Francesco Specchia Libero, 31/10/2004, 31 ottobre 2004
La telegenia dell’intelligenza: ritratto della professionale Sampò, Libero, 31/10/2004 Pro-fes-sio-na-li-tà
La telegenia dell’intelligenza: ritratto della professionale Sampò, Libero, 31/10/2004 Pro-fes-sio-na-li-tà. «Perché vuol parlare di me scusi? Sarò inaffondabile, ma mica sono una star; non frequento né i salotti né i politici; mai fatto polemica con l’Azienda, nemmeno quando - dopo anni di mazzo oscuro - vinsi una causa nel ’74 e mi mandarono al Tg di Campobasso e io non potei perché avevo i figli piccoli. Io ho un approccio soft con la vita; io ho solo lavorato per 47 anni. E forse l’unica notizia che mi riguarda». Maledetta professionalità. Troppo Audrey Hepburn e «bellezza di secondo sguardo» per essere una bonazza da videoannunci; troppo borghese per fare la femminista e troppo femminile per imporsi al machismo di viale Mazzini; troppo colta per fare la giornalista e troppo giornalista per fare l’intellettuale, Enza Sampò, classe 1939, è sempre stata condannata da una professionalità strabordante ed ansiogena. La sua. Enza era professionale nel ’57 quando, appena assunta all’ufficio scritture di via Verdi, con i suoi austeri tailleurini pastello da borghesia piemontese, ravvivò insieme a Corrado, Tortora e Mike il bianco e nero della tv italiana. Era professionale anche nell’80 quando con Maurizio Costanzo presentò i primi tg locali, e nell’88 con Sandro Parenzo divenne la prima «suora laica del primo confessionale della Storia» (Aldo Grasso). Ed è professionale ancor’oggi quando, levandosi professionalmente ad ogni alba dal suo professionale appartamentino romano di Vigna Stelluti bacia marito e i tre figli («Ho detto loro: fate tutto fuorché la tv, non è sicura») e parcheggia professionalmente il sorriso a Saxa Rubra, davanti alle telecamere di ”Unomattina”. E da lì - professionalissimamente - non si scolla, fin quando il capostruttura di turno (spesso un allievo) le inocula del Gerovital restituendola alla realtà. Enza Sampò è una tosta. Una che, nonostante l’aria da professoressa di greco e la voce da oboe sommerso, ha la telegenia dell’intelligenza. Però proprio in virtù di questo attaccamento al lavoro stoico e impossibile, possiede solo la nuda proprietà della sua vita. L’usufrutto ce l’ha la Rai. Che ogni tanto si dimentica di pagarle il canone. « sempre stato così. Io sarei autrice di programmi. Ma mi richiamano in video nelle emergenze, l’anno scorso per sostituire Giletti infortunato, oggi a ”Unomattina” per sostituire non so chi (e sempre gli ascolti s’impennano, ndr). Invece il video mi stressa, una fatica terribile, non vorrei neanche parlarne. Anzi, guardi, non parliamone». Sampò, scusi, ma se non parliamo di tv con lei di che cavolo parliamo? «Boh. Di papà, per esempio, funzionario di un’industria tipografica, torinese delle Langhe, lettore come me di Pavese e Fenoglio, e bugianèn, che non amava il passo più lungo delle gamba. E che considerava la tv uno sconcio. O parliamo di mamma che mi fece studiare figurinismo e aveva una scuola di taglio e voleva far di me una mannequin, dato il mio - dicevano un tempo - bel personalino...» Non mi pare interessante, onestamente... «Allora parliamo di quando rimasi senza lavoro e feci la pubblicità del Dixan, o quella della Bassetti dove mi accusarono di essere fallocratica e io mi scusai, anche se non sapevo cosa significasse la parola». Come non sapeva? Ma non era la fidanzata di Umberto Eco, scusi? «Sì. Io avevo 20 anni, lui 28. Eco era entrato in Rai col corso ”dei corsari”, con Gugliemi e Vattimo. Si andava nelle trattorie con Luciano Berio. Ricordo che Umberto mi faceva i giochi di parole, e cercava di farmi leggere La noia di Moravia, libro-scandalo contro il parere di papà; i suoi libri invece, a parte Il nome della Rosa, fatico a leggerli. Ha fatto tanto; ma io non sono riuscita a diventare un’intellettuale». Non si crucci. riuscita a trovare un bell’argomento: i suoi morosi. «Era meglio la Rai». Si dice che Eco abbia scritto Fenomenologia di Mike Bongiorno solo per vendicarsi di Mike, che flirtava con lei. Vero? «No. La Fenomenologia la scrisse già sulla rivista ”Il Verri”. Ma è vero che Mike ci provò; ma lo facevano un po’ tutti perché ero l’unica donna del gruppo che non fosse maggiorata e con piglio maschile. Andavano di moda la Allasio e la Campagnoli io ero - consenta - un po’ Audrey Hepburn...». Senta Audrey, Gianni Minoli dice che lei è un po’ gatta morta. Gli altri lo pensano. «Certo, mai stata una santerellina, ma per far carriera non sono mai passata - come era uso - per le lenzuola. Primo perché la tv era agli esordi e chi la faceva, come Alessandra Panaro e Gabriella Farinon, la ritenevano solo un passaggio per il cinema. Secondo: io sono stata segnalata in Rai da Maurizio Corganti, ex di Mina che stava nel mio palazzo. Ma tutti i miei fidanzati non erano famosi, semmai stavano sotto di me. Lì ho sbagliato i tempi. Con Emilio Fede per esempio». Fede? Lei è stata anche con Fede? «Massì, una simpatia, come si diceva allora, ai tempi del ”Circolo dei castori”. Era tanto carino, piccolino, sgommava sulla Spider. Parlava solo di auto, piaceva a tutte le ragazzine». Lei è stata fidanzata anche con Maurizio Costanzo. Suo marito, da gentiluomo, gli scrisse una lettera aperta... «Ecco, siccome ne ha già scritto non parliamone...». Pardòn. Lei ha fatto di tutto, dal tg alla cronaca nera, alla tv dei ragazzi. Com’è possibile? «Guardi, potessi, io farei anche il cameraman; per la tv ho una passione viscerale; ho sempre avuto la sensazione di saperla fare, non so come spiegarle, forse come Berlusconi. Certo, ho fatto passaggi schizofrenici, ho lavorato fino a sfibrarmi, tanto che a 40 anni, dopo aver fatto praticamente tutto, mi sentivo già vecchia...». Bé, le è passato subito. «E meno male. Angelo Gugliemi mi disse: ”Tu sei vecchia di tv, ma non hai mai fatto vecchia televisione”. Sapesse quanto litigo coi giovani che vedo un po’ moscetti». Sampò, difetti ne ha pure lei. Campanile scrisse che lei parlava il «sampese», lingua di cui non si capiva un tubo. «Mi pare lo disse Longobardi. Se si riferiva al tono della voce, era un problema di audio. Se si riferiva alla velocità dei miei discorsi, Mentana mi ha imitato e vuol dire che io ho precorso i tempi». Sampò, a lei per abbatterla ci vuol un killer; la Carrà, più giovane di lei, non lavora più. Perché? «Che c’entra? Raffaella fa varietà, io non ci sono tagliata. Come non mi piacciono - e non potrei fare - i programmi alla D’Eusanio, o certe volte alla De Filippi. Troppo cinismo. Ventura, Venier: son brave, davvero, ma seguono troppo l’Auditel. Ogni giorno a controllare se hai fatto il 19 o il 21 di share, che stress. Però Hunziker e Incontrada, oggi, hanno la virtù dell’autoironia. Diciamo che noi eravamo le donne della tenacia, loro quelle della grinta». Lei ha fatto anche Sanremo. A vent’anni. «Una condanna. Oggi mi chiamano tutti per rievocare, avessi fatto solo quello. Eppure, era il ’60 vinse Dallara con Romantica e chi conduceva era Paolo Ferrari; io portavo solo le buste e dicevo il titolo della canzone». Sa che Platinette l’ha eretta a feticcio. E che - dicono - Sergio Cusani in carcere ha ricamato a mezzopunto una t-shirt con la sua faccia? «Adoro Plati. Se la storia di Cusani fosse vera, mi farebbe piacere. E ci farei una puntata di ”Unomattina”». Francesco Specchia