Pietro Scoppola la Repubblica, 10/11/2004, 10 novembre 2004
E il prof. Scoppola citò l’Action Française per scomunicare ”Il Foglio” (una risposta), la Repubblica, 10/11/2004 Mi sembra del tutto irrealistica, priva di ogni fondamento, l’idea di un’offensiva anticattolica, di un revival di anticlericalismo
E il prof. Scoppola citò l’Action Française per scomunicare ”Il Foglio” (una risposta), la Repubblica, 10/11/2004 Mi sembra del tutto irrealistica, priva di ogni fondamento, l’idea di un’offensiva anticattolica, di un revival di anticlericalismo. Il caso Buttiglione si inquadra in altre, ben più semplici categorie; il mancato richiamo esplicito alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea non implica alcuna ostilità anticristiana: le radici cristiane dell’Europa, come ha ben argomentato su queste pagine Stefano Rodotà [inserto III, ndr], sono presenti nei principi ispiratori della Carta e non sono dichiarate esplicitamente perché l’Europa è tutta la sua storia e sarebbe stato poco opportuno mettere in evidenza esplicita un elemento, anche se di particolare rilievo, senza provocare comprensibili reazioni. Infine Zapatero e alcune delle sue discutibili iniziative: la storia della Spagna fin dall’Ottocento è spesso storia di radicalismi estremi, le guerre «carliste» per la successione al trono alla morte di Ferdinando VII diventano guerre di religione fra liberali e clericali. Non vi è nella storia spagnola la presenza moderatrice del cattolicesimo liberale. Ma la Chiesa spagnola non sembra affatto orientata a rientrare nella spirale tradizionale del conflitto: «Davanti a queste proposte - ha dichiarato in un’intervista al ”Regno” Juan Antonio Martinez Camino, segretario generale della Conferenza episcopale spagnola - alcune delle quali appaiono precipitose e provocatorie, i vescovi spagnoli stanno reagendo in modo molto equilibrato [...] si tende a non esasperare gli animi». Insomma il caso spagnolo ha un suo carattere proprio e non può essere assunto per dimostrare l’esistenza, a livello europeo, di una iniziativa anticattolica. Quella che è invece chiaramente visibile è la iniziativa di alcuni esponenti laici, con inevitabili risonanze in campo cattolico, volta a servirsi del cristianesimo, del cattolicesimo e della Chiesa in campo politico come elemento di identità di fronte alla minaccia del terrorismo ispirato al fondamentalismo islamico. Penso alla discussa intervista del presidente del Senato Pera, alle iniziative giornalistiche di Ferrara o alle mobilitazioni in «difesa dei valori cristiani» che vengono da movimenti giovanili di destra. Il fenomeno non è nuovo. Il precedente più significativo è quello della Action Française, il movimento guidato da Charles Maurras, un uomo dalla personalità complessa, uno scrittore potente, formatosi nel cattolicesimo più rigoroso e tradizionale, ma approdato alla incredulità a seguito di una crisi psicologica ed esistenziale, scatenata da una malattia che lo aveva portato alla sordità. «Egli ha odiato, nel Cristo redentore - ha scritto lo storico francese Jacques Prevotat cui dobbiamo la più recente ricostruzione della vicenda della Action française e della sua condanna - un Dio che sembrava tollerare la sofferenza e farne perfino l’apologia; giungendo fino a dare un senso all’intollerabile». Di qui l’approdo a un cattolicesimo ateo, anticristiano, paganeggiante e tuttavia esaltato come scuola di disciplina, un cattolicesimo visibile e ostentato come elemento essenziale della grandeur della Francia; un cattolicesimo intollerante, antiliberale, antisemita. Quelle idee nella Francia della III Repubblica profondamente segnata dal laicismo di Stato e da un forte anticlericalismo, ebbero una enorme diffusione creando una profonda frattura nel clero e nel laicato colto. Le motivazioni personali di Maurras e il suo ateismo rimasero in ombra per chi del movimento apprezzava la volontà restauratrice di antichi valori in una sintesi nuova di nazionalismo esasperato e di cattolicesimo preliberale. Quel che importa qui ricordare è che il movimento fu condannato dalla Chiesa: le opere di Maurras furono poste all’indice e l’Action française fu condannata una prima volta da Pio X nel 1914 alla vigilia della guerra (e proprio questa coincidenza sconsigliò la pubblicazione della condanna), una seconda volta solennemente da Pio XI nel settembre 1926. Pio XI aveva lucidamente visto nel movimento l’affermazione della politica al di sopra di ogni valore etico, l’esaltazione incondizionata della ragion di Stato, la strumentalizzazione del cattolicesimo a fini politici. Una condanna lungimirante perché la tendenza a valersi, per fini politici, di un cattolicesimo non cristiano o dichiaratamente ateo attraversa il secolo scorso - Mussolini, come Ciano ricorda nel suo Diario, amava definirsi cattolico non cristiano - quella tendenza a quanto pare sta debordando sul nuovo secolo in un contesto diverso ma non meno inquietante. Come si sa il fattore religioso, che sembrava destinato al declino e all’irrilevanza negli ultimi decenni del secolo scorso, ha ritrovato tutto il suo peso nel momento stesso in cui le ideologie entravano in crisi. La religione che ritorna potentemente in scena può essere elemento di pace ma può anche innescare drammatici conflitti quando assume i caratteri del fondamentalismo. Si manifesta oggi nell’appello alla religione di tanti che si dichiarano non credenti proprio la tentazione di servirsi della religione come surrogato delle ideologie cadute, nel momento in cui il fattore religioso assume nel mondo islamico i caratteri aspri del fondamentalismo. Vi è in questo uso politico della religione il rischio di un conflitto di civiltà che solo il dialogo e la comprensione reciproca possono invece evitare. Penso che laici e cattolici debbano interrogarsi sulle condizioni perché il ritorno del fattore religioso sulla scena della storia sia elemento di convivenza e non di lacerazione. Ne indicherei due: la prima di carattere per così dire istituzionale è la laicità degli stati; la seconda è il dialogo interreligioso con tutto quello che un autentico dialogo implica. La laicità anzitutto. La laicità è una parola ambigua, ha molti significati e diverse espressioni. In Francia la laicità tende ad essere una ideologia di Stato. Nel mondo anglosassone è un principio di incompetenza dello Stato in materia religiosa che non esclude il riconoscimento del rilievo sociale del fenomeno religioso, ma implica garanzia di pluralismo e di rispetto per le minoranze. In Italia si delinea oggi una tendenza verso la concezione anglosassone. In questo quadro ha ben ragione Eugenio Scalfari a rovesciare il famoso detto crociano nella formula che domenica scorsa ha lanciato da queste pagine «perché non possiamo non dirci laici». La seconda condizione, che è il contrario dell’uso strumentale di una religione per opporsi ad una altra, è il dialogo interreligioso: dialogo fra diverse religioni e dialogo fra quelle che Arrigo Levi in un fortunato libretto ha chiamato «le due fedi», la fede religiosa e la fede laica. Il dialogo esige il rifiuto dell’integralismo, di ogni integralismo, religioso o laico; dell’atteggiamento spirituale cioè che nasce dalla pretesa di un possesso della verità come cosa propria e che perciò stesso ne nega la trascendenza. «Una fede che non dubita - diceva Unamuno - è una fede morta». Non c’è fede senza il senso del mistero e della ricerca: «Non è forse [il] senso del mistero - ha scritto Norberto Bobbio - che unisce profondamente e indissolubilmente gli uomini dell’una e dell’altra fede?». Le religioni, che tornano ad essere fattore aggregante di primaria importanza, possono con i fondamentalismi o con le utilizzazioni strumentali essere motivo di conflitto; ma possono anche essere, per riprendere un titolo di Lester R. Kurtz, le religioni del villaggio globale. Pietro Scoppola *** la Repubblica, giovedì 11 novembre Caro direttore, consentimi di esprimere il mio rammarico per il tono e gli argomenti, che a me sembrano pretestuosi, scelti dal professor Pietro Scoppola per polemizzare contro il fantasma di un «uso politico della religione» che sarebbe testimoniato, tra altri elementi, dalle mie iniziative giornalistiche intorno al caso della bocciatura a Strasburgo del commissario italiano designato Rocco Buttiglione. Non ho mai scansato le polemiche in vita mia, ma cerco sempre di partire dal riconoscimento delle ragioni dell’avversario, ragioni di cui le persone libere hanno in genere un disperato bisogno. E conto sul fatto che questo sia anche il metodo di chi si professa cattolico democratico o cattolico liberale, di chi tiene un discorso pubblico su un giornale laico come ”Repubblica”. Perché tirare in ballo l’Action Française e i suoi umori reazionari, nazional-cattolici, allo scopo di bollare e discriminare intellettualmente una limpida e chiara battaglia intellettuale contro quella che io ed altri (e tra questi molti laici e liberali da Galli della Loggia a Ostellino, da Ripa di Meana a Zincone) riteniamo una avvenuta discriminazione ai danni di un politico cristiano? Capisco che il professor Buttiglione, con la cui carriera politica e con la cui identità culturale non abbiamo niente a che fare, pur rispettandola e non esorcizzandola, possa risultare antipatico al professor Scoppola, e che io stesso possa suscitare la sua legittima diffidenza, ci mancherebbe altro. Ma le antipatie o le diffidenze, quando si tratti di parole spese pubblicamente e di azioni pubbliche, non dovrebbero comportare l’anatema culturale, cioè una condanna fondata sull’esclusione di una civile considerazione di ciò che è effettivamente avvenuto e di ciò che è effettivamente stato detto. Ho sempre considerato politicamente legittimo il voto di Strasburgo, che definisco ironicamente una ”defenestrazione” o un processo alla ”strega cattolica” per ragioni puntuali, testimoniate dai verbali in cui il commissario sotto audizione distingueva in modo estremamente puntiglioso le sue idee personali e il suo credo, qualunque cosa se ne pensi, dalla sua piena immedesimazione nella carta dei diritti europei e nelle politiche di non discriminazione alle quali sono affezionato almeno come il professor Scoppola. Posso sbagliare, naturalmente, ma è intellettualmente ingiusto denunciare quel che si presume un mio o un nostro errore ricorrendo a una sorta di ostracismo ideologico fondato sulla caricatura della mia o nostra posizione. Nessuno mai nel ”Foglio” o tra i firmatari del nostro appello che esprimeva «rammarico e preoccupazione» per l’accaduto ha mai montato la panna della ”persecuzione anticristiana” o altre esagerazioni. Il professor Pera ha il suo linguaggio, e forse deve farsi perdonare qualche sua giravolta, noi il nostro. Ci siamo limitati, con uno stile forte ma corretto, con fair play e spirito pluralista di discussione e interlocuzione, da Buttiglione a Pannella, a denunciare con ironia un rischio, di cui il voto di Strasburgo, per i modi e le argomentazioni che lo hanno provocato, ci sembra un segnale allarmante: lo spirito politicamente corretto può trasformare la benedetta attitudine secolaristica e laica delle classi dirigenti europee in una nuova ideologia fondata sul pregiudizio, sull’inclinazione illiberale a negare il diritto alla professione pubblica di una cultura, di una fede e delle sue radici. Dove sta Maurras in tutto questo, e dove sta in tutto questo l’uso cinico della religione, il servirsene strumentale? Perché un cattolico democratico che scrive su un giornale laico si spinge fino ad evocare per analogia la condanna del papato contro l’Action Française, invocando a punizione del nostro peccato di libero pensiero una punizione canonica? C’entra al solito Berlusconi? No, anzi, come correttamente ha riportato ”Repubblica”, lo abbiamo severamente criticato per non aver tenuto il punto con il presidente Barroso. C’entrano Bush e quell’altro strano fantasma del suo presunto ”integrismo” neoconfessionale dilagante in America? No, abbiamo pubblicato, come un documento di alta cultura e una testimonianza di riflessione razionale sul nostro tempo, la Dominus Jesus del cardinale Ratzinger quattro anni fa, quando Bush era il governatore del Texas in cerca di gloria presidenziale e alla Casa Bianca abitava il battista Bill Clinton. Svolgiamo da anni, esattamente come te quando mostri interesse per lo ”strano cristiano”, sebbene pensandola diversamente da te, una attività pubblicistica intorno al rapporto tra religione e politica, e ai fondamenti civili e culturali di una società libera. questo un mettersi fuori dal dialogo, è il progetto «inquietante», come scrive con una certa rozzezza il professor Scoppola, di fare della religione un instrumentum regni? Anche il giornale della Conferenza episcopale ha preso con molto garbo le sue distanze dal nostro modesto ”movimentismo” fatto di libere parole scritte e pronunciate in pubblico. Anche l’autorevole capo della compagnia ciellina delle opere ha stilato la sua brava messa in guardia. Noi non mettiamo il becco in affari ecclesiastici e non siamo interessati, se non per elementare e laica curiosità e attenzione giornalistica, alle questioni delicate che in un clima di fine regno si pongono i cattolici nel mondo e in Europa. Ma se pensiamo che il radicalismo e il populismo di Zapatero siano un altro modo di trasformare il secolarismo benedetto in ideologia intollerante, pensiamo di poterlo dire liberamente. Se pensiamo che il modello americano, la completa separazione tra chiesa e stato e insieme la completa legittimazione liberale del diritto della società a esprimere tutte le sue posizioni, comprese quelle delle oltre trenta denominazioni cristiane o chiese che abitano il mondo americano, è migliore di quello europeo, fondato sui concordati e sulla negazione delle radici cristiane della nostra storia, pensiamo di poterlo dire senza essere accomunati alle ideologie sensuali, ambigue ed equivoche dei movimenti nazional-cattolici del primo Novecento. Accusare il ”Foglio” di essere «devoto» è già profondamente ridicolo, ma accusarlo obliquamente di promuovere «un cattolicesimo intollerante, antiliberale, antisemita» è addirittura grottesco e, credimi, offensivo per la comune intelligenza delle cose e per quella dei lettori. Giuliano Ferrara Condivido l’esigenza affermata da Giuliano Ferrara che in ogni discussione o polemica, si debba «partire dal riconoscimento delle ragioni dell’avversario», il che evidentemente non significa condividerle, ma capirle ed assumerle per quello che sono e non per quello che si vorrebbe che fossero, ai fini della polemica. Ma proprio per questo la sua lettera mi sorprende. Io non ho di proposito parlato del caso Buttiglione, una persona per la quale ho stima e rispetto; ho discusso la tendenza che mi sembra ben visibile in alcuni settori del mondo laico a richiamarsi al cristianesimo per un intento politico che vorrebbe essere quello della difesa dell’occidente, contro la minaccia del terrorismo. A questo uso strumentale del cristianesimo ho contrapposto l’esigenza del dialogo (che non esclude la difesa, quando è necessaria). Il riferimento alla Action Française mi è sembrato e mi sembra del tutto pertinente; ma un richiamo a un precedente storico non significa certo proporre una identificazione e attribuire a chi oggi esprime quella tendenza le posizioni, le idee di Charles Maurras e dei suo seguaci, come ad esempio il loro antisemitismo. Tanto meno ho pensato di invocare nuove condanne della Chiesa. Ho sbagliato a collocare anche Giuliano Ferrara in questa tendenza? Sarei lieto di dovermi scusare con lui per questa impropria collocazione: spero di poterlo fare. Vorrei intanto inviargli il più cordiale saluto Pietro Scoppola