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 2006  gennaio 13 Venerdì calendario

Dossier immigrati: ne arrivano sempre di più ma servono alla nostra economia: come li (e ci) regoliamo? Secondo il quattordicesimo rapporto sull’immigrazione, appena pubblicato dalla Caritas Italiana e dalla fondazione Migrantes, gli immigrati regolari in Italia hanno raggiunto quota 2 milioni e 600 mila, uno ogni 22 residenti del nostro paese

Dossier immigrati: ne arrivano sempre di più ma servono alla nostra economia: come li (e ci) regoliamo? Secondo il quattordicesimo rapporto sull’immigrazione, appena pubblicato dalla Caritas Italiana e dalla fondazione Migrantes, gli immigrati regolari in Italia hanno raggiunto quota 2 milioni e 600 mila, uno ogni 22 residenti del nostro paese. Negli ultimi quattro anni sono adddirittura raddoppiati. La stima, «basata su criteri prudenziali», è composta dalle persone registrate dal ministero dell’Interno (2 milioni 200 mila) più 400 mila minori, che aumentano al ritmo di 65 mila l’anno (35 mila nuovi nati e 25 mila nuovi ingressi). Secondo la Caritas, «di questo passo fra dieci anni la popolazione immigrata sarà nuovamente raddoppiata». Sugli irregolari non vengono fornite stime, ma «non si può concludere che le sacche di irregolarità siano andate diminuendo». Per quanto riguarda la ripartizione territoriale, il 60 per cento degli immigrati si trova al Nord (1 milione 500 mila), il 30 per cento al Centro (710 mila) e il 10 per cento al Sud (357 mila). Sono il 4,5 per cento della popolazione; sopra la media nazionale, con il 7 per cento, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna. Secondo un’indagine del Cnel sul livello di inserimento, è possibile dividere la penisola in tre fasce: sopra la media: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (il «triangolo dell’immigrazione»), Toscana, Piemonte, Marche e Friuli Venezia Giulia; nella media: Lazio, Trentino Alto Adige, Liguria, Campania, Sardegna, Abruzzo, Calabria; sotto la media: Umbria, Valle d’Aosta, Sicilia, Molise, Basilicata, Puglia. I primi tre paesi di provenienza sono Romania, Marocco e Albania, ciascuno con circa 230-240 mila registrati; seguono Ucraina (113 mila) e Cina (100 mila). L’aumento degli immigrati dell’Est Europa, ortodossi, ha portato i cristiani alla metà del totale (49,5 per cento), seguiti dai musulmani con un terzo delle presenze. I fedeli di religioni orientali sono il 5 per cento, altri gruppi hanno una rappresentanza minima. Per quanto riguarda il rapporto tra i sessi, se nel ’91 i maschi erano il 58 per cento, oggi sono il 51,6; le donne sono in maggioranza in diverse regioni. La Caritas parla di «fortissima tendenza all’inserimento stabile»: i due terzi degli immigrati (66,1 per cento) sono venuti per motivi di lavoro e un quarto (24,3) per motivi di famiglia. Un altro 7 per cento di permessi è rilasciato per inserimento medio-stabile (studio, residenza elettiva, motivi religiosi). Quindi ben il 97 per cento dei permessi viene rilasciato per motivi di insediamento e «ciò relega in una dimensione decisamente anacronistica l’idea dell’immigrazione come fenomeno congiunturale». La quota dei soggiorni di lavoro, a seguito della regolarizzazione, è aumentata di 10 punti percentuali: da 834 mila a 1 milione 450 mila. Perciò la Caritas afferma che gli immigrati «sostengono il nostro sistema produttivo nazionale». Oltre ai titolari di permessi per lavoro (1 milione 450 mila), svolgono un’attività anche circa 300 mila familiari, così da incidere per circa il 7 per cento sull’intera forza lavoro (24 milioni 150 mila unità). Il 70 per cento delle assunzioni è concentrato nel Nord e le categorie che tirano di più sono lavoro domestico, costruzioni, alberghi e ristoranti, agricoltura. Il mercato privilegia gli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est (il 45 per cento di assunti a tempo indeterminato), seguono nordafricani (15) e latinoamericani (14). Gli immigrati iscritti al sindacato sono quasi 334 mila (+49 per cento rispetto al 2000). Nell’ultimo anno, sono aumentati addirittura del 25 per cento gli immigrati imprenditori. Infine, gli stipendi dei lavoratori immigrati rappresentano la risorsa primaria dei paesi d’origine: nel 2003, con 2,6 miliardi di dollari (di cui meno della metà transitati attraverso le banche) l’Italia è al nono posto nella graduatoria mondiale per i flussi di rimesse. Su ”Repubblica” il demografo Massimo Livi Bacci ha indicato il risvolto più delicato: «Imprese, famiglie e associazioni (in testa Confindustria) richiedono più ingressi, ma una parte dell’elettorato non ne vuole sentire parlare. C’è dunque un prezzo politico da pagare e la soluzione più indolore consiste nel mantenere basse le quote legali e, quando sarà il caso, approvare una inevitabile sanatoria». Un espediente di corto respiro. (i dati sono tratti da: Caritas-Migrantes, Immigrazione - Dossier statistico 2004)