Note: [1] Enrico Maida, Il Messaggero 12/1; [2] Alessandro De Calò, La Gazzetta dello Sport 14/1; [3] Giorgio Tosatti, Corriere della Sera 27/12; [4] Guglielmo Buccheri, La Stampa 12/1; [5] Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 12/1; [6] Fulvio Bianchi, la , 14 gennaio 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 16 GENNAIO 2006
Riassunto delle puntate precedenti: attualmente i diritti televisivi del calcio sono soggettivi (le società possono venderli individualmente a trattativa privata) in virtù di una legge del governo D’Alema (1999) fortemente ispirata dai grandi club tra i quali figuravano, allora, anche Roma e Lazio. Enrico Maida: «Con il passare degli anni si è capito che il sistema non funziona. O meglio funziona benissimo per la Juventus e il Milan, e in misura inferiore per Inter e Roma, malissimo per tutte le altre, costrette a spartirsi le briciole. Il caso che ha scatenato la bagarre è recente: Mediaset ha conquistato l’esclusiva della Juve, detenuta da Sky fino al 2007, garantendo al club di Giraudo una somma astronomica, 248 milioni di euro per due anni più l’opzione per il terzo». [1]
La questione di come vanno distribuiti i tanti soldi che arrivano dalle tivù torna periodicamente a galla. Alessandro De Calò: «Questi soldi, per i club, sono diventati una fonte energetica strategica, valgono quanto gas e petrolio per le grandi potenze industriali del pianeta». [2] Prima o poi anche Milan e Inter firmeranno ricchi contratti. [3] Gli altri dovranno accontentarsi di quel che rimane. [4] Maida: «A questo punto ha preso forma e consistenza un movimento per cercare di tornare alla vendita dei diritti collettivi. Il presidente della federcalcio Carraro ne è stato in qualche modo l’ispiratore mentre sul fronte dei presidenti il più attivo è stato Zamparini sicuro di aver costituito un gruppo di 14 società alleate per raggiungere lo scopo. Si è mossa anche la politica, questa volta in modo trasversale: la proposta di Ronchi, deputato di An, per modificare la legge e tornare alla vendita collettiva dei diritti aveva trovato larghi consensi a destra e a sinistra. Ma Forza Italia ha detto no». [1]
Come ha potuto un solo partito sbarrare la strada ad un testo appoggiato da tutti gli altri? Lorenzo Salvia: «Allo scioglimento delle Camere mancano meno di 20 giorni e l’unico modo per trasformarlo in legge era prendere una scorciatoia: approvarlo in commissione senza passare per l’Aula. possibile, anche frequente. Ma serve il consenso di tutti i partiti e il no del capogruppo di Forza Italia Elio Vito è bastato a mandare tutto a monte. Se ne potrà riparlare solo nella prossima legislatura: dopo le elezioni e, con ogni probabilità, dopo l’inizio del prossimo campionato». Vito: «Non mi sembra opportuno affrontare un argomento così importante e delicato, negli ultimi scampoli della legislatura». [5] Ferdinando Adornato, presidente della commissione che indagò sui mali del calcio: «Gli interessi del premier non c’entrano e non è da escludere che da un’eventuale vendita collettiva non sarebbe Mediaset ad avvantaggiarsi». [4] Diego Della Valle, patron della Fiorentina: «Vedere un uomo politico che utilizza la sua forza per portare vantaggi alle sue aziende è una cosa vergognosa. Lo dico senza problemi: Berlusconi si deve vergognare». [6]
La legge in vigore favorisce Mediaset? Piersilvio Berlusconi: «Quella legge, a cui noi ci siamo adattati, costringe le aziende a chiudere singoli contratti con ogni squadra moltiplicando i tavoli di trattativa e incappando in confronti e contrasti tra squadre la cui soluzione non sarebbe certo compito dei broadcaster. Ovvio, quindi, che da un punto di vista pratico per noi operatori sarebbe molto più comodo condurre un’unica trattativa complessiva». [7] Della Valle: «L’obiettivo di questa operazione, di opposizione ai diritti tv collettivi, è controllare il calcio e far spendere meno denaro alle tv. Io sono convinto che tutti insieme si ricaverebbe dalle televisioni il massimo. E che questo massimo sarebbe così superiore ai ricavi attuali, che alla fine le grandi, che resterebbero tali, non ci rimetterebbero». [6]
La legge D’Alema fu il prodotto di tre situazioni. Giorgio Tosatti: «L’Antitrust proibì la vendita collettiva, minacciando Carraro (allora presidente della Lega) di rinviarlo a giudizio se proseguiva su quella strada. Fu concessa una deroga solo per i diritti in chiaro, previo accordo unanime di tutti i club. Diverse sentenze europee stabilirono che i diritti relativi a uno spettacolo sono di chi l’organizza. Si cercò di equilibrare il mercato, ponendo dei limiti (il 60 per cento) al possesso dei diritti tv. Ciò non impedì il monopolio di Sky e l’attuale caos. Solo in Italia e Grecia la materia è regolamentata da una legge, in entrambi i Paesi si vuole abolirla. Giusto. Ma sarebbe assurdo sostituirla con una legge che imponga la vendita collettiva dei diritti. Perché la Costituzione garantisce la proprietà. Come imporre una cessione forzata a s.p.a. con fine di lucro e persino quotate in Borsa? Si codificherebbe una sorta di esproprio». [9]
Mediaset ha comprato l’intero pacchetto dei diritti juventini senza spendere un euro in più rispetto a quanto è costato ai vari operatori acquistare le immagini per il 2006/07. Arianna Ravelli: «Per la stagione 2006-2007, la società bianconera incassa dai vari soggetti un totale di 108 milioni di euro. Così ripartiti: 84 milioni da Sky per le immagini sul satellite, 10 milioni per i diritti internazionali, altri 10 per la telefonia mobile (tecnologie Umts e Gprs) da Tre, e 4 milioni da Mediaset per digitale terrestre e Adsl. Il totale (108 milioni) è uguale a quanto paga Mediaset per tutto il pacchetto. C’è chi dice, però, che se un solo operatore acquista tutto e con così largo anticipo dovrebbe poter contare su un prezzo di favore». [10] Sky ha già ricomprato i diritti satellitari del club bianconero per i campionati 2007/08 e 2008/09. Costo: 157,3 milioni di euro. Fulvio Bianchi: «Il ruolo di Mediaset, ormai, è sempre più quello del ”grossista”, da supermarket del pallone (almeno secondo Della Valle) [...] a forza di spacchettare il pacchetto, avrà il digitale gratis, o quasi. Da Sky infatti ha già incassato l’80% di quello che aveva pagato alla Juventus e adesso potrà rivendere telefonia e Internet». [11]
Si dice: «Di questo passo arriveremo alla fine del calcio». Riccardo Garrone, presidente della Sampdoria schierato con Della Valle e Zamparini: «Se le cose non cambiano, potremmo decidere di non giocare le partite contro le tre grandi, anche a costo di perdere a tavolino, oppure potremmo schierare i ragazzini. Così, svuoteremmo di interesse quelle partite e difenderemmo la nostra dignità». [12] Maurizio Zamparini, padrone del Palermo: «Hanno creato un sistema perfetto. Ci sono tre grandi, poi ci sono dieci-dodici club vassalli che gli garantiscono la maggioranza e che in cambio ricevono piccoli favori: giocatori in prestito, spiccioli di diritti tv per la sopravvivenza. Chi prova a mettersi contro lor signori fa una brutta fine». [13] Massimo Moratti, padrone dell’Inter: «Trovo abbastanza normale che un gruppo televisivo sia particolarmente interessato a quelle squadre che consentono di avere un elevato numero di abbonamenti. Penso ad un esempio del cinema di anni fa, perché ho più difficoltà con gli attori di oggi: se in un film c’erano Clark Gable, Gary Cooper e Cary Grant e altri dieci attori, escludo che si prendesse il budget totale, per dividerlo in tredici parti». [14]
Se la Juve ha preso 100, Fiorentina&C. non possono valere 4. Beppe Marotta, amministratore delegato della Sampdoria: «Non discuto il contratto della Juve, anzi: la cifra ottenuta da Mediaset mi sembra congrua rispetto al valore attuale della squadra. Ma ci deve essere una distribuzione più equa dei ricavi, se vogliamo salvaguardare il valore tecnico del campionato, altrimenti destinato a perdere interesse, spettatori, passione. Bisogna discutere con le grandi e spiegare che ci vogliono anche le altre squadre per giocare un campionato. La Juve, per vincere lo scudetto, ha bisogno di 19 avversari con i quali competere». [15] Zamparini: «Dovrebbero spiegarmi perchè le 19 partite che il Milan gioca a San Siro valgono cento milioni e le 19 che gioca in trasferta ne valgono dieci, benchè gli avversari siano gli stessi e il Milan sempre quello» (Zamparini). [16]
Sarà mica un’altra volta colpa della globalizzazione? Moratti: «Non mi sento in colpa nei confronti degli altri club italiani e invece avverto una grande responsabilità nei confronti dei nostri tifosi, che, giustamente, vogliono una squadra assolutamente competitiva. Abbiamo tifosi in tutto il mondo, Cina e America comprese e dobbiamo essere all’altezza delle loro aspettative. E per farlo, servono consistenti risorse economiche. Queste non sono scuse, ma motivi reali per i quali considero eque le regole attuali». [14] Franco Carraro, presidente della Figc: «Sul contratto Juventus-Mediaset la mia prima valutazione è positiva. Se una grande azienda come Mediaset investe tanto denaro nel campionato italiano significa che ci vede un grande futuro e che le grandi squadre non pensano solo a fare una lega europea: nel breve o medio periodo la Juve, se incassa tanti soldi, giocherà il campionato italiano». [17]
Il modello che piace di più ai contestatori è quello inglese. Giovanni Valentini: «Dividere il 50% dei diritti televisivi in parti uguali per ripartire il resto in base alla classifica dell’anno precedente, al numero degli abbonati e dei tifosi». [18] Sono però più probabili altre soluzioni. Fabio Monti: «Un congruo aumento della quota sui diritti criptati, destinata agli altri club. Non più il 18% o il 19%, come indicato dalla commissione, ma una percentuale vicina al 30%». [15] Si tratterebbe di una divisione in tre parti: un terzo da ripartire fra le venti società, in parti uguali; un terzo da dividere su criteri meritocratici (il piazzamento in campionato); un terzo in base agli abbonamenti raccolti. [19] Tosatti: «Legittimo discutere una ripartizione ancora più favorevole per i club medio-piccoli. Ma senza dimenticare che essi nel 1999 depauperarono la serie A, destinando ben 200 miliardi (lire) alla B. Decisione presa da chi preferiva - pur partecipando alla A - garantirsi un paracadute economico in caso di retrocessione. Comprensibile con 4 bocciate all’anno su 18. Ora sono solo 3 su 20. Ma fu quella scelta a dissestare il sistema, togliendo risorse alla A e ingigantendo i costi della B. Il modello Premier League non prevede nessun finanziamento alla B. Anche negli altri Paesi europei essa riceve aiuti molto ridotti. Non è giusto, quindi, sostenere che nel nostro calcio manchi una forte mutualità interna». [9]
Il sistema con cui vengono ceduti i diritti tv incide sulla competitività? Tosatti: «In Francia vendita collettiva: il Lione ha già in tasca il quinto scudetto consecutivo. Idem in Germania: il Bayern ne ha conquistati sei negli ultimi dieci anni e ha ipotecato il settimo. Chi cita la Premier League, come perfetto esempio di equità, dovrebbe almeno leggerne l’Albo d’oro. Da quando esiste, il Manchester ha vinto 8 campionati, l’Arsenal 3, il Blackburn uno. Poi Paperone Abramovich ha ucciso il torneo». [9] Antonio Giraudo, ammininistratore delegato della Juventus: «La vera differenza nella lotta al vertice l’hanno da sempre fatta i mecenati. I grandi investimenti della famiglia Agnelli, del dottor Berlusconi, della famiglia Moratti, hanno creato società di livello mondiale». [20] Adriano Galliani (presidente della Lega Calcio, vicepresidente e ad del Milan): « la storia, non altro». [21]
Ovunque ha sempre vinto lo scudetto un piccolo gruppo di club. Epperò lo squilibrio si è accentuato. Tosatti: «Fin quando c’erano la Coppa Campioni, la Coppa Uefa e la Coppa delle Coppe (tutte a eliminazione diretta) il calcio europeo è cresciuto in modo equilibrato: moltissimi club avevano la possibilità di mettersi in luce, di avere spazi televisivi liberi, introiti dovuti ai risultati e abbastanza equamente divisi. Poi l’Uefa, per tener buoni i grandi club in rivolta, ha abolito la Coppa delle Coppe, svilito la Coppa Uefa confinata al giovedì, requisito martedì e mercoledì per una Champions a gironi, creando un’élite europea che ha letteralmente ricoperto d’oro, consentendole di prendere un vantaggio incolmabile (economico e agonistico) sulle rivali interne. Una ventina di club hanno un posto quasi fisso nella Champions, sono quelli che dominano i rispettivi campionati, grazie ai soldi dell’Uefa, la quale vende i diritti collettivamente: i partecipanti son ben felici di consentirglielo, visto i ritorni». [9]
Negli ultimi 10 anni il calcio si è trasformato in industria con un indotto da 6 miliardi di euro. Pietro Candela (Booz Allen Hamilton): «Da quando il prodotto calcio è uscito dai confini dello stadio con la pay tv, si è verificato un interessante paradosso: i ricavi sono quadruplicati, eppure il settore ha rischiato il collasso per l’esplosione di ingaggi e campagne acquisti faraoniche. Non solo, oltre 20 milioni di italiani seguono la sempre più ampia offerta radiotelevisiva di calcio parlato e giocato, eppure i tifosi hanno in parte ridotto la loro frequenza allo stadio. Ma allora i maggiori ricavi e attenzione della tv aiutano davvero il calcio?». [22] Tosatti: «Ci vuole (e manca) una strategia di vendita. Perché il diritto di proprietà non significa diritto di cessione. Il digitale terrestre svuota gli stadi, abbassa il valore del prodotto, gli nuoce? Non lo si vende. O si fa una sperimentazione a tempo. Idem per i telefonini, per Internet ecc». [9]
Si litiga per strappare qualche euro in più, non si ragiona come un’azienda con un piano industriale. [9] Claudio Lotito, presidente della Lazio: «In Inghilterra la tv incide soltanto per il 25 per cento sulle entrate di un club: dobbiamo prendere esempio dagli inglesi. Per forza c’è la fuga dagli stadi... noi abbiamo stadi da Terzo Mondo. Cosa propongo? Svincolarci dalla dipendenza dei diritti tv creando impianti come se fossero Disneyland, per famiglie. Stadi come aeroporti, che prendono le royalties sui negozi. Stadi con palestra, parrucchiere, cinema, boutique, servizi: una famiglia si deve sentire a casa propria. Perché il ricavo dello stadio non deve arrivare soltanto dal biglietto! Ho fatto uno studio in base al quale sfruttando bene un impianto polifunzionale si possono incassare 120 milioni all’anno». [23]