La Repubblica 03/01/2006, pag.41 Lucio Villari, 3 gennaio 2006
Sanguigno Churchill. La Repubblica 03/01/2006. Quando Winston Churchill, a ventisei anni, sedette tra i conservatori nei banchi del più famoso parlamento del mondo correva l´anno 1900
Sanguigno Churchill. La Repubblica 03/01/2006. Quando Winston Churchill, a ventisei anni, sedette tra i conservatori nei banchi del più famoso parlamento del mondo correva l´anno 1900. Di coloro che, accanto o contro di lui, occuperanno la scena politica dei successivi cinquanta anni, cioè Roosevelt, Mussolini, Stalin, Hitler, non si sapeva assolutamente nulla: erano dei ragazzi, uno con un tocco di eleganza borghese (Roosevelt), gli altri mediocri studenti. Ebbene, Churchill, discendente del settimo conte di Marlborough nonno paterno e, da parte della madre, da un nonno newyorchese, un finanziere di successo, proprietario di giornali, sarà un protagonista leggendario della storia politica, militare, economica, diplomatica del mondo fino al 1955, quando all´età di ottantun anni, lasciò la carica di primo ministro. Protagonista anche della storia culturale del Novecento: caso unico tra i grandi attori della politica, ebbe il premio Nobel per la letteratura nel 1953. Si premiava la espressività e la potenza evocativa della sua scrittura storiografica (nessuno storico ha avuto finora questo riconoscimento) e, indirettamente, la seducente e convincente forza del linguaggio verbale dei discorsi ai Comuni, dei comizi, delle interviste radiofoniche, degli appelli ai combattenti e agli alleati della Seconda guerra mondiale, che molto hanno contribuito alla psicologia dello scontro, alla vittoria della razionalità della politica e di una sua funzione essenzialmente umanistica. La razionalità e l´umanesimo attraversavano criticamente un modello particolare di conservatorismo; quello che fece emergere Churchill dalla classe dominante inglese non soltanto per il vigore con il quale difese la costituzione politica liberal-democratica del suo paese che riteneva essere l´opera più perfetta creata dagli uomini nel corso della loro storia, ma anche per il dinamismo combattivo con il quale rivelò il senso reale, l´intenzione più autentica ed evolutiva di quel conservatorismo. Si è sempre parlato di Churchill come dell´ultimo simbolo ideologico di una Inghilterra imperiale; di un impero che, tuttavia, egli accompagnò, nel modo più pacifico possibile, a una morte dolce. Certo, c´era in lui il traslato di un personaggio di Kipling con i tratti, come è stato detto, di una differenza di fondo, ben visibili anche «nella sua figura sanguigna e spiegata, così poco conforme al modello stilizzato del conservatorismo inglese». E kiplinghiano è stato il suo gesto decisivo per la guerra a oltranza al nazismo, che, nei mitici «cinque giorni» di fine maggio 1940, piegò l´ipotesi di Lord Halifax di una pace separata con la Germania e l´opportunismo di alcuni ministri del governo da lui presieduto, che non avevano capito come fosse mortale la sfida hitleriana alle libertà del mondo. Anche ai «cinque giorni» gli italiani, che di lì a poco dichiareranno guerra agli inglesi, debbono il crollo del fascismo e la miracolosa trasformazione, tra il 1943 e il 1944, di un paese aggressore in alleato delle democrazie occidentali, restituito poi, grazie a questa alleanza, alle istituzioni moderne e aperte di un sistema sociale democratico. Altre volte ho ricordato su queste pagine che gli aspetti socialmente progressivi della nostra Costituzione non possono non avere avuto tra i più alti riferimenti ideali e pragmatici quanto il governo Churchill fece durante la guerra per realizzare quel sistema efficiente di Welfare State, di protezione dei lavoratori, e delle classi più emarginate, che vincerà, alla fine, i sogni bugiardi e repressivi dello stalinismo e del socialismo reale. In pieno conflitto, mentre Londra, Coventry, e altre città inglesi erano bombardate, affamate, impaurite, il governo Churchill varava, era il 1942, il primo Piano di riforme sociali stilato da Lord Beveridge, un economista liberal-conservatore, contro le ingiustizie e le interdizioni di una società classista, e nel 1944 il secondo Piano Beveridge a favore della piena occupazione e contro l´angoscia e la solitudine di quanti cercavano lavoro e solidarietà nazionale. A pensarci bene, cioè a riflettere storicamente e non ideologicamente sulle cose, quando Churchill, vincitore della guerra, fu mandato a casa nel 1945, il governo laburista di Attlee e di Bevin fu eletto sull´onda delle speranze e dell´entusiasmo delle masse inglesi, suscitati proprio da quel conservatorismo progressivo, seriamente liberal e in contrapposizione altrettanto seria, non grottesca, del comunismo e del mondo illiberale che, secondo un´espressione vividamente letteraria coniata da Churchill a Fulton nel 1946, si era instaurato dietro una «cortina di ferro». Infatti, il potenziale innovativo del laburismo inglese cominciò ad essere intaccato già nel 1947, aprendo la strada a un clima politico di incertezze interne e internazionali (siamo in piena guerra fredda) che richiederà il ritorno sulla scena dell´indomabile Winston Churchill. Era dunque primo ministro nel marzo 1953 quando, all´annuncio della morte di Stalin insieme al quale aveva comunque vinto Hitler, lanciò un messaggio di pacificazione agli amici conservatori con parole non retoriche di disgelo: «Forse una brezza nuova soffia sul mondo tormentato». Lo stesso understatement manifestato, ricorda Martin Gilbert in questa affascinante biografia di Churchill, quando Elisabetta II manifestò il desiderio di insignirlo dell´ordine della Giarrettiera. A una amica scrisse che l´idea di diventare Sir «era meravigliosa» e che non poteva opporsi al desiderio della «graziosa regina». Ma Sir Winston non fu soltanto una icona sorprendente del Novecento. Il suo tratto umano, le stanchezze, i malesseri, anche gravi, che non lo hanno mai piegato, il sigaro, il whisky, lady Clementine, i figli complicati, la sua educazione sentimentale maturata nelle trincee della guerra anglo-boera del 1899 e nella temeraria impresa di Gallipoli del 1915, e poi gli impegni di governo al tempo della odiata rivoluzione bolscevica, la sua preoccupazione per le conseguenze sull´Europa della Prima guerra mondiale («Come convertire la produzione dalla guerra alla pace? Come trasformare le spade in aratri?»), le successive polemiche con Keynes sul laissez faire in economia, tutto questo arricchisce le dimensioni plurali di questa figura ancora presente nella cultura contemporanea. Anche dal punto di vista della comunicazione dell´informazione storica, gli studi su Churchill stanno infatti rifiorendo nella pubblicistica europea e americana. Martin Gilbert, oggi il maggiore studioso di Churchill, ha pubblicato nel 2005 un Churchill and America che spero possa essere presto tradotto in italiano insieme a un´opera importante (ma potrei citarne molte altre) apparsa negli Stati Uniti due anni or sono dal titolo Franklin and Winston. An Intimate Portrait of an Epic Friendship. Solo nel continente televisivo e giornalistico italiano l´orizzonte visibile del ricchissimo Novecento si riduce a Mussolini e dintorni familiari. Churchill, tutto sommato è meglio ricordarlo en passant e per qualche anziano rievocare le strisce satiriche di De Sena sul Vittorioso dei primi anni Quaranta, dove «re Giorgetto d´Inghilterra col ministro Churchillone» erano presi a calci da un muscoloso Balilla. Lucio Villari