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 2004  dicembre 02 Giovedì calendario

Il ritorno di Rita Rusic, la valchiria slava che suona il rock, il Giornale, 02/12/2004 Rita Rusic, la ”valchiria slava”, non delude mai

Il ritorno di Rita Rusic, la valchiria slava che suona il rock, il Giornale, 02/12/2004 Rita Rusic, la ”valchiria slava”, non delude mai. A 44 anni, questa splendida mamma di due figli (Vittoria e Mario, 18 e 12, avuti da Vittorio Cecchi Gori) ha spiazzato tutti reinventandosi come aggressiva sexy rocker. bastato che il 17 novembre salisse sul mitico palco del Piper a cantare una mezza dozzina di classici del rock perché, d’incanto, l’ex padrona del cinema italiano, poi finita in un malinconico limbo, tornasse a ruggire come una leonessa. Via i tailleur bianchi e le scarpe in tinta da manager in carriera, sotto con canottiere attillate, scollature abissali, jeans a vita bassa, chiodi borchiati, collane anti-iella e bandana sulla chioma bionda. Un gioco? Sì. Ma che sta diventando maledettamente serio. Domenica scorsa, da Costanzo, la ragazza ha alzato lo share producendosi, ”live”, in una palpitante versione di Sweet home Chicago, cavallo di battaglia dei Blues Brothers. Nel giro di poche ore tutto è cambiato. Domani sera [venerdì 2 dicembre], si esibirà a ”Cronache marziane”, la settimana prossima a ”Markette”; per non dire delle pressanti richieste piovute sulla band: Natale a Cortina, capodanno a Capri, Befana a Campione d’Italia. C’è chi pronostica, addirittura, un passaggio a Sanremo. Il cachet non è stato ancora definito. Suggerisco ventimila euro, tanto per cominciare. Signora Rusic, che cos’è? Uno scherzo, una passione, una sfida, l’inizio di una nuova vita, un modo per sfuggire alla noia? «Chi lo sa? Tutto è cominciato qualche mese fa in Argentina. Vedevo i miei amici riunirsi una volta a settimana in una cantina, per suonare insieme. M’è parso un bel modo di incontrarsi. Così ho ripensato alla mia infanzia in Croazia. Ancora oggi, nei paesi, le donne portano da mangiare, gli uomini gli strumenti, dopo qualche birra si comincia a suonare musica tradizionale e tutti danzano». Sì ma la sua banda suona il rock, per dirla con Fossati. «Vero. Io sono figlia della dance, la musica peggiore. Se non fosse stato per Alberto Marozzi, batterista e animatore del gruppo, sarei rimasta lì. Invece lui mi ha fatto ascoltare vecchie canzoni che non conoscevo, o delle quali conservavo un pallido ricordo. Un’illuminazione. La scoperta di un mondo sonoro: Nirvana, Doors, Pink Floyd, Police, J.J. Cale, Guns ’n Roses, Santana... Lo sa che abbiamo già un repertorio di venti brani?». No. Pensavo meno. Provate spesso? «Il lunedì e il giovedì, cascasse il mondo, nella dependance di casa mia. Non mi prendo sul serio, ma faccio le cose sul serio». Il primo brano montato? «Knockin’ on heaven’s doors di Bob Dylan, versione Guns ’n Roses. Poi Sweet home Chicago dei Blues Brothers e Roadhouse blues dei Doors, la mia preferita. E pensare che all’inizio non mi convinceva». Sicura di essere una principiante, una «absolute beginner»? «Beh, da ragazza ho partecipato a vari concorsi, tipo ”Azzurro” e Saint Vincent, poi ho inciso due 45 giri con la Bmg Ariola e cantato in coppia con Celentano un brano finito nel film Joan Lui. Ma sono ricordi lontani». E quel contratto con la Motown? solo una chiacchiera? «No. Con Beppe Cantarelli, il produttore di Mina, avevo inciso alcuni pezzi di dance che erano piaciuti alla casa discografica. Era il 1987. Mi proposero un contratto. Tre anni a Los Angeles, 54 tappe la prima tournée. Ma Vittorio, mio marito, non era d’accordo. Fece di tutto per non farmi cantare. Alla fine cedetti. Significava mandare all’aria il matrimonio».  successo comunque. Così niente più musica? «Sì. E pensare che venivo da una famiglia di musicisti. Il mio amatissimo padre, scomparso qualche mese fa, suonava il clarinetto, dava lezioni di solfeggio. Da bambina non ne volevo sapere». Ma oggi sì. D’improvviso tutti la cercano, fioccano gli ingaggi. «Sono più sorpresa di lei. Con la band s’è deciso che è un divertimento, e tale deve restare. Non abbiamo dischi da promuovere, ci piace solo suonare dal vivo. Se poi vengono fuori dei concerti, tanto meglio. Il contatto col pubblico mi eccita. Uno s’allena, s’allena, ma poi vuole giocare la partita. Mica necessariamente all’Olimpico, basta anche un campetto di periferia». Non faccia la modesta. Ormai è un fatto mediatico. Mi dica, questo look, un po’ Anastacia e un po’ Kim Basinger, l’ha scelto lei? «Certo. Nella vita vesto così. Stivaletti, canottiera, giubbotto di pelle, bandana. Ne ho duecento, le ho sempre indossate. Prima che tornassero di moda con Berlusconi». Si sente più Barbie o Janis Joplin? «Una via di mezzo. Sono una rocker piuttosto soft. Marcio ad acqua minerale». Lei imita o reinventa? «Dipende. Detesto i cantanti che rielaborano troppo. Io tendo a conservare il sapore originale della canzone. Poi, certo, ci metto del mio. Anche perché scelgo canzoni da uomini». Che voto si dà come cantante? «Come divertimento, il mio intendo, dieci. Per il resto, sono gli altri che devono giudicare». Quella sera al Piper, Dagospia dixit, molti erano venuti per «sghignazzare sbeffeggiare, cannoneggiare le arroganti velleità di una signora sfaccendata che, per tedio e dispetto, si mette in testa di clonarsi in una Madonna del Matriciano». Concorda? «Al Piper l’impianto di amplificazione non era buono, ma ce la siamo cavata. Anche i miei nemici storici l’hanno dovuto riconoscere. Mi sentivo sotto tiro. Eppure non ero emozionata». Questa cosa di Sanremo è una bufala? «Vedremo. tutto prematuro, va già bene così. Ma se avessi un buon pezzo... Lo sa che tanti anni fa, era il 1985, mi proposero di presentarlo accanto a Baudo?». Lei cita la Loredana Berté di Non sono una signora. Che sia diventata una «bad girl», di quelle che vanno dappertutto? «Lo escludo. Bisogna essere dispettose e cattive per essere una vera ”bad girl”. Io sono solo audace». Che fine ha fatto la Rita Rusic di un tempo: abile talent scout e produttrice di successo? «Alla Cecchi Gori ero il presidente della squadra. Per usare la metafora calcistica, avevo calciatori, équipe, allenatori, struttura e soldi guadagnati. Ricominciare da zero è stata durissima. Prima il mio telefono squillava ogni tre secondi, per due anni non suonò più. Mi hanno pure cacciato dal Consiglio direttivo dei David di Donatello, benché ne avessi vinti due da produttore. Dissero che non avevo più diritto al voto. Sarà per questo che mi sono messa a cantare. Per la serie: canta che ti passa». Vittorio che dice della svolta rock? «Dice che le donne - lui le capisce poco - sono imprevedibili». Audace e sexy ma sfidanzata. single davvero o fa la civettuola? «Confermo (sto pure scrivendo un manuale di sopravvivenza sul tema). Spero non per sempre». Mi presenta la sua band? «Domenico, il bassista, vive con la mamma e si occupa di edilizia. Yuri, il chitarrista, fa l’operaio. Alberto, il batterista, lavora in tv. Massimiliano, il tastierista, è appena arrivato. So solo che ha una moglie gelosa».