Anna Zafesova La Stampa, 27/10/2004, 27 ottobre 2004
Ecco un tratto distintivo del carattere russo: la fanno tutti all’aperto, La Stampa, 27/10/2004 Dmitrij Nikishin, commerciante ambulante di Oriol, non riusciva a smaltire la sua scorta di carta igienica
Ecco un tratto distintivo del carattere russo: la fanno tutti all’aperto, La Stampa, 27/10/2004 Dmitrij Nikishin, commerciante ambulante di Oriol, non riusciva a smaltire la sua scorta di carta igienica. I rotoli ingombravano da mesi il bagagliaio del suo furgoncino. In una rapida «indagine di marketing» Dmitrij ha scoperto che «tutti lo fanno all’aperto» e ha deciso di creare la domanda per il suo prodotto invendibile nelle campagne, costruendo a sue spese dodici gabinetti pubblici. Ma è stato un fallimento: i potenziali clienti l’hanno preso in giro, le autorità gli hanno negato aiuto e la carta igienica messa gratis a disposizione della comunità è stata rubata. Una piccola crociata personale per una causa che affligge l’animo russo da secoli. Viktor Erofeev, l’autore della Bella di Mosca, scrive: «I bagni pubblici in Russia sono più di un manuale di storia patria. Sono cattedrali con le cupole ribaltate. La Russia dei liberali da secoli si vergogna dei suoi cessi». L’argomento ha i suoi studiosi, come Alexandr Mesherjakov, autore di I vasi del mistero, bagni e urne nelle culture dei popoli del mondo che considera il problema del WC una peculiarità della Russia: «Alla domanda se gli è piaciuto il nostro Paese uno straniero sincero, invece di decantare la galleria Tretiakov, risponderà inorridito che i cessi sono sporchi». Nessuna guida vi mette in guardia, ma gli occidentali lo sperimentano sulla propria pelle quando il pullman diretto a qualche città dell’«anello d’oro» si ferma in mezzo al bosco e la guida con una risatina imbarazzata indica «maschietti a destra, femminucce a sinistra». Gli itinerari vanno progettati pensando a dove si farà la prossima pipì, altrimenti si rischia di sognare come un’oasi nel deserto una delle cabine WC mobili da cantiere disseminate per Mosca. Al mercatino di souvenir di Izmailovo le addette alle cabine offrono servizi supplementari per gli stranieri notoriamente schizzinosi: un pezzo di carta igienica che sembra carta vetrata, una spruzzatina di deodorante prima di far entrare il cliente per impedirgli uno svenimento immediato per la puzza e una bottiglia di plastica per sciacquare le mani ai sopravvissuti. Le prime testimonianze di viaggiatori stranieri ripugnati risalgono a due secoli fa, un turista ottocentesco riferisce del «fetore di tutte le qualità» che regnava in una Mosca dove ancora nel 1870 fiumi di urina scorrevano perfino nella Piazza Rossa. Oggi, nonostante la recente presentazione al comune della capitale del nuovo supertecnologico gabinetto antivandali, la situazione rimane disastrosa. A Pietroburgo si contano 275 bagni pubblici, a Mosca 257 (nella Roma antica erano 144, nella Pechino odierna 7 mila), un gabinetto per 50 mila persone senza contare i turisti, e tutti chiudono alle sette di sera. Nulla di strano se ogni settimana tremila moscoviti vengono arrestati in flagrante per «atti di offesa alla morale pubblica». Perfino nelle città una casa su quattro non è dotata di fogne. E nelle campagne, nelle dacie, nei paesi, nei villaggi vacanza, nelle caserme l’unico comfort disponibile è un baracchino di legno incrinato poggiato su una fossa maleodorante. Un lascito delle penurie del comunismo o piuttosto l’eredità di un popolo di contadini urbanizzato recentemente. Cechov nel suo diario su Sakhalin del 1890 annotava con disprezzo: «Questo comfort viene disprezzato dalla stragrande maggioranza dei russi». E Bulgakov in Cuore di cane - anni ’20, i campagnoli invadevano le case borghesi nelle città - rimproverava i compatrioti di «abbottonarsi ancora con incertezza i calzoni» in un passaggio ormai proverbiale che attribuisce il degrado economico e sociale al «farlo fuori dal vaso». Dal marinaio di Eisenstein che spacca con rabbia la tazza nel bagno dell’imperatrice l’utilizzo dei sanitari è stato uno spartiacque della divisione sociale e culturale, simbolo dell’odio di classe [...] o dell’arretratezza da estirpare. Come la vodka i bagni sono oggetto di un dibattito intellettuale plurisecolare fra le migliori menti della nazione. In Russia anche l’argomento più volgare e pratico, finisce al centro di una discussione che abbraccia storia, filosofia e politica. Il regista Andrej Koncialovskij nella prefazione al libro Tutto sui cessi di Alexandr Lipkov cerca una spiegazione storica e geografica: gli spazi immensi, le poche città, i russi non avevano bisogno di inventare e tenere pulito un posto dove appartarsi, l’espressione eufemistica «andare al vento» parla da sola. Curiosamente, con le stesse motivazioni - spazi geografici e scarsa urbanizzazione - solitamente si giustifica la fatalità di un destino imperiale e autoritario della Russia. E il dibattito sulle patrie latrine si spacca inevitabilmente lungo la classica linea divisoria occidentalisti-slavofili: i primi sentenziano per bocca di Koncialovskij che «finché i WC saranno sporchi non ci sarà democrazia», i secondi si riconoscono nel poeta nazionalista slavo Alexej Shiropaev che in un’arrabbiata ode canta come «fortezza dell’Asia» il cesso di una stazione ferroviaria di provincia. Che il bagno è qualcosa importato dall’Occidente lo si capisce anche dalla battuta messa in bocca a Pietro il Grande - principale occidentalizzatore della storia russa - dagli sceneggiatori di un classico film degli anni ’40: «Ti chiuderò in un bagno da stranieri», minaccia un boiardo. Ed era nei gabinetti pubblici di Mosca che all’epoca sovietica fioriva il mercato nero di merci contrabbandate dall’Occidente. Del resto, la stessa parola sortir, per quanto appartiene allo strato più gergale della lingua russa, ai limiti della decenza, è uscita chiaramente dalla costola del francese sortie, introdotta da nobili che si assentavano per i loro bisogni. E quando il dibattito dall’igiene si sposta sull’identità nazionale sembra logico che la frase più famosa di Vladimir Putin, quella che gli ha conquistato l’amore dei suoi elettori trasformandolo da illustre sconosciuto nel leader della nazione, è stata la famigerata e sfortunata «Ammazzeremo i ceceni anche nel cesso». Il water è come una freccia sulla scala dittatura-libertà, e allora forse si potrebbe spiegare perchè le prime imprese private nate con la liberalizzazione gorbacioviana [...] furono bagni a pagamento con carta igienica e deodorante, oggi scomparsi, e perché mentre i locali moscoviti attrezzano bagni di spettacolare design e lusso, che meriterebbero uno studio a parte, i russi continuano ad accovacciarsi sulla tazza in piedi nella «posa dell’aquila», pur di evitare il contatto con il sedile sporco. Qualcuno ha lanciato perfino l’idea di un «partito dei bagni puliti», inevitabilmente destinato al fallimento elettorale. Ma piuttosto che discutere sulla vergogna nazionale forse sarebbe il caso di prendere spugna e disinfettante e darci una lavata. Anna Zafesova