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 2004  novembre 15 Lunedì calendario

Saba, mezzo ebreo e gay innamorato di sua moglie, Corriere della Sera, 15/11/2004 Saba, va detto e sottolineato, fu omosessuale per dovere di lealtà verso la propria natura

Saba, mezzo ebreo e gay innamorato di sua moglie, Corriere della Sera, 15/11/2004 Saba, va detto e sottolineato, fu omosessuale per dovere di lealtà verso la propria natura. Lo fu come tanti altri lo sarebbero e non lo sono, facendo così torto a loro stessi e vivendo come in fuga anche dalla loro ombra. Con uguale animo Saba fu, volle essere un marito geloso, possessivo, crudele perché innamorato, perché disperatamente affettuoso, perché ingegnosamente nemico della propria tranquillità come altri potrebbero esserlo o forse dovrebbero esserlo se avessero sufficiente fantasia e ardimento. Saba desiderò continuarsi nella paternità e si comportò come un cattivo padre perché, come troppi altri padri, non accettò mai, non accettò interamente di consegnare alla vita, ai pericoli della vita quella figlia che per troppo amore non riusciva ad amare davvero. Saba fu un uomo come pochi altri o forse solo come gli artisti, i poeti e i filosofi sanno esserlo. Fu uomo senza altri aggettivi che quelli della propria umana, soave debolezza e di tutto questo scrisse il poema in quello che chiamò Canzoniere, contraddicendo nella semplicità apparente di quel titolo la semplicità stessa. Altro non mi verrebbe da aggiungere, se non fosse mio compito illustrare questa raccolta epistolare. Questo duetto di due vecchi, stanchi coniugi, che vorrei fosse letto e recepito come un’unica lettera a due voci sul matrimonio, anzi meglio sulla deontologia matrimoniale. L’uomo che scrive alla sua sposa, alla sua Lina, è un vecchio più vecchio di quanto l’anagrafe giustificherebbe. Nel 1945 Saba ha, infatti, poco più di sessant’anni ma si conduce come fosse ormai un reduce dell’esistenza. [...] All’epoca, sulle spalle del poeta, gravava il peso nervoso della guerra appena conclusa. Ancor più pesavano gli anni, lunghissimi e distruttivi, trascorsi con il bavaglio alla bocca e le labbra incollate dagli intollerabili silenzi imposti dalle leggi razziali. A stingere sul dolore di Umberto, sulle sue parole di attempato e un po’ lamentoso fanciullo, non sono tuttavia solo i tragici eventi collettivi. Il vestito di un’innocenza, che si confonde spesso con il pudore, lascia indovinare dietro il semplice, meravigliosamente semplice e disadorno dettato di queste lettere a Lina rimorsi mai sopiti, trasalimenti crudeli. Buie realtà del cuore che queste pagine epistolari, quasi una sorta di timida variante collaterale dell’opera poetica, testimoniano con l’evidenza d’un reperto insostituibile. I conti sono presto fatti. Nella Trieste asburgica della giovinezza sabiana, nell’Italia fascista dei suoi anni pieni e maturi, essere ebrei, omosessuali e poeti doveva risultare incommensurabilmente più difficile di quanto non sarebbe oggi. [...] Provate adesso, pazienti e gentili lettori, a immaginare tutto il concerto di trasgressione che si è cercato di contabilizzare, cercate di considerarlo ospite forzato e furtivo d’una piccola borghesia, perché tale era il milieu sociale di Saba, che aveva fatto del pregiudizio la sua bandiera e nel clima di sospetto di un’Italia che andava sempre più assimilandosi alla dittatura mussoliniana. Che ne dite? C’è di che farsi venire i capelli dritti! Come non bastasse questo poeta finì con il farsi carico anche d’una rovinosa tossicomania, cominciata dall’abuso di sonniferi e finita nella morfina. Non stupisce perciò che Saba, come testimoniano in parte anche queste lettere scritte al tramonto della «calda vita» e nell’Italia appena liberata dal nazifascismo ma certo non ancora libera, abbia sentito il bisogno di difendersi come poteva. Così per sfuggire al bigottismo sia ebraico che cattolico, inventa la condizione del mezzo ebreo. Una condizione estrema nella sua ambigua disponibilità anche razziale, tale in ogni caso da consentire a Saba di essere ebreo senza esserlo del tutto, guardandosi cioè esserlo da altra sponda e con teatrale civetteria. Quanto all’omosessualità, Umberto decise di nasconderla al mondo senza nasconderla a se stesso. In caso contrario, non si sarebbe misurato con un aspetto così qualificante del suo esserci, scrivendo con incantevole innocenza e sincerità Ernesto. [...] Saba e Lina Wolfler si conobbero nella Trieste ancora austriaca. Correva (probabilmente) l’anno 1905. Ma si possono dare date al sorgere d’un amore che sembra oltretutto immaginato dagli astri facendo concorrenza a un romanziere dolcemente crudele? [...] La signora Saba, classe 1877, era una di quelle bellezze ebraiche, cresciute nell’ombra gelosa dei ghetti, che evocano in chi abbia a un dipresso il suo stesso sangue arcani divieti, prescrizioni, musiche dove un atavico senso di colpa si mescola solerte al desiderio suggerito da una sensualità antica, una sensualità che precede l’immagine stessa della donna che si ha davanti nel mentre ce la rende misteriosamente familiare. Quella poesia, che in Saba si fa subito gendarme e misura di tutte le cose, renderà ben presto un ambiguo omaggio a Lina, dissacrandola col farne una Carmen, anzi Carmencita dalle movenze di melodrammatica sigaraia. [...] Lina, lo vedrà subito il lettore, era intelligentissima. Così da riuscire, in un suo modo insieme diretto e approssimativo, a trovare ogni volta quei piccoli ma grandi argomenti che senza scomodare le idee, limitandosi a sentimenti essenziali e in se stessi forse monotoni, riuscivano a far sentire sempre ancora, di lettera in lettera, l’emozione d’un grande, incrollabile amore. Fingendosi una semplicità di sentimenti da massaia, dico fingendo per non scomodare le certezze di Saba e non già per ingannarlo, Lina fa sentire in ogni lettera il fascino onesto e spoglio della sua fedeltà sempre devota e mai ricattatoria. Una fedeltà che, a parte una rapida tempesta (una rivolta giovanile che finì col destare nello sposo il leone d’una passionalità altrimenti dormiente), durò quasi mezzo secolo superando tutti gli scogli d’una difficile, a volte litigiosa quotidianità. Tanta fatica, tanto e spesso cosi ingrato impegno perché? Perché Lina amava davvero Umberto ed era, sia pure in modo del tutto particolare, riamata dal suo faticosissimo marito (più e meno che marito). Da un pazzo che non perdeva però mai la testa e che lei sapeva essere uno straordinario poeta. Un poeta che tornava a farle continuamente dono della sua poesia. Tanto che proprio l’amore coniugale tornerà, insieme a una segreta e mai perduta nota omosessuale, fecondo ispiratore in molti dei componimenti cui Saba deve la sua grandezza di protagonista da riscoprire del nostro 900 letterario. Antonio Debenedetti