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 2004  novembre 26 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 29 NOVEMBRE 2004

A Kiev l’Occidente e l’ex Urss giocano al tiro alla fune.
Fino a martedì molti di noi neppure sapevano delle presidenziali in Ucraina. [1] Il primo turno aveva promosso al ballottaggio, più o meno con gli stessi voti, due candidati: Victor Yushenko, ex governatore della Banca centrale ed ex premier cui vanno i favori di Nato e Unione Europea, e Victor Yanukovich, primo ministro in carica che possiamo considerare il candidato dei russi. Il primo era appoggiato nella sua campagna da Yulia Tymoshenko, chiacchierata pasionaria del partito nazionalista ”Patria”, il secondo da Leonid Kuchma, presidente in carica dal 1994. [2]

Kuchma ha 66 anni. Ex direttore della fabbrica d’armamenti di Dniepropetrovsk (quella che secondo Krusciov «sfornava missili come wurstel»), dopo il crollo dell’Unione Sovietica balzò ai vertici dello Stato più per l’intima diffidenza coltivata verso le riforme che per il timido appoggio concesso alle stesse. [3] Autoritario e nepotista, lì lì per dichiarare guerra alla Russia a causa di un’isoletta della Crimea, con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali s’è riavvicinato a Mosca e ha candidato il suo delfino Yanukovich (54 anni), ex governatore di Donetsk vittorioso alle legislative del 2002 col partito centrista ”Ucraina Unita”. [2]

Yushenko ha 50 anni. Fino a due mesi fa era un bell’uomo, oggi è «un rottame: gonfio, con il volto sfigurato e tumefatto, di un colorito grigiastro», per qualcuno «un mostro». Dice che l’hanno ridotto così quelli dell’ex Kgb (ora Sbu), fatale una cena segreta del 5 settembre in cui l’avrebbero avvelenato. Una commissione parlamentare ha stabilito che non è vero ed ha dato la colpa all’herpes zoster, ma i medici austriaci che l’hanno curato parlano di una misteriosa sostanza chimica «non presente in prodotti alimentari». [4] Non ha invece problemi estetici Yulia Tymoshenko (44 anni compiuti sabato scorso), ricca imprenditrice dai fini lineamenti che ama indossare gli abiti del folclore ucraino e porta, come le vecchie contadine, una treccia bionda arrotolata sul capo. [5] Da vicepremier di Yushenko, gestì in modo un po’ troppo spregiudicato l’importazione del gas naturale da Russia e Turkmenistan (finì che le misero in galera il marito). [6]

Il ballottaggio l’ha vinto Yanukovich: 49,46 a 46,51. [7] Subito centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per contestare il risultato, accusando di brogli il vincitore. L’eurodeputato polacco Marek Siwiec ha spiegato che la gestione dei seggi elettorali ricordava «più la Corea del Nord che l’Europa». [8] L’Osce ha fatto notare che se tra il primo e il secondo turno l’affluenza totale era aumentata del 5 per cento (dal 75 all’80), nelle zone più popolate e con maggiore presenza di russi (favorevoli a Yanukovich) l’incremento era stato stranamente del 10. Basta questo per gridare ai brogli? [9] Racconta Thijs Berman, uno dei sei eurodeputati inviati dall’Assemblea di Strasburgo: «I brogli non si contano. Il modo classico è stato quello del ”voto assente”, persone che hanno votato due, tre, fino a quattro volte con i bollettini di assenza, che permettono a una persona di presentarsi a un seggio diverso da quello di appartenenza. Il governo si è sempre rifiutato di comunicare quanti votanti potevano presentarsi alle urne, aprendo così la porta a ogni sorta di frode. L’Ovest del Paese è notoriamente più vicino al leader dell’opposizione Viktor Yushenko, mentre l’Est è storicamente filorusso. Ebbene: a Ovest Yushenko ha perso dei collegi (in cui aveva vinto al primo turno) a causa dell’enorme pressione delle autorità, soprattutto sui dipendenti pubblici». [10]

La prova dei brogli starebbe anche in alcune intercettazioni telefoniche. Tra le 18 e le 22 del 21 novembre, saputo di uno svantaggio di dieci punti, gli uomini di Kuchma-Yanukovich avrebbero concordato le manipolazioni dei risultati. [11] Tanti erano i sospetti e le proteste, che la proclamazione dei risultati è stata congelata. [9]
Alla fine s’è raggiunto un accordo che fa contento soprattutto Yushenko. Sabato, dopo l’ennesimo gabinetto di crisi, il Parlamento ucraino ha dichiarato nullo il ballottaggio di domenica 14 novembre perché viziato da «forti irregolarità» e censurato l’operato della Commissione elettorale, che sarebbe venuta meno «ai suoi doveri costituzionali». I sostenitori di Yushenko, da giorni accampati nelle piazze di Kiev, hanno esultato. Si dovrebbe rivotare il 12 dicembre. [12]

Ucraina significa «al confine». Nel Paese convivono due lingue e due fedi. Anna Zafesova (’La Stampa”): «Tutto l’Est e il Sud dell’Ucraina non solo parla russo, ma pensa russo. Il 60 per cento della popolazione ucraina non sa e non vuole parlare l’ucraino». [13] Luigi Ippolito (’Corriere della Sera”): «I sostenitori di Yushenko hanno chiamato il russo ”una lingua di banditi”, Yanukovich ha promesso di proclamarlo seconda lingua ufficiale. A Ovest si guarda all’integrazione economica e culturale con l’Occidente, a Est si teme lo spezzarsi dei legami morali e materiali con la Russia. La Chiesa uniate, cattolica di rito orientale, ha il suo seguito di massa nell’Ucraina occidentale, mentre a Kiev risiedono ben due patriarchi: quello ortodosso fedele alla Chiesa russa e quello ”scismatico” della Chiesa nazionale ucraina». [14]

I ”blu” americani se la vedono con ”i rossi”, quelli ucraini con gli ”arancioni”. Qui, però, invece che di Stati si parla di territori: i primi, economicamente e politicamente legati a Mosca, comprendono il bacino carbonifero del Donetsk, ad est, e della Crimea, nel Sud; i secondi ospitano città come Volye, L’viv, Ivano-Frankivsk e hanno un’aria da Mitteleuropa. [15] Tutti, senza distinzione di colore, in dieci anni di regime Kuchma si sono impoveriti. K. S. Karol (’il manifesto”): «Esiste una minima percentuale di persone ricchissime e una massa di gente che sopravvive per miracolo. O che se ne va a lavorare altrove. A Parigi, a Varsavia o a Mosca le giovani ucraine vengono a cercare una lavoro domestico e spesso finiscono nella prostituzione perché non godono della minima protezione». [2]

I pessimisti prevedono un catastrofico scenario «jugoslavo». Astrit Dakli (’il manifesto”): «Certo, gli avvenimenti che si stanno tumultuosamente sviluppando a Kiev sotto gli occhi preoccupati del mondo sono assai gravi e drammatici. Ma va detta con chiarezza una cosa: non sono gli ucraini, né da una parte né dall’altra, a cercare questa spaccatura, a voler dividere il paese in due parti, a progettare una nuova frontiera. Per quanto gli abitanti di L’viv (l’antica Lemberg, o la più recente Leopoli) possano sentirsi - ed essere, per lingua religione e mentalità - diversi dagli abitanti di Kharkov o Dnepropetrovsk, tra gli uni e gli altri non c’è mai stato e non c’è nemmeno adesso l’odio, il risentimento, il disprezzo reciproco che covavano nel 1991 tra i popoli conviventi sotto il coperchio della Jugoslavia. La rottura in atto oggi è una rottura fra élites politiche ed economiche, che vogliono il potere sull’intero paese e per averlo puntano su alleanze esterne opposte: solo in misura marginale - e alimentata grandemente dall’esterno - è anche una rottura fra popolazioni legate a un determinato territorio». [16]

Sull’Ucraina russi e occidentali hanno ingaggiato da tempo una sorta di tiro alla fune. Sandro Viola (’la Repubblica”): «Erano anni che s’assisteva agli sforzi di Mosca da una parte, e degli euroamericani dall’altra, per assicurarsi un’influenza decisiva su un Paese come l’Ucraina, posto a cerniera tra la Russia e la cintura Nato-Unione Europea, dunque di cruciale rilevanza strategica. E il tiro alla fune è stato tutto meno che corretto. I contendenti non hanno soltanto usato, infatti, i mezzi della diplomazia e della politica, e quelli economici, per rafforzare i propri ”partiti”, il pro-russo e il pro-occidentale. Hanno usato anche altri mezzi, tanto è vero che Kiev era da qualche anno la città con più agenti segreti, chiamiamoli così, venuti da Est e da Ovest». [17]

Né Mosca né gli euro-americani si sono risparmiati. Viola: «Finanziamenti occulti di formazioni politiche e gruppi di propaganda, esperti elettorali, promesse di aiuti. Da parte europea premevano soprattutto la Polonia e i Paesi Baltici (ma con l’appoggio degli Stati Uniti), nazioni che a causa della loro storia non possono sentirsi ancora al riparo da un’eventuale ritorno dell’espansionismo russo. Ma anche la Nato e l’Unione Europea nel loro complesso, non avevano certo nascosto di guardare all’Ucraina come a un altro Paese da inglobare appena possibile nei loro organismi». [17]

Yushenko ha promesso di portare l’Ucraina nell’Ue e nella Nato. Zafesova: «A Mosca non nascondono di voler impedire la deriva di Kiev verso Varsavia, Bruxelles e Washington in quello che ormai viene vissuto come uno scontro strategico con l’Occidente nel territorio di un vassallo ex sovietico. Un’adesione dell’Ucraina all’Ue e alla Nato viene considerata un pericolo per la Russia, un ritorno di Kiev all’ovile del Cremlino lascerebbe nell’ex Urss una sola capitale ”ribelle” a Mosca, Tbilisi». [13] Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Carter e profondo conoscitore dell’Europa orientale, dice che l’obiettivo strategico di Putin «è di fare dell’Ucraina una nuova Bielorussia»: «Lui e gli ex agenti del Kgb come lui che lo circondano nelle stanze del Cremlino condividono idee nostalgiche, sognano di realizzare nel prossimo futuro una nuova versione dell’Unione Sovietica, creata attorno a un’unione di popolo slavi». [18]

Washington non ha mai sottovalutato l’evoluzione degli eventi nei Paesi ex sovietici. Profeta della centralità di questa regione per gli interessi americani è lo stesso Brzezinski, che fonda il suo più famoso libro sul tema, The Grand Chessboard - American Primacy And It’s Geostrategic Imperatives (1997), su una delle regole d’oro della geopolitica: «Fin da quando i tre continenti hanno cominciato a interagire tra loro politicamente, circa cinquecento anni fa, l’Eurasia è stata il centro del potere». Per Eurasia si intende tutto il territorio a Est della Germania e della Polonia passando dalla Russia e la Cina fino all’Oceano Pacifico, includendo il Medio Oriente e la maggior parte del subcontinente indiano. [19]

Per controllare l’Eurasia, l’Ucraina è fondamentale. Lucia Annunziata (’La Stampa”): «Secondo lo schema dello studioso, nella gara per bilanciare i poteri fra Russia, Cina e Usa (con la Russia nella posizione di avversario più pericoloso) la mossa importante è il controllo di entrambi i confini dell’Eurasia - di qui dunque l’Ucraina e Azerbaigian, di là l’Iran e il Kazakhstan - facendone zone cuscinetto o contrappeso delle ambizioni russe e cinesi sul petrolio, il gas e i minerali delle Repubbliche dell’Asia Centrale (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan)». Scrive Brzezinski: «L’ultima decade del XX secolo ha assistito a un movimento tellurico nello stato delle relazioni del mondo. Per la prima volta un potere non eurasiatico è emerso non solo come arbitro del potere eurasiatico ma anche come chiave del potere globale. La sconfitta e poi il collasso dell’Urss sono stati il passo finale di una rapida ascesa di un potere basato nell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti, come unico nonché primo vero potere globale. A questo punto è imperativo che non emergano nuovi sfidanti eurasiatici capaci di riprendere in mano il dominio dell’Eurasia e di sfidare l’America». [19]
La posta in gioco non è solo il futuro dell’Ucraina. Timothy Garton Ash (’la Repubblica”): « in gioco anche il futuro della Russia stessa e dell’intera Eurasia. Una Russia che se riconquisterà l’Ucraina oltre alla Bielorussia, sarà nuovamente una Russia imperiale, come negli auspici di Putin. Una Russia che veda spostarsi verso l’Europa e l’occidente persino l’Ucraina, ha l’opportunità di diventare, col tempo, uno stato nazione più normale, liberale, democratico. Ma al momento, sotto Putin, la Russia è lanciata su una traiettoria diversa, peggiore, e nei suoi confronti i leader occidentali sono stati accomunati da pusillanimità. Abbiamo avuto tutti un atteggiamento conciliante». [1]

Nel breve periodo la nostra possibilità di intervento è limitata. [1] Viola: «Se a Washington innanzitutto, ma anche a Parigi e a Berlino, prevarrà l’idea di non affrontare in una fase già febbrile per tanti motivi (dal terrorismo globale alla sete mondiale di petrolio, attraverso l’Iraq e il conflitto israelo-palestinese) un urto con la Russia di Putin, la vittoria del candidato di Mosca verrà confermata, e in Ucraina la democrazia dovrà ancora aspettare la sua ora. Ma se la Polonia e i Baltici dovessero spingere l’Unione Europea e l’America ad assumere una posizione più rigida, la scena internazionale sarà nelle prossime settimane estremamente agitata». [17]

L’Europa si barcamena tra due strategie sostanzialmente divergenti. Andrea Bonanni (’la Repubblica”): «Da una parte ci sono i Paesi del nucleo tradizionale, mossi dal desiderio di tutelare l’evoluzione democratica dell’ingombrante vicino ucraino ma anche consapevoli dell’interesse di mantenere buoni rapporti con la Russia e della necessità di evitare ad ogni costo che la situazione degeneri fino alla spaccatura dell’Ucraina tra la metà occidentale filo-europea e quella orientale, filo-russa. Dall’altra ci sono alcune capitali della ”nuova Europa” che hanno sostanziosamente aiutato il candidato democratico Yushenko (come Mosca ha aiutato Yanukovich), che vedono con favore qualsiasi crisi capace di limitare ulteriormente l’influenza della Russia sui Paesi vicini e che forse non sarebbero neppure ostili ad una divisione dell’Ucraina». [20] Garton Ash: « in luoghi come Kiev, piuttosto che a Bruxelles, che si palesa la grandezza della storia che l’Europa ha da raccontare, se solo sapessimo come raccontarla. la storia di una graduale inarrestabile espansione della libertà da quando, sessant’anni fa, esisteva solo una manciata di paesi precariamente liberi in Europa e in pratica l’intero continente era in guerra, fino al momento attuale in cui esistono solo due o tre paesi seriamente privi di libertà in Europa, e quasi tutto il continente è in pace. Oggi il fronte di quell’avanzata è in Ucraina». [1]

Orwell ha scritto che «visto dall’interno, tutto appare peggiore». Garton Ash: «Qualsiasi siano le pecche che rivela dall’interno, e sono molte, vista dall’esterno l’Unione Europea è un grande magnete e promotore di libertà. I nostri vicini desiderano in maggioranza farne parte per diventare più liberi (e più ricchi) e al fine di garantire le libertà per cui molti di loro hanno combattuto nelle rivoluzioni di velluto. Nel lungo periodo il miglior appoggio che possiamo dare ai democratici ucraini è affermare, come reputo sia opportuno, che un’Ucraina democratica trovi giusta collocazione nell’Ue». [1] Franco Venturini (’Corriere della Sera”): «L’Unione super-allargata non è ansiosa di assorbire anche Kiev, ma non pochi a Bruxelles (almeno a parole) considerano l’Ucraina un candidato con più numeri della Turchia. Come minimo, una vittoria di Yushenko inserirebbe di diritto l’Ucraina in quella ”cintura di Paesi amici” immaginata da Prodi per limitare ulteriori allargamenti. Se così stanno le cose, può l’Europa disinteressarsi del destino di una Nazione collocata nel centro del Continente, grande come la Francia e popolata da cinquanta milioni di abitanti?». [21]