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 2006  gennaio 17 Martedì calendario

La forza centenaria dei Beretta sta nella loro medietà, Ventiquattro, dicembre 2004 «Conoscere l’altro e se stessi: cento battaglie senza rischi»

La forza centenaria dei Beretta sta nella loro medietà, Ventiquattro, dicembre 2004 «Conoscere l’altro e se stessi: cento battaglie senza rischi». I Beretta di Gardone Val Trompia potrebbero scolpire questa frase di Sun Tzu, il maestro taoista autore del famosissimo saggio sull’arte della guerra, in una delle facciate della loro austera residenza: pietre bianche squadrate l’una sull’altra come l’una dopo l’altra, dal 1526 a oggi, si sono succedute le quindici generazioni di questa famiglia. Il tempo, a Gardone Val Trompia, è una sequenza di nomi: da Bartolomeo (classe 1490) a Carlo Alberto Beretta (nato nel 1997 a New York e con cittadinanza italo-americana), una dinastia silenziosa di cui solo i valtromplini recitano a memoria vita, morte e miracoli. Quelle che più contano sono le loro opere - archibugi, fucili, pistole, mitragliatori - custodite nelle teche di noce massiccio, esposte anch’esse l’una dopo l’altra, cesellate, lucidate, praticamente scolpite nel ferro. Sono armi, è vero, ma qui nessuno ci fa caso. Sono prodotti, prima di tutto. Un impasto di galena, fluorite e siderite, i minerali di cui sono fatte le montagne della Val Trompia e dai quali si ricava il ferro. E poi sono oggetti di rara perfezione che costringono il neofita a mandare giù un idioma nuovo, un lessico che svela un codice culturale fatto di bascule, bindelle, strozzatori e tenoni. Parole forgiate a mano da generazioni di valtromplini, quelli che i Beretta ringraziano in ogni comunicato ufficiale usando un appellativo d’altri tempi: Maestranze, sempre con la maiuscola. Sono armi, direbbero i pacifisti, armi che uccidono, armi che difendono, armi che sparano ai tordi o al piattello. Ma sono pure armi che uniscono: i collezionisti George Walker Bush e John Forbes Kerry sono divisi su tutto, non sul sovrapposto Beretta SO9, compagno di caccia inseparabile per entrambi. Ci vogliono mesi e mesi del lavoro di maestri armaioli, maestri calcisti (gli operai che lavorano il calcio del fucile) e maestri incisori per produrre un fucile così. Per comprarlo basta avere tanta pazienza (i tempi d’attesa sono intorno ai due anni) e un portafogli che possa sborsare da un minimo di 25 mila a un massimo di 110 mila euro. I fucili Beretta sono famosi per la facilità con cui si brandeggiano (altro verbo del lessico valtromplino), ma pochi sanno che ci vogliono 550 ore di lavoro con un piccolissimo scalpello a mano, il bulino, per incidere sulle bascule le scene o i soggetti richiesti dal committente. Gli americani, che sono i più fantasiosi, non si accontentano dell’ornato floreale, delle scene di caccia, di temi esotici o animali in oro. Spesso pretendono che gli incisori riproducano l’immagine della moglie o della compagna. Esercizi di stile che fanno sorridere gli operai, ma non il capostipite della dinastia, Ugo Gussalli Beretta, allevato in azienda da due zii severissimi che d’accordo con la sorella, sposata con un Gussalli, ne fecero un capitano d’azienda. Questo signore sessantenne con il viso sereno è l’espressione della medietà bresciana, un impasto di cattolicesimo, senso del dovere e opinioni dettate sempre dal buon senso. I Beretta, nei momenti più difficili, attingono a piene mani da questa medietà. Ugo Gussalli Beretta abbassa la voce: «Le armi sono nate per difendere e proteggere. Il loro uso sbagliato è legato alla natura, spesso malvagia, degli uomini. Non ho mai voluto che i miei ragazzi giocassero con fucili e pistole». Con fucili e pistole non giocherà neppure il piccolo Carlo Alberto, sette anni, figlio di Franco, secondogenito di Ugo Gussalli. A Gardone è vietato giocare alla guerra, ma l’apprendistato di Carlo Alberto comincerà quest’inverno con qualche battuta di caccia. Nonno Ugo ne è convinto: la caccia è maestra di vita. i boschi avvolti nella nebbia mattutina delle Prealpi padane sono state il fondale naturale dell’iniziazione di ogni Beretta. Lo saranno anche per Carlo Alberto. A patto di rispettare un codice etico che non va mai violato: sparare solo alle specie cacciabili, offrire sempre una chance alla preda e non sottovalutarla mai. A nonno Ugo questo è stato insegnato e nonno Ugo questo insegnerà. Per quante generazioni ancora un Beretta alla guida della Beretta? Ugo Gussalli sorride: «Se l’avessero chiesto duecento anni fa ai miei predecessori, nessuno avrebbe puntato un centesimo sulla continuità della dinastia». andata come sappiamo: il cento per cento della holding nelle mani della famiglia, 2.500 dipendenti, 46 negozi nelle città più importanti dei cinque continenti, 370 milioni di ricavi nel 2003. E i concorrenti, Franchi e Benelli in testa, prima acquisiti e poi risanati. Un discorso a parte meriterebbe il legame con gli Stati Uniti. Ugo è buon amico di George Bush padre, e il mercato americano, storicamente è quello di gran lunga più profittevole. La fabbrica del Maryland, con 725 operai, è la logica conseguenza di questa presenza, come attestano i frequentissimi viaggi in America dei Beretta. Ma gli Usa sono il Paese che ha fatto trasmigrare le armi nell’immaginario, fosse solo quello cinematografico. Un immaginario che i valtromplini hanno tradotto in opere a modo loro. La migliore fabbrica di revolver del mondo, quelli del Far West e dei duelli al sole, è proprio in Val Trompia. Una tradizione che nasce negli anni Sessanta, quando un operaio della Pietro Beretta, Aldo Uberti, aprì una fabbrichetta che riproduceva fedelmente le colt a tamburo. Nel giro di pochi anni, Uberti è diventata la fabbrica più affidabile al mondo. Su queste montagne dovette passare un paio di mesi Sergio Leone, l’inventore degli spaghetti-western, e a Gardone - oggi che, morto Uberti, la fabbrica è stata acquisita dai Beretta - piovono commesse degli americani appassionati di queste pistole senza tempo. Le strategie le fanno sempre loro: Ugo, Pietro e Franco. Padre e figli. Ma appena si sfiora l’argomento che potrebbe introdurre alla constatazione di leadership saldamente in pugno a questa dinastia (22 Polizie in giro per il mondo usano le pistole Beretta e pure alle olimpiadi di Atene i fucili Beretta hanno vinto sei medaglie, più di ogni altra casa costruttrice), Ugo Gussalli si schermisce istintivamente: «Stare al passo con il mercato non è facile: negli ultimi dodici anni abbiamo cambiato faccia alla fabbrica, smontato pezzo per pezzo le vecchie macchine e sostituite con quelle tecnologicamente più avanzate. Ci siamo difesi bene. Pure gli altri Paesi, però, hanno fabbriche d’armi di prim’ordine». Probabilmente è una regola che i Beretta hanno nei cromosomi, quella prudenza atavica che condividono con i cacciatori. Oppure, c’è una saggezza molto più antica, quella medietà cattolica che alle volte può fare il paio con una delle massime taoiste alla Sun Tzu: «Se siete i più forti, mostratevi deboli«. Mariano Maugeri