Giuliano Amato la Repubblica, 13/10/2004, 13 ottobre 2004
L’allegra scienza di Amato che mette tutti d’accordo, la Repubblica, 13/10/2004 Nei prossimi giorni presenteremo il disegno di legge sulla fecondazione assistita
L’allegra scienza di Amato che mette tutti d’accordo, la Repubblica, 13/10/2004 Nei prossimi giorni presenteremo il disegno di legge sulla fecondazione assistita. Il testo disciplina, sulla base di una nuova articolazione dei contenuti, l’intera materia già regolata dalla legge 40 varata dalla Cdl. Per questo la abroga. Questa legge, nella nostra intenzione, è legge di apertura della sanità pubblica a pratiche già sperimentate nel privato e quindi di controllo e regolamentazione di tali pratiche a tutela delle persone che vi fanno ricorso e dei nuovi nati. anche, però, una legge che riguarda così direttamente la vita umana e la sua dignità da ispirare alla loro tutela l’intera normativa. Lo si dice già nell’art. 1, comma 2, dove anziché parlare di «diritti delle persone coinvolte, compreso il concepito» si parla di «rispetto» e «tutela della dignità umana»; una espressione questa ben più alta che tutti ci coinvolge, non solo la coppia e il concepito. Così, se al rispetto della dignità umana sono già improntate le norme sul consenso informato e sull’esclusione di pratiche di maternità surrogata, è poi al capo VI che si dettano norme più specifiche. E infatti l’art. 16 pone divieti volti ad impedire un uso improprio di quelle pratiche (la fecondazione di ovociti umani a scopo esclusivo di ricerca, la manipolazione genetica, la miscelazione di semi) avvertito appunto come lesivo della dignità umana, e l’art. 17 si preoccupa di tutelare questa dignità anche nell’embrione, per i casi in cui, correttamente formato a fini procreativi, non possa essere utilizzato per i fini stessi: se ne vieta la distruzione e si prevede che venga destinato a ricerche aventi finalità terapeutiche, un dono a favore di altre vite di una vita che non può crescere, accompagnando tale destinazione con garanzie e cautele atte a tranquillizzare, non meno dei laici, la stessa coscienza religiosa. Quanto premesso sull’impianto generale e sull’attenzione prestata alla tutela della vita e della dignità umana, ci consente ora di illustrare le principali innovazioni che abbiamo inteso introdurre, a partire dalle condizioni di accesso e le tecniche utilizzabili. Le prime innovazioni riguardano appunto le condizioni di accesso: a) non più solo la sterilità o la infertilità, ma anche la presenza di malattie infettive gravi (l’Aids ad esempio) o di malattie genetiche che possano comportare «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro». Nel primo caso si vuole evitare che la coppia che intende avere un figlio sia indotta a rapporti sessuali a rischio di contagio per il coniuge e di trasmissione della malattia al nascituro; nel secondo caso si consente una selezione preventiva degli embrioni evitando la nascita di bambini affetti da gravi patologie ed in sostanza prevenendo un aborto terapeutico; b) non più solo interventi a favore della coppia che possa fornire il proprio materiale genetico, ma anche a favore di quella in cui uno dei componenti sia affetto da sterilità o infertilità congenite o per malattia (ovviamente non per invecchiamento). Sappiamo che l’apertura alla fecondazione eterologa è controversa. Al di la delle convinzioni personali (sono in molti a non ravvisare alcunché d’immorale o di contrario alla dignità umana nel desiderio di avere un figlio anche ricorrendo al seme o all’ovocita altrui, quando un figlio, come insegna la legge sull’adozione, è soprattutto quello che si vuole e si cresce), non si può dimenticare che in particolare il ricorso al seme altrui è una pratica in uso da decenni, che ha dato gioia a tanti genitori e vita a tanti bambini, come non si può dimenticare che la sterilità o l’infertilità maschile e femminile sono in aumento, mentre diminuisce la natalità, e che la loro causa risale spesso a malattie e a conseguenti cure che frustrano un desiderio di maternità e di paternità non ancora realizzato. Il testo limita il ricorso alla fecondazione eterologa alle coppie di coniugi o di stabili conviventi, che siano entrambi viventi e in età fertile. Ma consentendolo appunto alle coppie, sottolinea come prioritari la tutela e il rafforzamento della famiglia, il cui valore come prezioso tessuto connettivo del corpo sociale non può essere predicato in astratto e contrastato in concreto. Né il ricorso agli strumenti indicati è o può essere visto come una scorciatoia: non lo è per chi vi si deve sottoporre, che affronta scelte anche drammatiche e vicende quasi sempre dolorose e spesso umilianti; non può esserlo secondo la nostra proposta, perché questa prevede una gradualità degli interventi, dal più semplice e naturale al più invasivo, ed affida la definizione delle condizioni nelle quali a tali strumenti si può fare ricorso a protocolli specifici, elaborati dal Ministero della Sanità e da esso rivisitati periodicamente (le linee guida). E non c’è solo questo, c’è anche la missione affidata allo stesso Ministero di favorire gli interventi necessari per rimuovere le cause della sterilità e della ipofertilità, in modo da offrire alle coppie la prospettiva del ritorno alla fecondazione naturale (art.2). Quanto alle tecniche abbiamo cercato in particolare di lavorare sulla fecondazione in vitro, poiché il tema più delicato sollevato dalla legge n.40 del 2004 è notoriamente quello che riguarda gli embrioni. Qui ci siamo avvalsi delle ormai acquisite indicazioni medico-scientifiche circa i due stadi che attraversa l’ovocita fecondato: lo stadio di ootide, in cui vi è solo un accostamento dei pronuclei maschile e femminile, che tuttavia conservano ciascuno i propri patrimoni genetici; e quello di zigote e quindi di embrione, in cui prima si congiungono gli assetti cromosomici paterni e materni e poi, a seguito della segmentazione, compare l’entità bicellulare che è la prima di quel genoma unico ed irripetibile destinato a svilupparsi come persona. una distinzione cruciale quella fra questi due stadi e definire «un espediente» il fatto di ricorrervi e trarne conseguenze è tale una negazione del meraviglioso processo che porta alla nascita da apparire francamente blasfemo. vero, l’ootide diverrà in poche ore un embrione, ma solo a quel punto sarà intervenuta quella trasformazione a cui i documenti stessi della Chiesa (che la definiscono fusio duorum gametum) riconducono l’esservi della creatura umana. Così sono i processi della vita e della morte. E, per chi ha fede, è in quei pochissimi momenti, non prima e non dopo, che l’anima entra nel corpo o lo abbandona. Sulla premessa che gli stessi risultati ottenibili con la crioconservazione degli embrioni si possono ottenere con la crioconservazione degli ootidi (la letteratura al riguardo è ampia e probante e testimonia di un uso ormai affermato e convalidato di tale procedura in altri paesi europei, oltre che nel nostro), si è previsto in primo luogo che il medico espianti ovociti nel numero che ritiene necessario ad assicurare non meno di due impianti, tenendo conto della concreta situazione della singola coppia (salute, età della donna, etc.) e della esigenza di non sottoporre la donna a ripetute stimolazioni ovariche; e quindi che gli ovociti fecondati e non utilizzati per il primo impianto siano crioconservati (sempre e solo a scopo procreativo) non allo stadio di embrioni, ma a quello anteriore di ootidi. In questo modo, lo sviluppo allo stadio embrionale avrà naturalmente e necessariamente luogo per i soli embrioni di volta in volta destinati all’impianto (salvo quelli richiesti dall’eventuale diagnosi preimpianto). Si riduce così, drasticamente ma senza rigide quanto astratte limitazioni e senza danni per la donna, il numero degli embrioni che si producono e che possono restare inutilizzati. Pur tuttavia, la possibilità che permangano embrioni non utilizzati a fini procreativi inesorabilmente sussiste, in primo luogo a seguito della diagnosi e della conseguente selezione preimpianto (non si dimentichi che tale esame può richiedere anche più di cinque embrioni, mentre poi l’impianto in una donna giovane di più di due embrioni rende altamente probabile una gravidanza trigemina) e poi per i casi di rifiuto o di impossibilità di procedere allo stesso impianto. Altri perciò ne saranno prodotti, oltre a quelli risalenti alla fase anteriore alla legge n.40 e tuttora conservati in frigorifero. Poiché la dignità umana che è in loro viene offesa, non solo dalla distruzione in quel frigorifero, ma, secondo una diffusa sensibilità etica e religiosa, anche dalla loro messa a disposizione della scienza come se si trattasse di puri agglomerati di cellule, la nostra proposta definisce un percorso che tiene conto di entrambe le ragioni. In primo luogo essa prevede che nel momento stesso in cui si avvia la procedura di produzione degli ootidi sia chiesto alla coppia di fornire il consenso a che, nel caso ne scaturiscano poi embrioni non utilizzati a fini procreativi, li si possa destinare a finalità terapeutiche (consenso che si prevede debba essere rinnovato, al momento in cui tale diversa destinazione diviene attuale). In secondo luogo si prevede che le linee guida, così come dovranno definire il limite temporale entro il quale ootidi e poi embrioni devono essere utilizzati a fini procreativi, indichino anche il lasso di tempo prima del quale non è consentito l’uso di embrioni a fini di ricerca. Sarà in tal modo possibile consentire quell’uso, quando diviene certo il loro abbandono al perimento. Con questa procedura e con queste cautele non c’è sostanziale differenza fra la donazione degli organi del figlio pre-morto da parte dei genitori, e la donazione a vite altrui delle cellule dell’embrione che si era voluto per avere un figlio. Non si fermano a questi aspetti le disposizioni della nostra proposta, che regola altresì la raccolta e la donazione dei gameti, lo stato giuridico del nato, la tutela della riservatezza, le strutture per l’effettuazione degli interventi e quelle, distinte, per la raccolta e la crioconservazione del liquido seminale. Ma le disposizioni che proponiamo su tali temi sono autoesplicative. In questa sede era soprattutto importante affrontare le questioni legate a visioni e a principi fortemente sentiti e fra loro potenzialmente confliggenti. Ci auguriamo che le nostre proposte valgano a dimostrare che soluzioni condivise sono possibili; senza rinunciare ai principi, ma facendoli valere al di fuori di intolleranti dogmatismi e cercando, ciascuno di noi, di capire le ragioni dell’altro. Giuliano Amato