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 2004  dicembre 01 Mercoledì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 6 DICEMBRE 2004

Il gattopardismo pallonaro: l’affaire Lega Calcio.
In fatto di pareggi, nel mondo del calcio c’è qualcuno che fa meglio dell’Inter. Adriano Galliani, presidente uscente della Lega, per quattro volte ha ottenuto 21 voti su 42 mancando il quorum necessario (prima 32 poi 28) per farsi rieleggere. [1] Lunedì scorso sembrava la volta buona, ma i franchi tiratori l’hanno costretto ad un nuovo rinvio. [2] Roberto Beccantini: «Gli erano stati garantiti i voti, cruciali, della serie B. Nel segreto dell’urna, viceversa, c’è chi ha fatto la capriola e chi il gesto dell’ombrello. Alè. In politica, un presidente che si ricandida e viene ”pareggiato” (o fuor di metafora, trombato) per 4 volte su 4, ringrazierebbe il suo partito e lascerebbe spazio, non già all’avversario, ma a un altro ”cavallo”. Lui no, proprio perché il calcio non è mai stato così ”politico”». [3]

Galliani mesi fa aveva detto di non volersi ricandidare. Fabrizio Bocca: «Adesso è cocciutamente proteso alla riconferma in Lega: anche a costo di qualche sonora batosta. Segno che quella poltrona non è di pura rappresentanza [...]. La rielezione doveva essere una passeggiata, ma Della Valle ha coagulato un bel gruppo di club e rovinato il blitz del vicepresidente del Milan. In un calcio normale Galliani non dovrebbe essere rieletto, non per scelta ideologica, ma semplicemente perché l’organizzazione in questi anni è stata fallimentare: diritti tv selvaggi, squadre che falliscono praticamente durante il campionato, campionati che non partono, club ricchissimi che dalla tv hanno tutto ciò che vogliono e altri economicamente dissestati, scandali doping, pasticci colossali (caso Catania e dintorni)». [4]

La rivolta sotterranea covava da più di un anno. Fabio Monti: «Alla base ci sono: 1. gli introiti derivanti dalla cessione soggettiva (ogni società fa per sé) dei diritti tv criptati, che ha creato una enorme disparità fra chi è famoso (e ha un bacino d’utenza enorme) e chi invece fatica per strappare un contratto, visto che Sky non fa beneficenza; 2. il conflitto di interessi di Adriano Galliani, plenipotenziario del Milan, presidente di Lega e visto sempre come uomo Mediaset; 3. i soldi che la serie A deve versare ogni anno alla serie B, in base alla delibera del ’99 (103 milioni di euro), confermata fino al 2008; 4. la questione arbitrale». [5]

La battaglia fu annunciata a luglio da Della Valle. Monti: «Ed è stato di parola. Molte società pensavano che sarebbe stato Massimo Moratti a esporsi in prima persona, ma in attesa di un segnale da Palazzo Durini che non è mai arrivato, hanno colto al volo l’invito di Della Valle, che ha dimostrato, in due mesi, di voler andare fino in fondo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata però la vendita dei diritti proprio a Mediaset per il digitale terrestre, che ha premiato Juve (32 milioni), Milan (27) e Inter (27) e successivamente la Roma (22)». [5]

Galliani non fa il passo indietro perché in Lega passa la grande partita dei diritti tv. [6] Riconosce che la Lega è spaccata, ma non si preoccupa: «Quattro anni fa ci vollero 7 mesi per eleggermi. Si cominciò a discutere a gennaio e venni nominato a luglio. Speriamo che stavolta lo stallo non si prolunghi così a lungo». [7] Giovanni Valentini: «Può anche darsi che alla fine, dopo gli insulti e le minacce di querela, la disputa si risolva in un compromesso più o meno onorevole, sulla base di un documento programmatico che Galliani non aveva neppure previsto, limitandosi a fissare in gran fretta la data della sua rielezione. Ma, proprio perché non è una faccenda personale, non si risolverà invece la questione che riguarda chi è seduto sugli spalti o davanti al televisore. C’è infatti un solo modo per risolverla radicalmente ed è correggere l’infausta decisione assunta nel ’99 dal centrosinistra, quando fu abbandonata la negoziazione collettiva dei diritti tv per lasciarli alla trattativa delle singole società». [8]

Democrazia. Conflitto d’interessi. Programma economico. In campagna elettorale sono volate parole grosse. Vittorio Malagutti: «A ben guardare, però, lo scontro tra il numero uno uscente Adriano Galliani e la cordata dei dissidenti guidata da Della Valle non è altro che una battaglia durissima per la spartizione della torta economica. E siccome il sistema calcio si sta impoverendo anno dopo anno, c’è poco da sorprendersi se i commensali diventano sempre più aggressivi». [9] Nino Sormani: «Lo schieramento pro Galliani è così riassumibile: in serie A, Juventus e Milan, naturalmente, poi Chievo, Lazio, Messina, Parma, Reggina, Roma e Siena; in B, Arezzo, Catanzaro, Crotone, Empoli, Genoa, Salernitana, Torino, Ternana, Triestina, Venezia, Verona, Vicenza. Tutte le altre parteggiano per Della Valle, anche se qualche presidente preferisce stare alla finestra, nel tentativo di alzare il prezzo della sua scheda». [7]

Tutto ruota intorno a un paio di numeri chiave. Malagutti: «In Italia le cinque squadre più grandi (Juventus, Milan, Inter, Roma e Lazio) valgono il 70 per cento del totale dei ricavi della serie A. Inoltre più della metà del giro d’affari totale dei 24 club di serie B proviene dalla cosiddetta mutualità. Ovvero i 102 milioni di euro circa che le società del massimo campionato elargiscono alle loro sorelle minori per evitarne il fallimento. Insomma, un’elemosina. Difficile pensare a un sistema più squilibrato di questo». [9] Della Valle: «Nel calcio inglese c’è un rapporto di 4 a 1 tra la squadra che incassa di più dai diritti tv e quella che incassa di meno. In Italia il rapporto è 10 a 1». [10] Alberto Costa: «Oggettivamente i numeri chiariscono le scelte imprenditoriali di Sky perché i più recenti sondaggi specializzati accreditano Juve, Milan, Inter e Roma di oltre il 75% dei tifosi e, quindi, dei potenziali fruitori televisivi». [11]

Finora il vertice della Lega è rimasto insensibile a qualsiasi richiamo. Valentini: «Eppure, a parte il vertiginoso aumento degli ingaggi che minaccia i bilanci delle società, sarebbe proprio interesse dell’industria del pallone favorire la maggiore competizione possibile fra le squadre, per non avvilire il campionato e non mortificare la passione dei tifosi. Anche qui il pluralismo e la concorrenza sono il sale del mercato (calcistico). Non a caso all’estero, dalla Gran Bretagna alla Germania, la contrattazione dei diritti rimane centralizzata, con un’articolata ripartizione fra club grandi e piccoli: un minimo uguale per tutti e il resto distribuito secondo la ”forza” delle squadre». [7]

I ”riformatori” propongono il modello inglese. Giuseppe Gazzoni Frascara, proprietario del Bologna: «Prevede una suddivisione meritocratica degli introiti. Vi si dovrebbe arrivare con gradualità. Per una società come il Bologna non cambierebbe molto ma cambierebbe di parecchio per i grandi club (in meno) e per i piccoli (in più)». [12] Costa: «Al di là del conflitto Galliani-Della Valle, non sarà facile sciogliere i nodi che condizionano il nostro calcio: perché per ribaltare la scelta voluta all’unanimità nel marzo ’99 (cessione soggettiva dei diritti tv) servirà la stessa totalità di consensi. Che dovrà includere i club quotati in Borsa (Juve, Roma e Lazio) e quelli che hanno un contratto Sky garantito fino al 2007 (ad esempio Inter, Milan, Bologna, la stessa Roma). Sarà sufficiente invocare i ”valori della giustizia e della solidarietà” per riscrivere contratti blindati?». [11]

Ancor più complicata è la questione della mutualità. Carlo Laudisa: «I 110 milioni di euro annui dell’attuale sistema sono assegnati ai club cadetti con il seguente criterio. I proventi dei diritti in chiaro (41 milioni di euro) vengono destinati direttamente ai cugini di Lega. Invece i restanti 69 milioni di euro vengono divisi in parti eguali tra le 20 società di A: vale a dire 3,45 milioni di euro a testa». [2] Gazzoni: «Mutui e mutualità della Lega dovrebbero essere ripartiti in base al fatturato di ciascuna società e non pro capite com’è stato fino ad ora». I grandi club, però, dovrebbero sborsare più soldi. «Ma incassano anche molto di più. Sarebbe come se in Confindustria, Fiat e Pirelli pagassero come la Gazzoni che ha 200 dipendenti». [12]

Con il progetto Della Valle le società di A si tasserebbero in proporzione all’entità dei loro contratti televisivi. Laudisa: «Ovviamente il sacrificio maggiore toccherebbe alla Juventus che ai già pattuiti 3,45 milioni di euro dovrebbe aggiungerne altri 5,55 per la stagione in corso. A ruota seguirebbero Inter e Milan con un aggravio di 5,05 milioni. Poi, alla Roma toccherebbe privarsi di 2,5 milioni mentre la Lazio andrebbe in rosso di 1,05. Per il Parma, invece, non cambierebbe nulla. Molto più folto il gruppo dei club che risparmierebbero denaro col nuovo sistema. Si partirebbe dai 600 mila euro del Palermo per arrivare ai 1.900 del Siena». [2]

Se in Lega i diritti di voto fossero fissati sulla base del fatturato non ci sarebbe nessun problema. Malagutti: «Milan e Juve farebbero il bello e il cattivo tempo e Galliani verrebbe rieletto presidente a vita. In realtà, al momento di scegliere il nuovo capo della Confindustria del calcio, il voto della Salernitana vale quanto quello della squadra di Berlusconi. Anzi, le società di B, che sono 22, alla fine pesano di più delle 20 iscritte al massimo campionato. Quindi per uscire vincitore dalle urne Galliani non può fare altro che assicurarsi il sostegno compatto dei club della serie cadetta [...]. Come? Semplice, garantendo ai presidenti di B che il rubinetto della mutualità non si chiuderà». [9]

C’è una sola via d’uscita. Malagutti: «Le grandi squadre devono rassegnarsi a perdere una parte dei loro ricavi a favore di quelle più piccole. E siccome i contratti televisivi rappresentano la massima fonte di reddito per le società calcistiche, allora andrebbero ridiscusse le modalità di vendita dei diritti sulle partite, in primo luogo quelli per la pay tv. Ed è qui che la posizione di Galliani diventa particolarmente imbarazzante». [9] Della Valle: «Il conflitto d’interessi è evidente ormai: in futuro nessun presidente di club potrà fare il presidente di Lega Calcio. Nessuno». [6] Valentini: «Galliani non è certamente il primo presidente della Lega che sia anche presidente di una società. Del resto, è stato regolarmente eletto da un’ampia maggioranza. Ma è il primo e l’unico ad avere direttamente o indirettamente un forte interesse nel business televisivo». [8]

Qualcuno sente «profumo di politica». Enrico Preziosi, n. 1 del Genoa, rappresentante dei club di B e vice di Galliani (fino alla settimana scorsa): «Della Valle è amico di Montezemolo e vogliono impadronirsi della Lega». [13] Si dice che questa è solo la prima battaglia di una guerra ben più grande, che i due vogliono formare una sorta di partito della borghesia, equidistante da destra e sinistra. Il presidente di Confindustria ribatte che è solo «dietrologia», il boss di Tod’s parla di «stupidaggini». [14] Sormani: «Con tutto il rispetto, non siamo a Bush contro Kerry, in via Rosellini la merce di scambio è, esclusivamente, il denaro». [7]

Perché nessuno impugna la bandiera di un calcio nuovo, orientato al fair play, al rispetto di regole condivise? Non è quella la vera emergenza? Beccantini: «Fra doping, ”passaportopoli”, bilanci in rosso, fidejussioni taroccate e scommesse, il calcio italiano ha toccato il minimo storico della credibilità». [3] Giorgio Tosatti: «Persino i ciechi si sono accorti di quanto sia decaduto il prodotto-calcio nel nostro Paese». [15] Galliani: «Il problema è per forza economico: le grandi di A devono competere con i superclub d’Europa. Ce lo chiedono tutti, a partire da stampa e tifosi. E poiché le nostre rivali straniere hanno ricavi superiori ai nostri, i club più forti non si possono impoverire». [16]

Ormai gli scudetti si giocano fra due o tre club. Giorgio Tosatti: «Ciò capita anche in paesi (come l’Inghilterra o la Francia) dove le risorse sono divise in modo diverso rispetto all’Italia. Si deve rendere il sistema più equo possibile, ma nulla impedirà mai ad un Paperone d’investire nella sua squadra capitali propri, di cui nessun altro può disporre». [15]

 mancata e manca una visione industriale del calcio. Tosatti: « mancato e manca il doveroso interesse per la qualità del prodotto e per la sua clientela. Cerco di spiegarmi. Posto che non si può costringere chi voglia competere per lo scudetto a fallire o rischiare di farlo (com’è accaduto a Fiorentina, Napoli, Parma, Roma e Lazio), mi sembra evidente che le risorse del campionato di A vadano meglio distribuite all’interno dei partecipanti. Sono per la vendita collettiva dei diritti tv (pur restando di proprietà soggettiva) ma questo equilibrio è possibile in vari modi: aumentando la percentuale agli ospiti, istituendo un fondo comune, ecc. Parallelamente si devono porre dei paletti: un limite di giocatori tesserabili [...], un tetto percentuale degli ingaggi sul fatturato». [15]

La Lega per ora non rischia il commissariamento. Ha tempo almeno sino a marzo per trovare un presidente. Entro venerdì, però, i 42 presidenti di A e B devono stabilire chi designare per la Figc (che vota il 20) e scegliere anche i consiglieri federali. Il destino di Carraro è legato a filo doppio con quello di Galliani, ma senza forti consensi il presidente in carica lascerebbe via libera ad altri. Cioè a Giancarlo Abete, legato alla cordata Della Valle (e a Prodi). Cellino, presidente del Cagliari: « venuta l’ora che almeno uno fra Carraro e Galliani vada a casa. Meglio se è Galliani, perché è in Lega che si fanno i programmi e ci sono i soldi». [5] Beccantini: «Riesce difficile appassionarsi a una volata che ha per protagonisti le solite facce (neppure Abete è una new entry) e per obiettivo la solita spartizione del bottino». [3]