Cesare Martinetti La Stampa, 23/11/2004, 23 novembre 2004
E l’infame Sarkò sorrise (Chirac un po’ meno), La Stampa, 23/11/2004 Nel maggio 1995, poco dopo essere stato eletto presidente della Repubblica, Jacques Chirac non usò molto riguardo per il «piccolo Nicolas», come lo chiamavano in famiglia, che lo aveva tradito schierandosi con Edouard Balladur: «Bisogna camminargli sopra: dicono che porti bene»
E l’infame Sarkò sorrise (Chirac un po’ meno), La Stampa, 23/11/2004 Nel maggio 1995, poco dopo essere stato eletto presidente della Repubblica, Jacques Chirac non usò molto riguardo per il «piccolo Nicolas», come lo chiamavano in famiglia, che lo aveva tradito schierandosi con Edouard Balladur: «Bisogna camminargli sopra: dicono che porti bene». Sabato scorso, quando i due si sono lasciati sulla scalinata dell’Eliseo dopo un incontro di tre ore, Nicolas sorrideva, il presidente un po’ meno. Nove anni fa mai avrebbe creduto che sarebbe venuto il giorno in cui doveva mettere lo scettro nelle mani dell’infame Nicolas. Ma nella «monarchia elettiva» che impropriamente chiamiamo repubblica presidenziale francese, i simboli hanno un’importanza enorme. E sabato, all’Eliseo, è avvenuto il simbolico passaggio delle consegne. «Chirac’s nemesis», ha titolato l’’Observer”. La vendetta, l’atto riparatore del destino, il fato. Comunque sia, domenica prossima Nicolas Sarkozy, 49 anni, ministro dell’Economia, figlio di un ungherese rifugiato in Francia per sfuggire al comunismo, diventerà presidente dell’Ump, il grande partito unico della destra francese, il partito di Jacques Chirac. E automaticamente sarà investito del ruolo di candidato alle presidenziali del 2007. In altre parole, è il successore o il delfino, se preferite. Ma Nicolas Sarkozy è molto di più: è giovane, spregiudicato, ha un’energia pazzesca. Per sette anni ha scontato il tradimento e attraversato il suo deserto, ignorato da Chirac e dai fedeli del presidente. Ha fatto penitenza e politica, ha studiato, ha rimesso in ordine le idee. Nel 2002, alle ultime elezioni, aveva già riconquistato la prima linea. Chirac non gli diede, come sarebbe stato giusto, la seggiola di primo ministro, preferendo il grigio Jean-Pierre Raffarin, destinato ad andare presto in pensione. Ma gli affidò il compito più difficile: il ministero dell’Interno. Era il maggio 2002, Jacques Chirac era stato confermato all’Eliseo al termine di «surreali» elezioni nelle quali aveva avuto come sfidante non il socialista Lionel Jospin, eliminato al primo turno, ma Jean-Marie Le Pen, il duce dell’estrema destra, che aveva imprevedibilmente sfondato al primo turno agitando tutte le paure dei francesi: criminalità e stranieri, banditi e immigrati clandestini. Sarkò aveva il compito più difficile. E c’è riuscito. Non a battere la criminalità (quando mai la politica risolve i problemi?) ma a dare l’impressione che la situazione fosse cambiata. Polizia ovunque, una legge sull’ordine pubblico durissima, comunicazione aggressiva su giornali e tv, statistiche esagerate, forse vere forse no, che confermavano che qualcosa stava cambiando. La gente ci ha creduto, Sarkò è diventato il politico più popolare. Ma contemporaneamente è cominciato un duello a distanza con l’Eliseo. Sfacciato, dissacrante, beffardo, feroce. Sarkò ha messo subito in chiaro che ha in testa una sola cosa: diventare presidente della Repubblica. Ha confessato di pensarci «ogni mattina» facendosi la barba. Un’ossessione martellante, un’ambizione divorante, che però cresceva dentro un progetto politico completo: Nicolas Sarkozy sta alla destra francese come Tony Blair sta (è stato) alla sinistra britannica. Non a caso il francese dice di ammirare molto il premier britannico. Sarkò è l’uomo dell’aggiornamento del gollismo, liberale in politica, liberista e insieme statalista in economia. Anzi, un «liberal-bonapartista», come ha detto Alain Minc, finanziere e intellettuale. Nicolas Sarkozy, «l’homme (trop) pressé», l’uomo che ha (troppa) fretta, secondo il cattivissimo ”Canard Enchaîné”, o «Speedy Sarkò», secondo ”The Time”. A vent’anni fece la sua prima uscita politica a un congresso. Chirac gli diede la parola: «Sei tu Sarkozy? Hai cinque minuti». Lui tenne il microfono per venti, dicendo più o meno: «Essere gollisti significa essere rivoluzionari». Pochi mesi dopo era alla tribuna del congresso del movimento giovanile a Le Bourget (dove domenica prossima sarà eletto). Era il ’75 e il suo slogan era: i giovani alla conquista del 2000. Guardava lontano, il piccolo Nicolas, che a 28 anni fu eletto sindaco di Neuilly, la barriera ricca di Parigi, e intanto frequentava da intimo casa Chirac, amico e testimone di nozze della figlia Claude, che solo pochi mesi fa ha smentito a Béatrice Gurrey di ”Le Monde” (che lo racconta nel libro appena pubblicato da Albin Michel, Il ribelle e il re) di essere mai stata la «sua amante». Sarkozy ha tolto la polvere alla destra francese. La moglie Cecilia è la sua prima collaboratrice: mai un ministro della République s’era fatto fotografare in pullover nel suo ufficio con moglie, figlio e cane labrador. Mai un ministro aveva sfidato il presidente fin nel dileggio della snobistica passione chirachiana per la lotta giapponese «sumo»: «Che cos’è? Uno sport, quello?». Ma oltre alla caricatura, ci sono le cose serie. Se Chirac è il campione mondiale dell’antiamericanismo, Sarkò va a New York e annuncia di «amare l’America», di sentirsi talvolta «straniero in Francia», si mette maglietta, pantaloncini e un paio di occhiali da sole e va a fare jogging in Central Park. Se Chirac vuole la legge contro il velo nelle scuole per difendere la laicità «alla francese», Sarkò è contro, rifiuta la retorica «repubblicana», dice che va superata la vecchia separazione tra Stato e Chiesa e che bisogna aiutare i musulmani, anche costruendo moschee, perché è meglio che i soldi vengano dallo Stato piuttosto che da Osama bin Laden: «Voglio essere l’avvocato difensore dei musulmani: mi piace la loro gioventù, la loro creatività, la loro voglia di riuscire». Il mondo di Nicolas è un mondo di gente che ha voglia di fare, che lavora quanto vuole e non solo le 35 ore dei socialisti di Jospin, che guadagna di più se lavora di più. è la «Francia media» diversa dalla demagogica «France d’en bas» (bassa) del provinciale Raffarin, una Francia che Sarkò definisce così: «Quelli che hanno l’impressione che ogni aumento delle tasse sia sempre contro di loro e le esenzioni non li riguardino mai». La strada per l’Eliseo è ancora lunga, Chirac e il suo mondo combatteranno fino alla fine prima di cedere le armi. Se n’è avuto un assaggio pochi giorni fa, quando s’è scoperto che i servizi segreti, su ordine del nuovo ministro dell’Interno Dominique de Villepin, hanno indagato (senza scoprire nulla) su voci di conti esteri di Sarkò. Ci saranno colpi bassi e colpi alti. Ma Nicolas dalla sua ha la profezia di un amico americano: «Sai perché sarai eletto presidente? Perché non sai che è impossibile». Cesare Martinetti