Laura Piccinini Amica, dicembre 2004, 13 gennaio 2006
Mr. Guardianist, ritratto stereotipo del gauchiste di Sua Maestà, Amica, dicembre 2004 cominciata da quella loro rubrichetta, i Pass Notes, colonnini deliranti illuminati su stereotipi vari dal perché del parquet al senso delle treccine, a «Mr Guardianista», ritrattino ironico di lettore del ”Guardian”, il quotidiano britannico, quasi 400 mila lettori, irriverente-indipendente (non ”The Independent” ché di lettori ne ha poco più della metà e c’è solo dal 1986), fondato a Manchester nel 1821 da un gruppo di «non-conformist businessmen» insomma liberali del centrosinistra (prima c’erano il ”Times” e l’’Observer” fratello maggiore compassato della domenica; dopo ”Evening Standard” e ”Daily Telegraph”, ”Financial Times”, ”Daily Express-Mirror-Mail”, ”Sun” e ”Daily Star”)
Mr. Guardianist, ritratto stereotipo del gauchiste di Sua Maestà, Amica, dicembre 2004 cominciata da quella loro rubrichetta, i Pass Notes, colonnini deliranti illuminati su stereotipi vari dal perché del parquet al senso delle treccine, a «Mr Guardianista», ritrattino ironico di lettore del ”Guardian”, il quotidiano britannico, quasi 400 mila lettori, irriverente-indipendente (non ”The Independent” ché di lettori ne ha poco più della metà e c’è solo dal 1986), fondato a Manchester nel 1821 da un gruppo di «non-conformist businessmen» insomma liberali del centrosinistra (prima c’erano il ”Times” e l’’Observer” fratello maggiore compassato della domenica; dopo ”Evening Standard” e ”Daily Telegraph”, ”Financial Times”, ”Daily Express-Mirror-Mail”, ”Sun” e ”Daily Star”). Perché il ”Guardian” è mancunian, come Thomas de Quincey scrittore romantico del giro di Coleridge, Elizabeth Pankhurst fondatrice delle suffragette, Alex Burgess di Arancia Meccanica, i Joy Division, gli Oasis, il Manchester United, il campione di squash Vicky Botwright, 9 matematici. ”Mr Guardianista” (varianti, Mr Blairista ma sull’Iraq hanno divorziato, o Chomskysta) ha i sandali (Birkenstock), occhialuto, basette, lenticchie piatto preferito, tisane alternative, muesli bio, sushi take away, e senza humour come catalogato dall’acerrimo del ”Sun” (che ti aspetteresti da un quotidiano da 20 p?) Richard Littlejohn, che se non ci fosse stato se lo sarebbero inventato loro, al ”Guardian”. «Direttore, ma qual è il punto G?» No, vabbè (non è per sindrome del giornalismo femminile, ché così ci fate una Pass Notes pure a noi ”Amica”, e nessun riferimento all’informazione sexed up acchiappa-audience che voi semmai l’avete denunciata), volevo dire il fattore G, insomma «ma, come fate a farlo così, ”The Guardian”, ché gli altri o generalisti o di nicchia metti ”Libération” bello ma proprio francese e no popular». Eppoi piantato nell’immaginario-guida col viaggio studio a Londra metodo Callan Oxford Street e trauma dei piani progressivi meritocratici delle aule, con la copia di The Face di quando non ce l’aveva l’edicola sotto casa, con le Doc Marten’s da comprare per fratello/amici prima che la globalizzazione le moltiplicasse nei 15 negozi di sneakers e stivali seriali di Milano via Torino, con lo streetstyle stile di strada sottoculturale mica roba da imprenditori e fiere, e con Dickens-Woodehouse-Hornby-Kureishi. Ché nel ’64 il ”Guardian” si è spostato a Londra a fare stampa leggendaria di Fleet Street, prima che arrivasse Murdoch a far disastri grazie all’amica Thatcher e a far del circolo un circo. Ora stanno a Farringdon Road 119 EC l, area gentrificata coi ristoranti etno e i clubs al posto dei pubs. Ma si ricambia, dice il direttore, che parte dal punto D. «I love diagrams» Dice Alan Rusbridger, 50, alto, occhiali da «volevo insegnare letteratura a Cambridge», faccia da «eterno studente a un’età in cui dovrebbe lavorare per contribuire a una società che ritiene debba garantirgli un lavoro, ma vediamo se riusciamo a consolarlo coi soldi della Lotteria» (’Mr Guardianista” pure lui). Prende il foglio e disegna: «Questi sono gli altri - un triangolo col direttore infilzato in cima - questo non sono io» - croce sopra, piuttosto una barra coi giornalisti in fila orizzontale e lui un puntino democratico a coordinare tutti, ma soprattutto due grandi frecce su giù a mo’ di feedback - il ritorno della comunicazione - tra chi scrive e chi legge. Accanto le «creature» (figlie a parte): l’inserto culturalspettacolare ”G2” mezzoformato specie di «fratellino scapestrato portavoce per dire qualcosa di troppo pop o estremo o imbarazzante»; e il ”G Unlimited co.uk” sul web (già premio), ché «credo nei bloggers, prima di loro il giornalismo era a tavole di Mosè, ora se sbagli te le tirano dietro». E il misto low brow/high brow? Nella fotona di copertina sono passati negli ultimi giorni: un vecchio Tory addormentato in prima fila al congresso di partito (foto di Dan Chung), una scultura-installazione traduzione geometrico-estetica di un discorso di Winston Churchill, un rospo, una modella, David Beckham beccato. Ma il risvolto politico della cultura popolare è una tradizione autorevole e seria. Frutto di una svolta. Non bastava il restyling 1988 post-’Independent” nuova grafica e basta errori tipografici di quando lo chiamavano ”The Graudian”. Graudian? Nel 1970 è uscita sbagliata pure la testata (ora ci sono le Corrections and Clarifications). The morning meeting Quella riunione del mattino 1994, un dibattito seminale, il «KC moment, col City editor che ”mia figlia 13enne piange disperata, c’è questa rockstar che si è sparata in bocca a Seattle, Kurt Cobain”, ne è nato un gran casino, chi diceva in prima no e chi la storia si è spostata qui, da allora è normale, lo fa pure il ”New York Times”, puoi scrivere di Cobain o di Eminem, se lo fai con intelligenza, altrimenti il lettore ti disintegra». Già, la riunione del mattino: rintocca il triangolo sonoro - rubato al ”Washington Post”, spiffera la segretaria - scorre la quarta parete della stanza del direttore e tutto si fa open space, si ridacchia ché da oggi c’è il microfono, tactac, fshhh. «Abbiamo moltissime richieste per venire qui, è un po’ un mito, gli americani ci amano o ci odiano, il giornalismo loro è senza sangue, ricerca dell’oggettività, noi più passione e sense of humour». Cimeli di redazione Spada di plastica al muro, Rusbridger la imbraccia e racconta la storia del ministro di gabinetto tory Jonathan Aitken che lanciava in diretta tv la «battaglia al ”Guardian” da combattere ”con-la-spada-della-verità” e tre anni dopo stava in galera, così questa è la spada»; i soldatini di Blair-Bin Laden-Bush seduti in libreria li ha «comprati su un sito internet americano», a uno si stacca la testa e dice cose impronunciabili. Giornali preferiti: ”New York Times”, ”LA Times”, lo svizzero ”NZZ”, ”El Mundo”. Miglior complimento? Le cause e le battaglie legali in corso, vedi ufficio apposito. Usi alternativi del ”Guardian”? Avvolgerci le fish and chips e foderarci la gabbia dei pappagalli. La cosa più ridicola giornalisticamente commessa? «Affidare il ”G2” a una banda di artisti contemporanei». Dubbi? «è uno strano momento nella storia del giornalismo, non si sa bene che leggerà la prossima generazione quindi tocca tenersi pronti su tutto. Magari un foglio elettronico a cristalli liquidi (ma fa un po’ Bill Gates e ridimensiona, ndr), perché far scorrere le pagine con lo ”scroll” stanca la vista, e c’è da evitare il rischio del farsi ciascuno il suo Daily Me, articoli da scaricare se interessa, solo football e niente Africa». Entro il 2006 si cambia formato, qualche lettore si è perso e non è bello, invece il nuovo ”Guardian” «sarà bellissimo», 96 pg, un cm più del tabloid facile da leggere sul bus ma con abbastanza spazio per i misti alto-basso cultura-politica-pop; e «sono contenti di non diventare grandi - cioè piccoli - come il ”Times”», ma midi con le Berliner presse da 50 milioni di sterline in arrivo, e ci sposteremo tutti a King’s Cross, zona di prostitute e un Holiday Inn dicono le guide non aggiornate. C’è il rischio che col loro bus bipiano (si vede sempre ai festivals) vadano a occupare the Gherkin, la torre-cetriolo dell’architetto allievo di Foster che si vede dalle finestre ora; mentre davanti c’è la Newsroom con saletta educativa bimbi, spazio mostre che al momento ospita le vignette di Steve Bell (il loro Staino + Vauro + Ellekappa), l’alimentari italiano dei fratelli Gazzoni in franchising con la pasta De Cecco. Adotta un elettore Usa, sorridete c’è la Fox, un contadino a Londra Il ”G2” è appena uscito con l’iniziativa «Adotta un elettore di Clark County, Ohio, e scrivigli una letterina per non fargli votare Bush» e a poche ore sono 7.000 richieste (aumenteranno). Quelli della Fox proBush (mica solo a noi i canali propremier) si sono presentati con la troupe a vedere che diavolo stavano combinando ’sti comunisti inglesi. Ian Katz, direttore ”G2”, ce li ha in ufficio. «Direttore, il punto ”G2”?». Esempi. Domani «alQaeda non esiste», su una controversa trasmissione tv; c’è stato Maradona visto da Martin Amis; «abbiamo invitato un pecoraro scozzese a Londra al contrario dei famosi di serie Z che stanno in campagna al reality show ”The Farm” su Channel 5»: il 48enne ”Geordie” campeggia sul trattore sfondo Harrods in copertina. Audrey l’inviata di guerra Altra apertura è quella col Territorial in bandiera britannica a pareo e il beauty case di Boots, simbolo dei soldati inglesi part time in Iraq, banchieri-autisti-assicuratori in patria, un giorno fanno fotocopie e quello dopo si beccano la pallottola del non ritorno. Reportage di Audrey Gillan, scozzese, 36, faccia di quella che sa di aver scritto «il pezzo», già «corrispondente estero dell’anno», già embedded, stavolta nelle tende puzzolenti a vedere come si sprecano 9 mesi di vita se hai la fortuna di riportartela indietro, «vite banali come la mia o la vostra, ma vanno alla guerra come al Grande Fratello per evadere dall’ordinario vivendo ordinariamente in posti pericolosi, come manager al corso sopravvivenza». Gillan, papà camionista mamma rappresentante, si sente meno oxfordiana dei colleghi ma tutto ok, al ”Sunday Telegraph” «ho resistito al terzo mese, suggerivo e loro non ce ne frega niente dei tuoi reports sui poveri». Dice che «i cronisti di guerra-uomini tendono a essere meno onesti, per la storia del non mostrarsi paurosi capita che trucchino». Non sono un giornalista, sono il critico d’arte «Maurizzio? (Cattelan) Da voi è come qui Damien Hirst o Rachel Whiteread e Tracey Emin, stars come già Hockney nei 60 biondo tinto ma icona gay di cui ogni madre sarebbe andata fiera già allora». Dice Adrian Searle, alto elegante dinoccolato 60più un Bowie dell’arte, in nero, lui l’’Independent” lo ha mollato e sono 9 che è al ”Guardian”, coi reports impareggiabili dalle biennali (ma polemizza, per ciascuna ce ne vorrebbero quattro come si fa per il cinema da Cannes, e con 250 milioni di sterline di turnover l’anno gli artisti portano turisti ma il governo finanzia cinema e musica e non l’arte), «ma 30 anni che giro intorno a ’sto mondo se mi annoiassi smetterei subito, e quando non ne posso più vado a pesca sul Tamigi o nei Pirenei», anche per via della moglie spagnola curatrice. Mr Searle, e l’arte in tv? «Cacca, terribile, due media visuali che cozzano, io alla tv sembro riflesso sul sedere di un cucchiaino, parlo solo alla radio su BBC3, e passo un sacco di tempo sugli aerei ma non vado più in America da quando è piombata in quell’atmosfera fascista». E «non bisogna essere specialisti per andare alle mostre, mica sono scemi e se non sanno chi è Bruce Nauman imparano, chi è poi la gente normale il lumpen proletariato?». Un Arbasino brit. Al giornale non ci va mai, «sono una Virginia Woolf, amo lavorare da casa», e cita a wornan must have money and a room of her own. Emma e Naomi, Simon e i lotteristi, Polly e la paga minima Emma Brockes, 28, ha scritto di Naomi Campbell che ha la faccia a Urlo di Edward Munch. Si è divertita pure a intervistare «James Brown-ossessionato-dalle-tasse», devi tirare fuori l’altra area della vita degli altri, è questione di timing. Pure a Simon Hatterstone, 42, mancunian pure lui, piace intervistare, ma gente comune, tipo i vincitori della Lotteria, ed è un po’ critico sulla snobbery del giornalista di sinistra laureato a Oxford o Carnbridge. Ma la maestra è Polly Toynbee, natali illustri, che si autodefinisce internet troll del giornale, per un anno è andata a vivere e lavorare nei suburbia con paga minima e ci ha scritto un libro e ne sta scrivendo un altro: citatissima anche nell’ultimo bestsellerino di Ferdinand Mount Mind the Gap, The New Class Divide in Britain (Short Books). Il weekend da Guardianista Recita lo stereotipo: «Soffre, per gli homeless ma cerca di non far sì che questo gli impedisca di andare in vacanza in Provenza». Allora il glossy del sabato serve a questo? Ride, Kath Viner, 34, direttrice del ”Weekend”, tacchi a spillo sopra le righe da single di sit-com ma «ci si potrà rilassare almeno nel fine settimana?». La differenza è che «scriviamo di moda in witchy way - strano, pungente, senza spocchia però: in copertina scimmia, insalatona, etichetta politically correct ”vita: zero / fianchi: larghi / gambe: corte / seno: quale?”. O uno strapatinato cancelliere Gordon Brown maipremier; moda ”La rivoluzione d’ottobre”; foto cult Tony Blair gattoni con massaggiatrice, Mick Jagger che ritira i panni stesi con rassegnazione rock; chiude una ”short short short” del genietto letterario Usa Dave Eggers; e pubblicità di Linguine ai frutti di mare Marks & Spencer o del vogatore ”Armi di riduzione di massa”». Nick e le blue notes La rubrica di Nick Johnstone sulle depressioni fatta leggere a fratelli o fidanzati ha notevoli poteri persuasivi e lui lo sa, occhialetti, moglie designer da LA, figlia Bella ché «mi piace tutto dell’Italia, le mie ceneri spargetele a Napoli». Emotivo, dice «sono un Gemini indeciso», quindi crede negli oroscopi, riceve lettere lunghissime di gente che ha bisogno di sfogarsi, ma essere così convincente gli ha dato problemi: un marito alcolista di lettrice lo ha letto e si è redento se non che i due si sono trasformati in stalker incubo. Il padre glielo aveva detto attento a lavorare pei comunisti. Merchandising Offerte ”Guardian” al lettore: macchina da scrivere elettrica, 149 sterline e 99 only, per snob senzapc; gita 4 giorni 3 notti in country hotel di cittadina francese; poltrona Lounge Relax disegnata da Charles Eames per i 50 anni di Billy Wilder che così avrebbe potuto guardarsi comodo la tv, 1.699 sterline contro le 2.101 del negozio. Dice l’edicolante angloindiano di Soho: «Io lo leggo per la sezione Jobs & Money, la migliore, e se lo dico io». Laura Piccinini