13 gennaio 2006
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 1. Il Corpo Se scoprite di essere un tubo digerente collegato a un orifizio e la cosa vi pare demoralizzante, peggio disonorevole, provate con la vodka, evitando almeno per ora di spararvi una fucilata in bocca o lasciarvi cadere schifati dal sesto piano, come hanno fatto Gilles Deleuze e tanti altri squilibrati, prima e dopo di lui, con la scusa di un cancro qualsiasi
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 1. Il Corpo Se scoprite di essere un tubo digerente collegato a un orifizio e la cosa vi pare demoralizzante, peggio disonorevole, provate con la vodka, evitando almeno per ora di spararvi una fucilata in bocca o lasciarvi cadere schifati dal sesto piano, come hanno fatto Gilles Deleuze e tanti altri squilibrati, prima e dopo di lui, con la scusa di un cancro qualsiasi. Svenire con educazione è fondamentale in certi casi, specialmente se vi hanno appena infilato in tasca un depliant sul tema La prostata questa sconosciuta, scegliendo te e non altri tra le decine di passeggeri in attesa d’imbarcarsi sul volo Milano-Roma delle 18 e 50. Rimuovere l’idea di essere un sacco di sterco dentro un paio di boxer freschi di bucato è fondamentale se hai quell’età che si colloca idealmente tra i rigurgiti dell’esofagite peptica, i colpi della strega, le flatulenze, la putrefazione sospesa, l’insonnia cronica e l’ipertrofia della prostata appunto. Per punire il corpo, i Casanova da strapazzo si danno all’ebbrezza spermatica. La dannazione della copula. Finché c’è la salute. Quando manca la salute lo stupro è garantito. La manutenzione di un ascensore, al confronto, è meno indecente. Ti lasci stuprare volentieri da medici e infermieri perché sai che almeno loro, per difetto d’immaginazione, eviteranno di disgustarsi del tuo duodeno. Lontani e perduti per sempre i tempi in cui la mano materna introduceva, con la scusa della febbre alta, l’estasi della supposta. Non fatevi illusioni. Una volta adulti, a meno che non siate il Dalai Lama, i vostri escrementi e la vostra orina non saranno oggetto di venerazione. A meno che, non siete il Dalai Lama ma a occuparsi di voi sia Jeffrey Dahmer in persona, il mostro di Milwaukee o uno del suo calibro. La cattiva sorte di uno come Jeffrey è di non essere cresciuto a Napoli, la città più bella e più macabra del mondo, dove con i morti ci giocano come fossero bambole. Non si diventa Jeffrey Dahmer per caso. Se a 11 anni sei uno che perde la cognizione del tempo per fissare, attonito e insieme orripilato, lo scheletro decomposto di Bambi, non si scappa: diventerai Jeffrey Dahmer o un antropologo forense che studia salme in formalina nella Fabbrica dei Corpi a Knoxville. In entrambi i casi proverai un’ammirazione sincera per il fair play del cadavere. La sua rassicurante docilità. Uno come Jeffrey uccideva gli uomini, come Roberto Baggio uccide le anatre. Per amore. Amore pornografico dell’inanimato. Già da piccino quel sentimentale di Jeffrey uccideva e squartava qualunque cosa respirasse nei suoi paraggi. Smontava e rimontava i pezzi prima di squagliarli nell’acido. Cercava qualcosa e non la trovava. è così che si diventa un serial killer o un Nobel mancato. Jeffrey Dahmer non era uno psicopatico come Sid Vicious o Giovanni Brusca. Più simile semmai a quel mattacchione di Cesare Lombroso, febbrile scoperchiatore di crani e collezionista di organi. Prendere o riprendere la parte e infischiarsene del tutto non è solo l’ossessione di Rocco Siffredi o la macelleria di Francis Bacon. il magazzino all’ingrosso di Satana. Lo sanno bene anoressiche, digiunatori tebaidi, maniaci igienisti, sostenitori della punizione corporale, mercanti e venditori di organi. Questi ultimi soprattutto. Che il diavolo non patteggia, non si occupa di anime, ma solo di corpi. Pezzi di corpi. Invenzioni deliranti, parti ridondanti, doppioni superflui. Lo sa bene Miguel Correia De Oliveira, 30 anni, disoccupato, padre di due figli, autore dell’inserzione apparsa in un giornale popolare brasiliano: «Sono disposto a vendere qualsiasi organo del mio corpo non indispensabile alla mia sopravvivenza, in cambio di una somma che mi consenta di mantenere la famiglia».