Marco Moussanet Il Sole-24 Ore, 24/10/2004, 24 ottobre 2004
Dai call center alle sartorie: le carceri di Milano sono un’impresa, Il Sole-24 Ore, 24/10/2004 «Per ogni cosa c’è il suo tempo
Dai call center alle sartorie: le carceri di Milano sono un’impresa, Il Sole-24 Ore, 24/10/2004 «Per ogni cosa c’è il suo tempo... C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire...». Chissà se qualcuno degli undici giocatori con le maglie nere e l’aquila verde che stanno sudando nella polvere di questo campo in terra alla periferia di Milano ha letto la tremenda citazione di Qoèlet. Che significativamente apre il libretto in cui si racconta il carcere di Milano Opera, come ci si vive, chi ci lavora e soprattutto cosa si fa per cercare di trasformare la reclusione in un percorso virtuoso (il titolo è Percorsi in Opera) durante il quale la vita abbia un senso e la cui prospettiva, una volta esaurita la pena, dopo aver saldato il debito contratto con la società, sia quella di un dignitoso reinserimento sociale. Già perché, gli undici calciatori sono quelli del FreeOpera, la squadra di detenuti che, un unicum in Europa, partecipa a un regolare campionato federale. L’avventura è cominciata l’anno scorso, grazie all’aiuto del Brera Calcio (in particolare del presidente Alessandro Aleotti). Ed è stata una bellissima avventura: il FreeOpera ha vinto i play-off ed è salito in seconda categoria. «Vinceremo anche quest’anno», garantisce Alberto Fragomeni, 52 anni, 5 by-pass e la sigaretta sempre in bocca. Direttore dal marzo 2003 della maggiore casa di reclusione italiana, con la più grande sezione di alta sicurezza (300 detenuti, il più noto dei quali è Totò Riina), Fragomeni è anche presidente della squadra. Un presidente entusiasta e appassionato. Ma anche duro con i ”suoi” giocatori. «C’è un patto tra di noi: se non vinciamo la squadra si scioglie. Perché l’iniziativa ha un senso solo se la posta è molto alta». Missione impossibile, verrebbe da dire. Quest’anno il FreeOpera non ha ottenuto la deroga dalla Federcalcio lombarda e deve andare in trasferta, come tutte le squadre. Ma per il giudice di sorveglianza solo tre giocatori della formazione tipo possono uscire dal carcere. Il risultato è che gli undici di Opera perdono tutte le partite ”esterne” e vincono quelle in casa. Come questa contro la Nuova Agrisport: quattro a zero. E quattro cartellini gialli. Per gli avversari. Un’operazione importante, quella del FreeOpera. Per i trenta detenuti direttamente coinvolti, ma anche, per i tre o quattrocento che ogni quindici giorni li incitano e li applaudono a bordo campo. «Un progetto pedagogico di assoluto valore», commenta Luigi Pagano. Che per 15 anni ha diretto San Vittore, che ora guida il Provveditorato lombardo dell’amministrazione penitenziaria e che trent’anni fa, mediano di spinta del Turris, in serie C, venne squalificato a vita. Ma nei tre carceri del «sistema milanese» (San Vittore, Opera e Bollate) di progetti pedagogici di assoluto valore, quelli che consentono di passare dal tempo della demolizione al tempo della costruzione, fortunatamente ve ne sono molti. Tanto da poter descrivere questo «sistema» come il più avanzato in Italia. E, su alcuni fronti, innovativo anche in campo europeo. Senza peraltro trascurare attività, di formazione e di lavoro interno al carcere, più tradizionali ma altrettanto qualificate e gratificanti. Basti dire che su una popolazione carceraria di 3.500 persone, oltre 250 sono i detenuti che lavorano per imprese esterne. Un numero di addetti da media azienda. «Certo - commenta Pagano - il merito di questo attivismo è dei direttori, che peraltro possono fare molto grazie alla straordinaria collaborazione del personale, poliziotti e civili, ma soprattutto dell’ambiente esterno. Che a Milano è eccezionale. In termini di attenzione, di sensibilità, di partecipazione. E di risorse, umane e finanziarie». Proprio a Opera c’è il celebre laboratorio degli scalpellini. Sono in sei e il loro principale committente è la Fabbrica del Duomo. Rifanno le guglie e osservano orgogliosi che «pian piano l’intera Basilica sarà stata rifatta dai detenuti di Opera». Poco più in là ci sono i cinque carcerati che lavorano il ferro battuto e quelli della falegnameria. C’è persino un piccolo laboratorio di lavorazione artistica del legno per non vedenti e ipovedenti. C’è il centro di «disassemblaggio», che smonta e separa i materiali dell’usato Bosch. C’è la storica presenza del consorzio Nova Spes, per il quale lavorano oltre 40 detenuti (10 nel reparto alta sicurezza e 10 della sezione femminile). Informatizzano i dati delle ricette per conto di quattro Asl lombarde. E delle multe per il Comune di Milano. C’è, infine, la sartoria. Fa capo alla cooperativa Alice, che ha aperto il laboratorio di Opera dopo la felice esperienza di San Vittore, avviata 12 anni fa. Nata come sartoria teatrale (ha realizzato costumi per la Scala e per il Regio di Parma), continua a lavorare in conto terzi per alcune sartorie teatrali (Brancato in primis), anche se da tempo i principali committenti sono agenzie di pubblicità e società di produzione televisiva. Le 15 detenute dei due laboratori di San Vittore e Opera hanno vestito i partecipanti alla trasmissione ”Giochi senza frontiere”, le ”Veline”, ma anche le protagoniste degli spot di Findus (Quattro salti in padella), Wind, Mulino Bianco, Tuborg. Ora, insieme alla cooperativa Ecolab, che a San Vittore ha un laboratorio di oggetti di pelletteria realizzati con materiali ecocompatibili e che lavora anche per Armani, ha lanciato una linea con il marchio Gatti Galeotti, per il momento distribuita dalla Feltrinelli e in futuro anche dalla rete Coop. Ci sono persino le magliette griffate San Vittore e Regina Coeli. «Per quanto possa sembrare paradossale - dice Francesco Frontirré, neodirettore del carcere di Piazza Filangieri - quello di San Vittore è un nome appetibile dal punto di vista commerciale. Un marchio - scherza - sul quale potremmo mettere il copyright. Produrre a San Vittore è interessante in termini promozionali. è trendy. Le richieste non mancano e se avessimo più spazio non avremmo certo problemi di commesse. Ma bisogna fare attenzione. Un carcere è comunque un carcere e i detenuti sono dei detenuti. è giusto dialogare con l’esterno, è giusto aprirsi. Ma, in modo razionale, nel quadro di un progetto rieducativo. Non è possibile che tutti facciano più o meno quello che vogliono. Volontari compresi, per quanto la loro presenza sia utilissima». Anche a San Vittore è presente Nova Spes, mentre la cooperativa Estia ha un laboratorio di riparazione di memorie informatiche e sta avviando un piccolo studio di montaggio televisivo. I detenuti che hanno partecipato a quest’ultimo progetto formativo presenteranno nei prossimi giorni il loro saggio di fine corso, con un format ovviamente ambientato in carcere che prende spunto dal ”Grande fratello”. C’è una piccola lavorazione di candele artistiche, vendute con il marchio Compagnia delle candele. Ma il fiore all’occhiello, e anche l’attività di gran lunga più importante e ambita, è il call center per l’Info 12 di Telecom Italia gestito dalla cooperativa Out&Sider. «L’iniziativa - racconta Pagano, che dirigeva il carcere ai tempi dell’avvio di questa operazione - è partita grazie a Massimo Moratti, da sempre molto presente a San Vittore, e alla moglie Milly. Sono stati loro a parlarne a Tronchetti Provera, che peraltro mi sembrava abbastanza convinto di suo. Anche in questo caso si tratta di una novità assoluta in Europa e di una esperienza culturalmente e ideologicamente rivoluzionaria, per la prima volta cadono infatti le barriere tra il carcere e il fuori. Il detenuto è in contatto diretto con l’esterno». «Lavorare qui ti cambia la vita», spiega Claudio, in carcere da cinque anni e con un fine pena al 2011 («Anche se spero di uscire ben prima»). «A volte - aggiunge - chi chiama ha bisogno di aiuto, o anche solo di una voce amica. E siamo noi, detenuti, a dargli una mano. è una sensazione bellissima. E poi siamo sul mercato del lavoro al momento dell’uscita dal carcere. Ci sono sempre richieste di personale per i call center. Tanto più che noi siamo davvero bravi: il nostro tempo medio di trattamento di una chiamata è di 44 secondi, tre o quattro in meno rispetto ai call center esterni». Inoltre si tratta di un lavoro che richiede un periodo di formazione breve. L’ideale per una casa circondariale come San Vittore, dove il turn over è molto alto. Le postazioni sono 25, 40 i detenuti che ruotano (e un centinaio quelli che ci sono passati in questo primo anno), altri 11 sono in formazione e l’iniziativa ha avuto un tale successo che da luglio è stata estesa alla sezione femminile, con 11 postazioni. «Venga a vedere sul monitor - insiste Claudio - hanno gli stessi tempi nostri. Sono bravissime». Marco Moussanet