Sergio Romano Corriere della Sera, 03/12/2004, 3 dicembre 2004
La riforma dell’Onu che piace a noi fa bene pure all’Europa, Corriere della Sera, 03/12/2004 Nelle relazioni internazionali vi è una vecchia regola di cui non è neppure necessario invocare l’esistenza
La riforma dell’Onu che piace a noi fa bene pure all’Europa, Corriere della Sera, 03/12/2004 Nelle relazioni internazionali vi è una vecchia regola di cui non è neppure necessario invocare l’esistenza. Quando uno Stato conquista potere e incassa maggiori vantaggi, i Paesi che appartenevano alla sua categoria diventano, anche se la loro condizione rimane formalmente invariata, meno importanti. è ciò che accadrebbe all’Italia se la Germania ottenesse un seggio permanente al Consiglio di sicurezza. Quindi, non abbiamo scelta. Delle due proposte avanzate dal comitato di saggi per la riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, quella che prevede l’allargamento a sei nuovi membri permanenti (fra i quali, verosimilmente, Germania e Giappone) non ci conviene e non ci piace. Nelle battaglie della politica estera questo è generalmente il più efficace degli argomenti possibili. In questo caso, tuttavia, possiamo, sostenere senza ipocrisia che ciò che piace a noi (otto nuovi membri, di cui due europei, destinati a rimanere in funzione per un periodo più lungo dell’attuale biennio) conviene al mondo e all’Europa. Il nuovo ministro degli Esteri non ha torto quando osserva, nella sua lettera al ”Corriere”, che la ripartizione di nuovi seggi permanenti provocherebbe gelosie regionali e che l’assegnazione di un posto alla Germania rischierebbe «di vanificare una volta per tutte il traguardo di una rappresentanza dell’Unione europea». Se l’India e il Brasile, secondo uno degli scenari più probabili, diverranno membri permanenti, quali saranno le reazioni del Pakistan, dell’Indonesia e dell’Argentina? Se tre Paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna) siederanno permanentemente in Consiglio, come sarà possibile mantenere all’ordine del giorno la prospettiva di un seggio dell’Unione? Quella che il governo si appresta a fare, quindi, è una buona battaglia e merita di essere combattuta. Un alto funzionario americano disse qualche tempo fa che vi è a Washington per l’Italia, dopo la collaborazione prestata a Bush nella questione irachena, un assegno in bianco. è inutile storcere la bocca. Anche chi era contrario alla guerra dovrebbe rendersi conto che conviene incassarlo. Vi è in questa vicenda, tuttavia, un aspetto che merita di essere segnalato. Il dibattito sulla riforma muove dalla constatazione che l’Onu abbia bisogno di essere adattata ai tempi, ma dà per scontato che il diritto di veto debba restare saldamente nelle mani dei cinque Paesi cui la Carta lo diede in condizioni storiche completamente diverse. Sappiamo che ogni riforma ha l’obbligo di essere anzitutto realistica e che l’ipotesi della rinuncia al veto si scontrerebbe con la ferrea e sdegnosa opposizione americana. Ma occorrerà pur dire un giorno che l’efficacia dell’Onu, se davvero ci preme «governare il mondo», dipende dalla sostituzione del veto con altri strumenti di rappresentanza come, ad esempio, il voto ponderato. Parlarne ora sarebbe velleitario. Tacere l’esistenza del problema sarebbe ipocrita o, peggio, servile. Sergio Romano