´anno nella Ue-25, in aumento dello 0,5 per cento negli Usa. Proprio quel punto e mezzo che separa, guarda caso, la crescita prevista per il 2006 nelle due aree (si veda The Economist poll). Sul tema della crescita Europea i risultati di un esercizio condotto per la Banca Mondiale con un giovane collega austriaco (Johannes Koettl) forniscono qualche spunto di meditazione. Le forze di lavoro in Europa sono in tendenziale diminuzione non solo per effetto di una demografia debole, ma per altri tre fattori: i giovani cominciano a lavorare tardi; le persone mature smettono troppo presto; le donne stanno nel mercato del lavoro assai meno degli uomini. Le cause di questi fenomeni sono ben note, le diagnosi complesse e non unanimi: tuttavia si può dire che le politiche possono far molto per mutare la situazione. Ma possono incidere fino ad annullare gli effetti della debole demografia? E´ proprio per verificare questo che è stato intrapreso l´esercizio col quale si è voluto verificare l´effetto di tre possibili politiche (intraprese sia separatamente, sia congiuntamente) volte a far sì che prima del 2050: a) i tassi di attività nelle varie età, nel complesso della UE-25, si allineino a quelli dei paesi "più virtuosi" (dove si lavora di più); b) che i tassi di attività femminili pareggino quelli degli uomini (ci sono vicini certi paesi dell´Europa del nord); c) che l´età media all´uscita dal lavoro cresca di 10 anni. Sia detto di passaggio che mentre gli obbiettivi a) e b) non sono impossibili, il c) appare fantascientifico alla luce delle relazioni industriali correnti. Lo è forse di meno se considerato alla luce dell´aumento della durata della vita. Vediamo i risultati, nell´ipotesi che gli obbiettivi vengano centrati nel 2050. Ebbene, a quella data – se le porte rimanessero chiuse all´immigrazione e se la propensione a lavorare fosse la stessa di oggi – le forze di lavoro europee diminuirebbero a 160 milioni, dai 227 attuali (-30 per cento); nel caso che una sola delle tre politiche avesse successo, nella migliore delle ipotesi (aumento di 10 anni dell´età al pensionamento), il declino si dimezzerebbe. Solo se tutte e tre le politiche andassero a buon fine si avrebbe un lieve incremento a 235 milioni (+4 per cento). Ciò non sarebbe sufficiente però né per la Germania, né per l´Italia, né per la Spagna che subirebbero una contrazione compresa tra il 3 e il 9 per cento. Il relativo equilibrio nel numero dei lavoratori che si otterrebbe centrando i tre obbiettivi contemporaneamente (evento difficile come un triplo salto mortale) si verificherebbe per una compensazione tra la sensibile diminuzione dei giovani ed il forte aumento degli anziani. L´età media delle persone al lavoro aumenterebbe da 39 a 47 anni. Insomma, un ristagno invecchiato. Le considerazioni fatte per l´Ue a 25 si estendono, più o meno, agli altri paesi dell´Europa orientale ed alla Russia la cui demografia è perfino più debole di quella del resto del continente. L´orizzonte tratteggiato è noto da tempo. Esso richiede una rivoluzione su tre fronti, in Italia più che altrove. Il primo è quello di operare perché divenga fatto normale che la donna, anche quella con figli piccoli, lavori. Intendiamoci, questo è già un fatto "normale", nel senso che si verifica frequentemente. Ma non è "normale" per la somma di ostacoli, di intralci, di difficoltà – grandi e piccole – che la donna (e la famiglia tutta) deve superare per rendere effettivo questo diritto fondamentale. Il secondo fronte concerne l´estensione della vita lavorativa: oggi quasi un tabù ma destinato ad essere gradualmente eroso alle radici man mano che nuove generazioni in buona salute entreranno in quella che definiamo vecchiaia e che tra mezzo secolo costituirà quasi un terzo del normale ciclo di vita. Prendere atto di questa tendenza si dovrà, prefigurando la riorganizzazione della società (e questo sarà rivoluzionario). La terza rivoluzione riguarda l´immigrazione e lo status degli immigrati. La politica deciderà quanti dovranno essere ed eventualmente le loro qualità e prerogative. Ma qualsiasi sia la politica, essi saranno molti di più, e le seconde (e terze) generazioni non potranno esser tenute fuori dalla porta. Questo significa un vigoroso processo d´integrazione ed un modello condiviso d´integrazione: il primo costa risorse, il secondo solide proposte. Per ora non ci sono né l´uno né l´altro. Massimo Livi Bacci