Francesco La Licata La Stampa, 03/12/2004, 3 dicembre 2004
Totuccio Contorno scappa dalla galera da tutta una vita ma ci torna sempre Breve biografia di un ”saccunaru”, La Stampa, 03/12/2004 Irredimibile Contorno
Totuccio Contorno scappa dalla galera da tutta una vita ma ci torna sempre Breve biografia di un ”saccunaru”, La Stampa, 03/12/2004 Irredimibile Contorno. Di nuovo inguaiato, di nuovo coi ferri ai polsi, anche se «beneficiato» dei «domiciliari». Tutta la vita ha trascorso tentando di mettere distanza tra lui e le sbarre del carcere. Ha fatto entra ed esci da quando era ragazzino e batteva i giardini di Ciaculli e Croceverde, ora a razziare i beni abbandonati nelle campagne, ora a trovare qualche soldo da investire nelle sigarette di contrabbando. Questo era il «business» degli Anni 50 e 60. E lui, Contorno Salvatore, classe 1948, diploma di terza media (forse), ma fegato da vendere e grande fame da saziare, si agitava parecchio per entrare nel giro. I «grandi», gli adulti mafiosi, osservavano e registravano. Ogni tanto dovevano ricorrere alla voce grossa per frenare l’eccessiva virulenza del giovane «saccunaru» (ladro di campagna), vero padrone del territorio della borgata, ma - alla fine - non potevano che esser contenti per come stava riuscendo la «formazione» di Totuccio. Non era ancora maggiorenne (allora ci volevano 21 anni), quando si conquistò il nomignolo di ”Coriolano”, personaggio di un feulleiton popolare coevo dei Beati Paoli. Un omaggio alla «professionalità» di Totuccio: coraggio, rapidità, intuito ed ineguagliabile fiuto del pericolo. così, Totuccio. Tutto istinto e riflessi: se gli arrivi alle spalle, lui ti sente. Se è ancora vivo, lo deve al suo istinto, specialmente dopo che si è fatto pentito e sulla sua testa i corleonesi posero una taglia che arrivò anche al mezzo miliardo di lire. Certo, non sarebbe mai potuto arrivare alla cima della piramide di Cosa nostra: poca autonomia di pensiero, scarsa capacità di pianificazione strategica. No, Totuccio è uomo d’azione, perfetto per il giorno dopo giorno e per il ruolo di gregario che sa proteggere al meglio il capo. Dopo il pentimento, mitizzato da un presunto incontro con don Masino Buscetta, l’altro grande pentito ispiratore del «salto della quaglia» di ”Coriolano”, Totuccio fu davvero l’uomo più ricercato di Palermo. A cercarlo erano fior di killer del calibro di Pino Greco (’Scarpuzzedda”), Filippo Marchese detto ”mulinciana” (melanzana), Pino Lucchese e Mario Prestifilippo, il gruppo di fuoco che aveva portato avanti la «mattanza» mafiosa degli Anni 80. Ma ”Coriolano” fuggiva sempre, più veloce di una lepre. Qualche volta rispondeva al fuoco (Greco si salvò grazie ad un giubbotto antiproiettile), qualche altra si limitava a scansare le bombe, come quella volta che - fuggiasco a Roma dove cercava il boss Pippo Calò per ucciderlo - si salvò dal tritolo perchè mise in moto l’auto con un telecomando a distanza. Ecco come è arrivato integro alla soglia dei 60 anni e con un passato tutto da raccontare. A Palermo si ricorda ancora il suo ingresso nell’aula bunker, il giorno della testimonianza. Dalle gabbie, uomini inferociti gli gridavano: «Infame e sbirro!». Ma lui, per nulla intimidito, replicava: «Infami siete voi che avete tradito Cosa nostra». Già, perché Totuccio non ha mai rinnegato la favoletta della mafia nata per aiutare i poveri. Quindi cominciò a sciorinare uno «slang» tanto incomprensibile da indurre i giudici a ricorrere all’ausilio di Santi Correnti, esimio linguista dell’università di Catania. Non lo intimidì neppure l’ironia di don Michele Greco, il ”papa”, che lo derise ricordandogli le allusioni della borgata sulla madre. Totuccio replicò, descrivendo il «padrino» come uno «sbirro», figlio di un mafioso tanto inaffidabile da aver denunciato l’autore di un omicidio. «Uno così - commentò Coriolano - non poteva neppure entrare in Cosa nostra». Ad un certo punto della stagione antimafia, Totuccio fu «prestato» alla polizia americana. Se lo ricordano ancora, a Brooklyn, quel matto che andava in giro con l’immancabile camicia «hawaiana» ed una improbabile parrucca dai riccioli rosso tiziano. Tornò in Italia e gli fu consigliato di cambiare «look». Ciò che non gli riuscì (e forse non gli riuscirà mai) di cambiare, fu la vocazione a mettersi nei guai. Nell’89 lo troviamo impelagato in una oscura storia di omicidi nel triangolo di Bagheria. Lui, Totuccio, era dato per «superprotetto» negli Usa e, invece, dormiva in una roulotte sul lungomare di Trabia, con la pistola sotto al cuscino. Sospettato di avere a che fare con qualche cruenta eliminazione in zona, fu scagionato da accurate ed inequivocabili perizie balistiche. Chi lo aveva riportato a Palermo? Lui disse che era stato l’Alto commissario Domenico Sica, una lettera anonima molto interessata e sospetta, invece, indicava come «mandanti» fior di personaggi dell’Antimafia del calibro di Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro. Sono in molti ad odiare Salvatore Contorno, anche in ambito istituzionale. Oscuro, l’attentato (fallito) di cui rimase vittima mentre percorreva in auto la strada di Formello (aprile 1994). Il telecomando fece cilecca, ma l’episodio entrò a pieno titolo nella cronologia della strategia stragista di Cosa nostra, iniziata nel ’92, proseguita con le bombe del ’93 e con la mancata ecatombe allo stadio Olimpico (ottobre ’93). A Palermo l’odio per ”Coriolano” si può cogliere ancora nell’ironia ostentata da qualche ristoratore che espone il seguente cartello: «In questo locale non si servono Contorni». Francesco La Licata