13 gennaio 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 15 NOVEMBRE 2004
La campana di Theo van Gogh ha suonato per tutti.
Theo van Gogh era nato all’Aja (Olanda) il 23 luglio 1957. Figlio di un dirigente dei servizi di sicurezza, si diceva lontano discendente del grande pittore. Dopo un’adolescenza di paese, si era iscritto a una scuola di cinema di Amsterdam dalla quale l’avevano congedato con la raccomandazione di farsi vedere da uno psichiatra. Diventato regista, aveva girato una ventina di film che a qualcuno ricordavano Fassbinder, ad altri «un aggressivo incrocio tra Oriana Fallaci e Michael Moore». Spesso ospite di talk show televisivi, si era fatto conoscere come nemico del ”politicamente corretto”, tanto che non perdeva occasione per chiamare i musulmani Geitenneuker (fotticapre). Negli ultimi tempi aveva fatto discutere per Submssion, un cortometraggio di 11 minuti trasmesso ad agosto dalla tv pubblica: sceneggiato dalla parlamentare liberale d’origine somala Ayaan Hirsi Ali, racconta storie di violenza maritale scandite dalle citazioni delle sure più misogine del Corano. [1]
I fondamentalisti non l’avevano presa bene. E poiché più della critica avevano praticato la minaccia, la polizia aveva messo Van Gogh sotto scorta. Lui, che si era convinto di non averne bisogno, ogni volta la seminava, e così avrebbe fatto anche il 2 novembre quando, partito in bicicletta dalla sua casa di Pythagorasstraat, in pochi minuti arrivò in Linnaeusstraat, strada che attraversa un parco nella zona est della capitale. Lì lo aspettava un Muhammad Bouyeri di 26 anni, indosso una tunica nera che lo copriva fino ai piedi (jallabiya). Nato in Olanda da genitori marocchini che non avevano esitato a cacciare di casa una figlia incinta, Muhammad si era diplomato al liceo ed aveva studiato un po’ d’informatica aziendale. Fino al 2001 non aveva dato problemi poi, un po’ la morte della mamma, un po’ l’11 settembre, aveva lasciato gli studi, eliminato dalla sua dieta la birra, fatto crescere la barba. Soprattutto, era diventato un assiduo frequentatore della moschea El Tahweed, dove l’imam Mahmoud el-Shershaby predicava di cristiani bruciati all’inferno e omosessuali gettati dai piani alti dei palazzi. [1]
Il 29 settembre Bouyeri fu beccato sul tram senza biglietto. Litigò col controllore, lo misero in prigione, gli trovarono numeri di telefono compromettenti. Nonostante una soffiata avvertisse che aveva fatto «il testamento dei kamikaze pronti per la Jihad», lo scambiarono per la banale comparsa d’un gruppo islamico e lo rimisero in libertà. Ce l’aveva in tasca, quel testamento, quando cominciò a sventolare la pistola davanti a Van Gogh. Il regista non ebbe dubbi sulle sue intenzioni, di certo non ne ebbe una mamma che si trovava a passare di lì in bicicletta e subito si mise ad urlare: «Non farlo, non farlo!». Le suppliche non ebbero effetto, Bouyeri sparò nove colpi, sgozzò il regista agonizzante con una spada, infine prese dalle tasche cinque fogli di carta e glieli piantò nella pancia con un coltelletto. Oltre alle minacce contro esponenti della politica locale (in testa la Ali), c’erano scritte in arabo e olandese cose tipo: «Sono certo che tu, o America, perirai. Sono certo che tu, o Europa, perirai. Sono certo che tu, o Olanda, perirai» ecc. ecc. [1]
L’assassino tentò la fuga a piedi. Avvertita da un passante ferito di striscio, la polizia gli fu presto alle calcagna e dopo avergli sparato alle gambe l’arrestò. Subito si pensò che ci fosse di mezzo una fatwa tipo quella che alcuni anni fa aveva condannato a morte lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie; con uno spettacolare blitz all’Aja, i servizi speciali fermarono dopo quindici ore d’assedio sette persone sospettate di essere coinvolte nell’omicidio; in tutto il paese si scatenarono violenze contro i musulmani, a Eindhoven fecero esplodere una bomba davanti all’ingresso della scuola elementare islamica Tarieq Ibnoe Ziyad (fortunamente ebbero la delicatezza di farlo alle 3.30 di notte). Van Gogh fu cremato al termine di un allegro funerale a base di vino e canzoni di Lou Reed da lui stesso organizzato un paio di settimane prima di morire: temeva succedesse qualcosa all’aereo sul quale s’era imbarcato per un viaggio in America con il figlio. Con lui, si dice, è morto il verzuiling, ovvero il patto sociale di tolleranza reciproca che aveva finora contraddistinto il cosiddetto «modello olandese». [1]
In Olanda vive un milione di immigrati musulmani. Più o meno quanti in Italia, ma là la popolazione è di appena 16 milioni. In percentuale fa più del 6 per cento, contro il nostro 1,8. [2] Nel 1961 in Olanda c’erano 5 moschee, dieci anni dopo erano venti, nel 1981 250, oggi sono 446 (il quadruplo dell’Italia). [3] I marocchini sono 300 mila: arrivarono negli anni 70 per lavorare nei campi e nelle acciaierie e vivere in nuovi quartieri dove, si diceva, avrebbero potuto mantenere il loro stile di vita. Oggi l’80 per cento pensa di vivere in un «paese depravato» che accetta abomini come droga, prostituzione, matrimoni gay. Allo stesso tempo, la tolleranza degli olandesi è finita. [4] Secondo un sondaggio Motivation, all’indomani del delitto Van Gogh il 40 per cento sperava che gli islamici non si sentissero più a casa propria in Olanda. [5] Secondo un sondaggio della tv RTL Nieuws, il 47 per cento è ora meno tollerante verso i musulmani, il 12 per cento vuole bloccarne l’arrivo. [6]
Il verzuiling è una divisione della società in blocchi. Silvia Grilli: «Ogni blocco vive secondo la propria visione del mondo, ma s’impegna a rispettare le idee degli altri». Per i critici del multiculturalismo, il mito della diversità culturale ha prodotto «il mostro dell’integralismo». Per le organizzazioni in difesa delle minoranze «la società olandese, xenofoba e razzista, ha creato un’apartheid culturale e lo ha mascherato di multiculturalismo». Roel den Outer, capo della redazione di ”De Telegraaf”: «Il governo cercava di impedirci di parlare. Il capo della polizia ci telefonava dicendo: ”Non dovete scrivere che i criminali sono marocchini o turchi, ma semplicemente olandesi”. Poi lentamente ci è stato permesso di scrivere che erano nordafricani». [4] Una Ratna che lavora come psicologa ad Amsterdam: «Non è affatto un problema religioso ma culturale. I marocchini di qui fanno fatica perché sono berberi, oppressi dagli arabi in patria e non abituati a mischiarsi. Anche se di terza generazione si sposano con gente della loro terra, che ha così un’occasione unica per emigrare». [7]
Lo sgozzamento di Van Gogh ha ucciso il multiculturalismo europeo? Magdi Allam: «Anche se ha avuto molto meno risonanza della strage di Madrid dell’11 marzo, gli effetti del barbaro assassinio di Van Gogh potrebbero rivelarsi ben più gravi e incisivi sul futuro della convivenza tra gli autoctoni e le minoranze etnico-confessionali del Vecchio continente. Perché ormai costringe l’insieme dell’Occidente a interrogarsi e a dare delle risposte convincenti alla propria crisi d’identità che si afferma in modo speculare e simmetrico a quella che da oltre un trentennio attanaglia il mondo islamico». [8]
L’identità islamica radicale riesce a far breccia anche tra i giovani musulmani nati in Europa. Allam: «Non è un caso che il colpo di grazia al multiculturalismo provenga dall’estremismo e dal terrorismo islamico. Perché l’ideale della coesistenza tra diversi non può reggere se qualcuno immagina se stesso come l’incarnazione del Bene e si auto-attribuisce il dovere etico e messianico di sconfiggere con tutti i mezzi il Male. Ed è appunto questo il caso degli estremisti e dei terroristi islamici che sono pregiudizialmente contrari alla coesistenza con i ”miscredenti” e gli ”apostati”, mentre tendono a considerarsi come una ”comunità di fedeli” a sé stante, uno Stato teocratico in nuce all’interno dello Stato di diritto. Che si avvale e sfrutta la democrazia e le garanzie costituzionali dello Stato di diritto per affermare il proprio potere oscurantista e violento tra le comunità musulmane in Europa». [8]
Si dice: per ogni episodio di odio religioso e discriminazione, ce ne sono cento di integrazione e convivenza. Michele Serra: «Le città europee, specie del Nord, sono un crogiolo vitale e dinamico di multiculturalismo. Dare a ogni crimine razziale e confessionale un valore così terrifico da ritenerlo vincente, sarebbe un errore imperdonabile. A Londra, a Parigi, a Roma, l’incontro difficile e conflittuale tra etnie e culture è visibilmente, vivibilmente in atto, nelle strade, nelle scuole, sul lavoro. Una minoranza di fanatici non può averla vinta, a meno che la maggioranza ragionevole e civile non decida di abbassare pavidamente la guardia e definire ”utopia” quel multiculturalismo che non è un’idea: è un fatto, è storia in corso». [9]
Un altro aspetto di questa inquietante vicenda: la motivazione data all’assassinio. Anna Foa: «Van Gogh non è stato ucciso perché ritenuto genericamente ”ostile all’Islam”, ma perché aveva pubblicamente attaccato l’Islam su una questione precisa, quella della condizione femminile». [10] Adriano Sofri: «Theo van Gogh, con quel cognome sulfureo, con il suo temperamento esuberante, è stato alla fine solo un collo esanime da sgozzare ritualmente, una pancia in cui infilzare la fatwa, piuttosto che su una bacheca, o in una buca delle lettere. Un corpo morto dal quale avvertire le donne musulmane e gli uomini vigliacchi che si rassegnino a lasciarle scappare di casa. Piuttosto: non si tratta solo delle donne musulmane. Si tratta delle donne. L’apostata dell’islam e della prigionia maritale cui è rivolta la ributtante lettera, e tutte le altre. Temo che anche le nostre donne facciano per lo più finta di niente». [11]
Questo focolaio di violenza ha suscitato blande reazioni nella stampa internazionale. Marina Corradi: «’C’è una minoranza trascurata che dovrebbe essere meglio integrata nella realtà olandese”, ha commentato flemmatico ”Die Welt”, e lo spagnolo ”El Pais” s’è sorpreso dell’’insospettabile lato oscuro” della serena Olanda. ”Minoranza trascurata da integrare” o fondamentalismo assassino che alza la testa? Quanto rumore per il presunto ”fondamentalismo cattolico” di Buttiglione, e che silenzio davanti a un fondamentalismo vero, e atroce. Ma quello cattolico, lo sanno poi tutti, è un fondamentalismo immaginario, inventato sui banchi di Strasburgo. Quest’altro, fa maledettamente sul serio. Ma non è il caso, stavolta, di agitarsi. Questa ”minoranza trascurata”, bisognerà integrarla, dice ”Die Welt”. Europa ”corretta” o assonnata - di quel sonno che lascia crescere i mostri». [6]
(segue da pagina uno)
La società occidentale stenta a comprendere il peso di questo problema. Foa: «Eppure, la diversa posizione della donna nei due universi rappresenta forse il maggior punto di divergenza, oggi, fra Islam e Occidente. Lo ha sottolineato giorni fa il filosofo francese André Glucksmann su ”Il Foglio”, affermando che la ”vera guerra è sulla libertà delle donne musulmane”. Forse proprio perché questa ci sembra una questione scontata, o perché sotto sotto la collochiamo tra le questioni ”di costume”, noi occidentali non riusciamo a comprenderne la forte valenza politica. L’uguaglianza tra uomini e donne è un diritto umano fondamentale che va tutelato contro ogni discriminazione ed oppressione. Radicalmente opposta è l’opinione di molta parte del mondo islamico, dove l’uguaglianza fra i generi è considerata tipica dell’immoralità della società occidentale, segno di un ”mondo alla rovescia”». [10]
Abbiamo lasciato sgozzare le donne algerine. Foa: «Abbiamo accettato per molti anni che le donne afgane fossero segregate sotto il burka, abbiamo discusso se consentire o meno la mutilazione genitale femminile nei nostri ospedali. Il rispetto delle culture diverse non prevede anche il rispetto della possibilità di mutilare bambine, segregare mogli, lapidare adultere. Come giudicheremo il caso (solo uno fra i tanti) di quella tredicenne condannata alla lapidazione, in questi giorni, in Iran perché messa incinta dal fratello (a sua volta condannato ad una pena minore): l’espressione di una cultura diversa dalla nostra oppure una gravissima violazione dei diritti umani?
Sembra che la sinistra europea, forse per paura di apparire ostile all’Islam, non riesca a scegliere tra i due corni del dilemma. questa la ragione per cui Ayaan Hirsi Ali, rifugiata dodici anni fa in Olanda dalla Somalia, è diventata deputato nel 2003, non nelle fila del partito socialdemocratico, dove aveva militato precedentemente, ma in quelle del partito liberale, che considerava più adatte alla sua battaglia». [10] Sofri: «Quanto agli uomini, magari eterosessuali, magari non ebrei, e neanche discendenti di quello stralunato Van Gogh, la campana non suona per noi? Arranchiamo ancora dietro i nuovissimi decrepiti tempi. Non abbiamo una legge decente sul diritto d’asilo, e chissà quanto stenteremmo a riconoscerlo alle donne che fuggono dall’infibulazione, alla poligamia, al matrimonio non voluto, al velo imposto, all’istruzione negata». [11]
Occorre battersi contro tutte le violazioni dei diritti di libera espressione. Gianni Riotta: «La comunità della tolleranza nasce quando Van Gogh e la Hirsi Ali, diversi, ma innamorati di verità e giustizia, girano la loro pellicola. Il fondamentalismo vuole mozzare le lingue dei musulmani in patria e colpire in Occidente chi tutela le libertà, cristiano, laico, musulmano che sia. questo lo scontro delle civiltà, l’assassino Muhammad Bouyeri impazzisce se un film incrina la sua violenta insicurezza, i teppisti per vendetta provano a dar fuoco a un luogo di culto». [12]
Non chiedetevi mai per chi suoni la campana dell’ingiustizia. Se per un cattolico, uno sciita, un gay, una donna, un conservatore, un no-global, un buddista Zen. Riotta: «Essa suona sempre per voi, per tutti. Quando i nazisti occuparono Parigi, uno degli studiosi dell’Accademia di Francia propose di studiare Goethe, per ricordare come i valori condivisi fossero antidoto alla guerra di odio dei tedeschi. La guerra, di armi e di idee, contro i killer come Bouyeri e al-Qaida, si vince al fronte con coraggio e determinazione, e in cultura ricordandosi dei nostri alleati e fratelli Salman e Ayaan, così a lungo lasciati soli. Senza di loro saremo sconfitti dal buio dell’ignoranza e della violenza». [12]