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 2006  gennaio 08 Domenica calendario

Flaubert, un censore per amico. Il Sole 24 Ore 08/01/2006. Centocinquant’anni fa usciva a puntate su una rivista un romanzo destinato a rimanere un classico, Madame Bovary di Gustave Flaubert

Flaubert, un censore per amico. Il Sole 24 Ore 08/01/2006. Centocinquant’anni fa usciva a puntate su una rivista un romanzo destinato a rimanere un classico, Madame Bovary di Gustave Flaubert. E in Francia si preparano celebrazioni e convegni durante tutto l’anno. Uscirà, nella Pléiade, il V e ultimo tomo della Correspondance di Flaubert; e, sempre Gallimard, annuncia la ristampa di varie opere di Flaubert, da a L’Education sentimentale e il saggio critico di Pierre-Louis Rey, L’éducation sentimentale de Gustave Flaubert mentre le Presses Universitaires de Vincennes lanciano un saggio di Juliette Frølich, Flaubert. Voix de pasque. L’uscita più interessante è, però, quella di alcuni inediti: Gustave Flaubert, Vie et travaux du R.P. Cruchard et autres inédits (a cura di M. Desportes et Y. Leclerc), Université de Rouen. Sul sito dell’università sarà accessibile, inoltre, anche il manoscritto originale di Madame Bovary. L’Institut des Textes et Manuscrits Modernes (CNRS-ENS) terrà un "SéminaireFlaubert" sul tema "Flaubert. Littérature et savoirs", mentre un grande convegno si terrà per i Colloques de Cérisy su "Flaubert écrivain" dal 23 al 30 giugno (http://www.ccic-cerisy.asso.fr/flaubert06.html). In questa pagina pubblichiamo una lettera inedita di Flaubert all’amico Léon Laurent-Pichat, direttore della "Revue de Paris", che rivela i retroscena delle difficoltà che accompagnarono la pubblicazione della Bovary. Abbiamo chiesto inoltre al francesista Giuseppe Scaraffia di spiegare ai nostri lettori per esteso tutta la vicenda. Il primo indizio che qualcosa non andava erano state due consonanti saltate. La "Revue de Paris" aveva annunciato l’uscita, il 1° settembre 1856, di un nuovo feuilleton, Madame Bovary, di un certo "Faubet". "Questo inizio non mi pare felice. Non sono ancora apparso che già mi storpiano". Faubet, inoltre, era il nome di un noto droghiere di Parigi. Non era certo il primo ostacolo incontrato da Gustave Flaubert. Dopo averlo fatto aspettare tre mesi, i suoi amici Maxime Du Camp e Léon Laurent-Pichat, condirettori della rivista, volevano intervenire sul testo. "Lasciaci padroni del tuo romanzo per pubblicarlo sulla "Revue". Faremo i tagli indispensabili. Poi lo pubblicherai in volume come ti andrà". Era, secondo loro, una vera opportunità per Flaubert per evitare di fare uscire "un’opera ingarbugliata" e poco interessante. Il lavoro lo avrebbe fatto un esperto. "Ti costerà un centinaio di franchi che verranno detratti dai tuoi diritti". Vedere trattata così la fatica di anni aveva indignato il povero autore, che aveva scritto dietro la lettera di Du Camp: "Madornale!". La Bovary slittò quindi sul numero di ottobre. Du Camp assicurò all’amico, immerso nelle Tentazioni di sant’Antonio, che avrebbe corretto lui stesso le bozze. Non ci sarebbe stato, promise, il minimo taglio. Flaubert non gli credeva, però non vedeva l’ora che uscisse: "Sono sfiancato dalla Bovary. E non vedo l’ora di liberarmene". Quando finalmente ebbe la rivista tra le mani, non provò la minima emozione. Anzi, confessò, &la vista della mia opera stampata mi ha definitivamente inebetito". Inoltre, a rileggerla, gli era sembrata "molto insipida" e "piùlaboriosa che geniale". Era piena di refusi e di ripetizioni. "La mia vita", scrisse il 2 ottobre al suo grande amore, Elisa Schlesinger, "èstata molto banale - e saggia - almeno dal punto di vista delle azioni. Quanto all’interiorità, è molto diverso! Mi sono logorato sul posto, come i cavalli addestrati in scuderia". Meno male che il testo non era stato toccato. Ringraziando Laurent-Pichat, il romanziere puntualizzò: "Credete che la squallida realtà, la cui riproduzione vi disgusta, non faccia nausea anche a me? Se mi conosceste di più sapreste che detesto la vita banale. L’arte non reclama compiacenza o eleganza. Solo fede, sempre fede e libertà". Solo che a novembre una soffiata informò Du Camp che la rigida censura del Secondo Impero era intenzionata a denunciare la rivista se avesse continuato a fare uscire Madame Bovary senza tagli. Il romanzo non era più spinto di tanti altri, ma il suo crudo realismo accentuava i passaggi piccanti, come la scena in cui Madame Bovary viene posseduta da Léon in una carrozza pubblica. Quando il 1° dicembre uscì la nuova puntata, lo scrittore si accorse che molte pagine erano state mutilate senza il suo consenso. La lettera inedita a Laurent-Pichat, pubblicata qui sopra, riassume il suo punto di vista in quei difficili giorni. Flaubert fu inflessibile. "Se il mio romanzo esaspera i borghesi, me ne infischio. Se vi processano, me ne infischio. Se chiudono la "Revue de Paris", me ne infischio. Non dovevate prendere la Bovary. L’avete presa e tanto peggio per voi. La pubblicherete così com’è". Poi, sotto gli occhi strabiliati di Maxime, si lanciò nella sua teoria della prevalenza dell’artista sull’uomo. Secondo lui rinunciare a una sola parola per degli scrupoli idioti era molto peggio che rubare o uccidere. Du Camp ricorda che, per resistere, continuava a ripetersi: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Nella speranza di aggirarlo, Maxime si era rivolto alla madre dello scrittore che era stata ancora più dura del figlio, alludendo esplicitamente all’invidia degli amici di Gustave per quella grande opera. In effetti era difficile immaginare due esseri più diversi di Gustave e Maxime. Il primo romantico e bonario, malgrado le sue collere. Il secondo arido e arrivista come un personaggio di Balzac. Tuttavia Flaubert ci teneva a mantenere quell’amicizia di vecchia data. Intanto i lettori della "Revue de Paris" insorgevano contro un libro che, a loro parere, calunniava la Francia e le donne. Alla fine venne concordato che la puntata seguente della Bovary sarebbe stata preceduta da una nota in cui l’autore si dissociava dal l’opera mutilata dai direttori della "Revue". Il giorno dopo Gustave la consegnò imprecando. "Dichiaro", scriveva, "di non assumermi la responsabilità delle righe che seguono. Il lettore è pregato di vedervi solo dei semplici frammenti e non un insieme". La fine di quel travagliato anno si avvicinava e l’editore Michel Levy gli aveva fatto un contratto per la pubblicazione della controversa opera. Il 14 dicembre "Le Nouvelliste de Rouen" che aveva pubblicato le prime puntate della Bovary rinunciò a continuare. Sarebbero stati troppi i tagli necessari. Tutto sembrava ormai superato, ma Flaubert preparava la sua vendetta. Fece un florilegio di tutte le frasi osé uscite in quegli anni sulla "Revue de Paris" senza che nessuno pensasse a protestare e la mandò a un giornalista. Nel pezzo che uscì ci si chiedeva come mai la rivista, dopo simili precedenti, fosse diventata di colpo così pudibonda. A quel punto la censura si insospettì, passò al setaccio la Bovary e l’autore venne rinviato a giudizio "per attentato ai costumi e alla religione". Flaubert si sentiva un martire e un capro espiatorio. "Il mio è un affare politico, perché vogliono ad ogni costo distruggere la "Revue de Paris" che indispettisce il potere". Dopo avere fatto del sarcasmo sul fatto che i suoi persecutori se la prendevano anche con la scena dell’estrema unzione interamente ripresa da una pubblicazione liturgica, Gustave prorompeva: "Il mio giudice istruttore è un ebreo ed è lui a perseguirmi! Tutto ciò è di un grottesco sublime". Poi, in un’impeto d’orgoglio, si vantava: "Tutte le puttane d’alto bordo si contendono la Bovary per cercare delle oscenità che non ci sono". Per scrivere il romanzo, Flaubert aveva lavorato sulle Memorie di Madame Ludovica (edito da Il Saggiatore), la burrascosa storia di una ninfomane, Louise Pradier, con cui probabilmente aveva avuto rapporti intimi, anche se sosteneva di averla frequentata senza approfittare della sua nota accessibilità. Per lui era &la donna con tutti i suoi istinti, un’orchestra di sentimenti femminili", ma per studiare un’orchestra, puntualizzava, bastava osservarla dal fondo della sala. Madame Pradier "non si perdeva un’occasione", ma chiedeva prestiti anche agli amanti "che avevano soddisfatto con lei una voglia passeggera". Però non era solo un’insaziabile, una "statua di carne". Era anche una donna intelligente e mondana al centro di un salotto letterario. In quelle approssimative memorie Flaubert aveva trovato i particolari necessari per i debiti di Madame Bovary, il sequestro giudiziario e gli impulsi suicidi. Flaubert sarebbe stato assolto, ma, come confidò a Louise Pradier, dal processo "mi è rimasto un indolenzimento fisico e morale che non mi permette di muovere né i piedi né la penna". Il frastuono levatosi intorno al romanzo lo disgustava. Poco a poco nello scrittore si sviluppò un astio verso quel libro in cui tutti lo riconoscevano. Sognava un guadagno imprevisto alla Borsa che gli permettesse di acquistare tutte le copie rimaste della Bovary. "Le butterei nel fuoco per non sentirne più parlare". Giuseppe Scaraffia