Stefania Berbenni Panorama, 28/10/2004, 28 ottobre 2004
Howard Hughes: la vita non ha misura, Panorama, 28/10/2004 Fu per merito dei parenti che Howard Hughes divenne Howard Hughes
Howard Hughes: la vita non ha misura, Panorama, 28/10/2004 Fu per merito dei parenti che Howard Hughes divenne Howard Hughes. Una delegazione di zii andò a trovarlo sul set del film che stava girando come regista e produttore. Fecero appello al dna di famiglia dove il cromosoma dominante aveva forma di dollaro: perché lasciare trivelle e petrolio, molto redditizi, per cineprese e copioni? Il ragazzo, poco più che ventenne, già orfano e miliardario, proprietario della società di perforazione ereditata dal padre, assomigliava a un uccello, a una gru, col suo metro e 93 di altezza, il volto da timido magro. Howard sorrise e riprese il volo. Aveva due passioni, il cinema e gli aerei. Guardò gli zii grato perché gli avevano evitato l’imminente caduta: stava per mollare Hollywood, scorato dall’accoglienza pessima del suo primo film, Swell Hogan, così brutto da essere rifiutato dai distributori. I parenti lo avevano trattato da ragazzino viziato mentre lui era (o voleva essere) un superuomo, un Gabriele D’Annunzio del Texas. Capì che avrebbe sempre dovuto pensare in grande, osare, sfidarsi. Era nato la notte di Natale, anno 1905. Forse il senso di onnipotenza che lo accompagnò per tutta la vita arrivò dalla data fatidica. Divenne, nell’ordine, l’uomo più ricco d’America, il più potente di Hollywood, il genio della finanza e della meccanica, il più invidiato latin lover, l’impavido aviatore dai molti record, l’eroe nazionale, il proprietario di hotel, fabbriche, compagnie aeree, il grande manovratore della politica statunitense (soprattutto in epoca Richard Nixon) e, da ultimo, un fantasma, quando si recluse nella suite del Desert Inn di Las Vegas. La sua fu una vita da romanzo, e da film: Orson Welles si ispirò a Hughes per Citizen Kane; nel ’64 Edward Dmytryk lo raccontò in L’uomo che non sapeva amare, ora Martin Scorsese lo rivisita con Aviator concentrandosi sul periodo delle imprese, cinematografiche e d’aviazione. [...] Dopo la prima brutta esperienza, il giovane texano ci riprova con la cinepresa. Stavolta non si dà limiti di budget, stanzia 2 milioni di dollari (cifra record ai tempi), ma quando il film è pronto lo butta al macero perché nel frattempo hanno inventato il sonoro e lui ha incontrato una bionda curvilinea che di nome fa Jean Harlow ma che non è ancora Jean Harlow, il mito. Rimonta il film con i dialoghi e con la fanciulla platino come protagonista che gli ha fatto compagnia fra le lenzuola negli ultimi mesi. Angeli dell’inferno gli è costato, alla fine, 4 milioni di dollari, ne incasserà il doppio. [...] Nel ’38 Howard Hughes stabilisce il record di velocità a bordo di aerei da lui stesso modificati, ha già fatto il giro del mondo dei cieli, è diventato eroe nazionale, parate trionfali lo accolgono al ritorno dalle imprese. Negli otto anni passati dal debutto di Angeli dell’inferno si è comprato una casa di produzione sacra a Hollywood, la Rko, per 25 milioni di dollari, ha dato vita a capolavori come Scarface e Prima pagina, ha goduto in cielo e in terra pilotando e portandosi a letto un numero di fanciulle da superuomo, fra le quali le più belle su piazza: Ava Gardner, Jane Russell, Ginger Rogers, Rita Hayworth, Katharine Hepburn. Oltre alle dive, Hughes colleziona lolite: fa schedare le aspiranti attrici per misure e «attitudini» e si vanta di essere stato il primo uomo per 200 ragazze, sbruffonata che non viene creduta argomentando che non c’erano 200 vergini a Hollywood. Gira con alcune migliaia di dollari nella fodera del cappello per le spese «correnti» (locali alla moda e regali alle sue donne), ma le tasche sono piene di spiccioli per poter chiamare da qualsiasi cabina telefonica. Il suo impero commerciale e finanziario, diventato gigantesco per fiuto e incoscienza, viene infatti gestito via cavo. E Wall Street è il suo Vittoriale. Nel ’39 compra la Twa, la maggior compagnia aerea americana oltre alla Pan Am. Gli aerei continuano a dargli sogni, adrenalina, dollari. Ora li produce anche per lo stato, è lui a progettarli. Fin da ragazzo non ha fatto che inventare, si è persino divertito a disegnare un reggiseno per la superdotata Jane Russell e in una delle sue degenze ospedaliere causate dai ripetuti incidenti aerei ha brevettato un letto a 80 posizioni, altra fonte di dollari. Come all’incontro con gli zii, è lo sfidarsi a dargli piacere: sogna di sostituire i trasporti marittimi di truppe e materiali con un gigantesco aereo, 110 metri d’apertura alare, 70 di lunghezza, «l’oca di legno». Lo sottopone alla commissione, che lo liquida dicendo: «La pistola a tappo di un bambino sarebbe sufficiente ad abbatterlo». Hughes non si arrende, la gru si mette alla cloche dell’oca, riesce a farla volare fino a 20 metri d’altezza, poi è obbligato ad atterrare. Ha fallito e a niente vale il successo, l’anno dopo, del suo F11. L’America non lo ha capito e lui non capisce più l’America. Collaudando proprio l’F11, il miliardario precipita, è il suo terzo incidente, ma stavolta i medici dicono che non ce la farà. Per rendergli sopportabili i dolori causati dai traumi postincidente i medici gli somministrano dosi massicce di morfina. Hughes ne diventa dipendente. l’oppiaceo a trasformare Hughes in un misantropo, ossessionato dalla paura dei germi, ostile al mondo e al suo paese? O la morte dell’oca di legno, chiusa per sempre in un hangar, ha causato la morte anche della gru? Dal 1947 l’Howard Hughes di eccessi, voli, sesso e set esce di scena, al suo posto entra un miliardario paranoide che maneggia favori, finanziamenti e potere. Vengono aperti procedimenti giudiziari sul suo conto, finiti in niente. [...] Ora il miliardario continua a vendere, comprare, accumulare, non più dalle cabine telefoniche fra una gozzoviglia e l’altra, ma di notte, da una suite a Las Vegas (che nel frattempo si è comprato in larga parte), con i piedi avvolti da scatole di Kleenex, le unghie a spirale perché mai più tagliate, guanti per toccare ogni oggetto, otto mormoni a fargli da guardie del corpo, il televisore sempre acceso e sei telefoni in funzione. Viene battezzato «il fantasma del capitalismo americano», per tre volte lo danno morto, sbagliando. Dal suo Aventino notturno smista affari e favori. Il suo patrimonio è di 2 miliardi di dollari: Hughes è l’uomo più ricco d’America e sul suo libro paga figurano i nomi di Lyndon Johnson, Hubert Humphrey, Nixon. Ha contatti e contratti con la Cia, amicizie con dittatori come Anastasio Somoza e finanzieri come Adnan Kashoggi. Dietro lo scandalo Watergate, che costa la poltrona a Nixon, c’è ancora lui. Muore nel ’76, in volo a 10 mila metri sopra il Golfo del Messico. Pesa 42 chili, è una larva umana ma l’Aviatore (uno dei suoi soprannomi) preferisce l’alta quota anche per spirare. Nel ’72 quando ruppe il silenzio di cui si era circondato organizzando una conferenza stampa telefonica per smentire una presunta autobiografia autorizzata, rispose alla domanda: «Chi è Howard Hughes?» dicendo: «Un uomo come gli altri, solo un po’ più ricco e riservato». Stefania Berbenni