Antonio Galdo Economy, 16/12/2004, 16 dicembre 2004
Riello, all’antica è bello, Economy, 16/12/2004 Venduta e ricomprata, nel giro di quattro anni. Nel marzo del 2000, il 50 per cento della Riello, leader mondiale nella produzione di bruciatori e impianti di riscaldamento domestico con un fatturato di oltre 511 milioni di euro, finì al fondo americano Carlyle
Riello, all’antica è bello, Economy, 16/12/2004 Venduta e ricomprata, nel giro di quattro anni. Nel marzo del 2000, il 50 per cento della Riello, leader mondiale nella produzione di bruciatori e impianti di riscaldamento domestico con un fatturato di oltre 511 milioni di euro, finì al fondo americano Carlyle. Qualche settimana fa Ettore Riello, con le sorelle Roberta e Lucia, ha liquidato i soci e s’è ripreso il controllo del gruppo. «L’ho fatto per non buttare una storia industriale di quasi 100 anni» dice «e perché noi imprenditori dobbiamo reagire, altrimenti tra qualche anno il made in Italy non esisterà più». I fondi sono soci ingombranti? «Per loro contano la finanza e il fatturato: il prodotto è relativo». Avete litigato per l’acquisto della Baxi, il gigante inglese del settore? «Non era un acquisto, ma una fusione, e alla fine ci saremmo ritrovati con il 10 per cento di un’azienda straniera. A quel punto ho detto: se devo fare l’investitore, preferisco la Borsa. E abbiamo ricomprato». Una lezione utile anche per i colleghi? «Bisogna aprire gli occhi quando si firmano contratti con i fondi d’investimento ed essere accompagnati da ottimi avvocati. Quanto alla struttura di comando delle aziende, è venuto il momento di smontare una montagna di luoghi comuni». Per esempio? «Mandiamo via gli amministratori delegati che vogliono fare i padroni e pensano solo alle stock option. Recuperiamo il vecchio e leale direttore generale». una sorta di restaurazione del capitalismo familiare italiano. «La chiami come vuole, ma è quello che serve. Senta cosa mi ha raccontato un noto industriale veneto. Il suo amministratore voleva spostare l’azienda di 150 km. Per avvicinarla alla propria casa. E come la mettiamo con i figli e i nipoti? In famiglia abbiamo tre maschi e tre femmine. Ci siamo dati cinque anni per studiare un’apertura alla nuova generazione. Magari dividendo ruoli e pezzi del gruppo». Come è cambiata la sua vita da quando ha ricomprato l’azienda? «Sento di fare una scommessa con la stessa passione di mio padre. Poi scarico la mia esuberanza in montagna e in elicottero. Ho il brevetto e qualche volta vado negli stabilimenti più distanti». Con le aziende familiari si può affrontare il mercato globale? «Abbiamo un’unica arma: la nostra specificità. Che si difende con il lavoro dell’imprenditore e della sua squadra e con quello che hanno tolto e devono restituirci. Inflazione e moneta debole». Non bestemmi. «Mica dobbiamo tornare a livelli sudamericani! Però non possiamo restare impiccati ai parametri di Maastricht». E il cambio? «Con il dollaro a questi livelli, le nostre aziende sono a rischio sopravvivenza». Parlando di concorrenza si pensa alla Cina e al suo mercato. «Finora il sistema Italia in Cina non si è né visto né sentito». Però si sono visti i cinesi in Italia. «Le faccio un caso concreto: qui vicino sta morendo il distretto italiano delle concerie. Capisce? Morendo. La concia cinese è prodotta con costi della manodopera che tutti conosciamo e con scarichi inquinanti che finiscono nelle falde. Mentre i nostri imprenditori, giustamente, hanno fatto investimenti per adeguare gli impianti alle norme europee. In queste condizioni non possiamo competere». Dunque, dazi sull’import dalla Cina. «Mettiamo una tassa sociale. Chi produce in Cina, ed esporta, deve pagare una tassa a un fondo per compensare i vantaggi di costi e i danni che crea a tutto il sistema economico, sociale e ambientale». Tra gli aiuti che chiedete c’è anche l’abbassamento delle tasse. «In Italia il sommerso è spaventoso, un vero buco nero che sottrae ricchezza al Paese e distrugge la concorrenza». Come si affronta il sommerso? «Con il rigore americano: chi evade le tasse va in galera ed è isolato nella comunità, come un vero delinquente. Ma chi paga le tasse non è massacrato come in Italia». Per la ripresa dei consumi, bisogna anche aumentare le buste paga. Giusto? «Per ogni 100 euro che un mio operaio si mette in tasca, io ne pago 250. Una parte di questa differenza credo sia giusto, se non indispensabile, farla finire nelle tasche dei lavoratori». Antonio Galdo