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 2004  ottobre 07 Giovedì calendario

Il calcio di Lotito esalta la platea nazionalsocialista, l’Unità, 07/10/2004 Se Claudio Lotito fosse solo un imprenditore dai modi grezzi e brutali, e dalle amicizie giuste, non ci sarebbe un particolare motivo per parlarne

Il calcio di Lotito esalta la platea nazionalsocialista, l’Unità, 07/10/2004 Se Claudio Lotito fosse solo un imprenditore dai modi grezzi e brutali, e dalle amicizie giuste, non ci sarebbe un particolare motivo per parlarne. Ma se invece Claudio Lotito è una nuova forma esistente in natura di arcitalianità, una forma sconosciuta fino ad oggi, allora la storia del dottor Lotito va spiegata bene. Perché Lotito è un imprenditore, un presidente di società di calcio, un amico di Francesco Storace, governatore della Regione Lazio, ma è ancora di più. Molto di più.  un misto di nazional-popolare e di vecchia destra, di ambizione e persino buon senso, un outsider dai modi imbarazzanti e contemporaneamente uno che si muove nel mondo della politica e del calcio con una stupefacente abilità. Un signore ricco, che però non passa mai dalle porte principali. Uno che non sa neppure che cosa sia la parola stile, perché quel vocabolo lo ha sostituito con una parola che non esiste: un cinico de core, direbbero a Roma. Uno che scende in mezzo al suo popolo di tifosi, e contemporaneamente si inventa il motto: «Tabula rasa, e non se paga nessuno». Questo per gli amici. Per le masse laziali, la parola d’ordine è un’altra: «Se volete un calcio pulito rivolgetevi a Claudio Lotito». E dire che lui, Claudio Lotito le pulizie le ha sempre fatte con cognizione di causa. Nato a Roma, cresciuto ai Castelli, nel 1957, Lotito è titolare di un certo numero di piccole imprese di pulizia, e di una piccola società di security. Nel senso che tutte le sue aziende di pulizie, sono società a responsabilità limitata, con il minimo di legge di capitale versato, 10.400 euro; 60 milioni di euro di giro d’affari per un utile senza pretese: poche decine di migliaia di euro. Niente di grandioso, se non fosse che Lotito lavora soprattutto con la Regione Lazio governata da Storace. Ma se andate a chiedergli conto della sua grande amicizia con Storace, Lotito vi risponderà che «i meglio affari» li ha fatti quando al palazzone della Cristoforo Colombo, sede della Regione, c’era l’inquilino precedente, Piero Badaloni. Eletto per il centrosinistra. Come è, come non è, l’impero di Lotito ha un atout che va considerato, che pesa nella sua partita come pochi altri. Ha sposato Cristina, figlia di Gianni Mezzaroma, costruttore romano (un tempo si sarebbe detto palazzinaro) ricco e potente. Per il resto Lotito dice di essersi fatto da solo. La Snam e la Linda sono imprese di pulizia, la Bonadea si occupa di ristorazione, l’Immobiliare Appia e l’Immobiliare 03 si occupano di edilizia, la Gasoltermica fa manutenzione caldaie, e infine la Roma Union Security, con stemma dell’aquilotto, è un azienda di vigilanza, che tra le altre cose garantisce la sicurezza anche nel palazzo della Regione. Tutto questo fa come somma meno di duemila dipendenti. E ha per clienti, oltre la Regione, la Provincia di Roma, l’Acea, il policlinico di Tor Vergata, il policlinico Sant’Andrea, l’Ospedale Spallanzani, e i reparti dello Scico della Guardia di Finanza. Cose normali insomma. Buoni appalti, tutti nel pubblico. Tutti per le buone relazioni del signor Lotito, che mostra un animo rude, ma poi si muove con diplomazia, e senso degli affari. O meglio, si muoveva. Perché il calcio, per l’Imperatore del Mocio Vileda fa brutti scherzi. Il calcio non è il solito tran tran, la solita routine, il calcio tira fuori il meglio e il peggio delle persone. Spesso il peggio. Il calcio è ribalta, senso di potenza, e soprattutto volontà di potenza. Chissà cosa avrebbe scritto Nietzsche se avesse visto una curva da stadio in azione. Ma anche se Nietzsche avesse avuto il dono della preveggenza, e avesse pubblicato un trattato sugli ultras, lui Lotito, probabilmente non ne sarebbe al corrente. Nel suo studio, un ufficio esagerato al quartier generale di Villa San Sebastiano, ex ambasciata del Sudan, Lotito mostra tra candelabri, arazzi e quadri del Settecento, pure una libreria in legno massello dal contenuto eclettico. Una targa degli Irriducibili, con la scritta: «Al nostro presidente per la tenacia dimostrata al fine di salvare la SS Lazio» (e quel al fine è davvero una finezza). E assieme alla targa un libro di Suor Paola, la suora supertifosa laziale, ospite fissa di ”Quelli che il calcio” dei tempi di Fabio Fazio. Ma se fosse solo questo, che ci sarebbe di strano? Il rozzo e sbrigativo Lotito non ha un libro. Solo targhe e un tomo di suor Paola. E invece no, perché il resto della biblioteca è tutto un susseguirsi di titoli di medicina. Alcuni antichi e preziosi. Uno è persino in tedesco, un Klinische Medizin, arrivato lì chissà come. Nessuna cronaca fa notare che Lotito è laureato con il massimo dei voti in pedagogia. E che le imprese di pulizia lo hanno allontanato dalla passione per gli studi di medicina. Ma di pedagogia, con la sua Lazio, ne ha applicata assai poca. A luglio ha speso la somma di 26 milioni di euro, per acquisire il controllo della Società Sportiva Lazio. Sono briciole, se si tiene conto che i debiti della società arrivano a circa 75 milioni di euro. Da pagare in tre rate all’erario. Solo che Lotito - fedele al motto tabula rasa e non si paga nessuno - al primo consiglio di amministrazione ha fatto il suo show. Ha preso gli incartamenti relativi a debiti e rate, e ha buttato, fisicamente, tutto nel cestino. Non ha pagato la prima rata e ha detto che tratterà per avere una rateazione a dieci anni. Cosa di fatto impossibile. Questo ha scatenato una claque di ammiratori del rude imprenditore. Che si vanta di tener pulito il calcio oltre che i locali del suo amico Storace. Il suo allenatore, Domenico Caso, quando era responsabile del settore giovanile, guadagnava 100 mila euro netti all’anno. Ora che sta in una panchina di serie A, si deve accontentare di 50 mila netti. Che neanche un allenatore di C2 prende così poco. Nella sua grandeur Lotito ha un motto. Faccio tutto da solo, e non guardo in faccia nessuno. Il 20 agosto scorso, a San Siro, per la partita di supercoppa Milan-Lazio, il presidente della Lazio siede accanto al presidente del Milan, oltre che del Consiglio. Lotito è impressionato dai solerti barellieri e dai Vigili del fuoco dello Stadio Meazza. Si rivolge a Berlusconi, e chiede: «Ma a te, quanto te costano i barellieri in campo?». E Berlusconi: «Nulla, è un servizio gratuito». Torna a Roma, e Lotito decide: i pompieri non si pagano. Viene indetta una riunione con il prefetto Achille Serra, perché l’agibilità dello Stadio Olimpico diventa a rischio, se non impossibile, senza i Vigili del fuoco. E Lotito si presenta davanti a Serra con due ore e mezza di ritardo. Cosa che fa andare su tutte le furie il prefetto di Roma. Ma la media dei ritardi degli appuntamenti di Lotito varia dalle 4 alle 6 ore. Ma tutto questo ha un suo pubblico. il pubblico del «Me ne frego», di antica tradizione socialfascista, la stessa che incarna così bene, ma senza questi eccessi il governatore Storace. Che però non è il solo amico di Lotito. Nell’elenco dei fedeli del neopresidente della Lazio, c’è Guido Paglia, c’è Cesare Previti, c’è Carlo Taormina. Anche se Taormina uno dei suoi scherzetti glielo ha giocato. Sostenendo che la fede laziale di Lotito era assai poco dimostrabile, visto che il presidente, prima dell’acquisto della società, si vedeva spesso e volentieri nella tribuna dell’Olimpico, certo, ma soltanto quando giocava la Roma. E questo è uno sgarbo che mette a disagio la nuova retorica di Lotito. Tutta costruita sul motto: la Lazio è mia. Oltre che dei tifosi naturalmente, e nessuno può metterci parola. A cominciare da quelli che c’erano prima, e prendevano i soldi della società. Lui i soldi li dà. «Non me metto nella tasca sinistra quello che ho tirato fuori dalla tasca destra. Il Presidente della Lazio? Stipendio zero». Alla prima riunione del Consiglio di Amministrazione, ha accusato i consiglieri di guadagnare troppo, a spese della buona salute della squadra. Ignorando volutamente che il presidente uscente, Longo, si era sospeso lo stipendio, e non aveva neppure la carta di credito della società: «Se volete stare in questo consiglio avete da paga’ voi», ha detto ai consiglieri. Poi per la prima partita di campionato ha annullato tutte le tessere omaggio. Niente privilegi: chi vuole vede’ ’a Lazio, ha da paga’. E ogni domenica è lui stesso a controllare personalmente tutte le richieste di biglietti. Incluse quelle dei giornalisti. Poi Lotito ha deciso che poteva fare a meno di tutti gli addetti della società allo stadio. 300 persone sostituite con solo 120 persone senza esperienza, che provenivano dalle sue aziende, e a gratis. Neanche a dire che l’Olimpico è andato in tilt. Poi è andato da Wolfango Patarca, storico selezionatore della giovanile della Lazio. L’uomo che ha scoperto Di Vaio e Nesta, e lo ha liquidato su due piedi. Ha messo al suo posto un ex generale amico suo. E ancora: lo staff medico della Lazio è stato licenziato e sostituito con un nuovo staff medico. A costo zero. Gratis. Come sia possibile lo sa soltanto lui. Ma tutto questo ha a che fare con i suoi appalti nei policlinici e ospedali romani. Non contento (ci sarebbe da dire: non pago...) ha dimezzato gli stipendi a fisioterapisti e massaggiatori, gente al massimo da 3.000 euro al mese. E i preparatori atletici che guadagnavano 60 mila euro ora si portano a casa la metà. E l’allenatore della primavera della Lazio si deve rassegnare a campare con 10 mila euro netti l’anno. Tutto questo in nome della lazialità. In campo Lotito non vuole giocatori, ma gladiatori. A basso prezzo, possibilmente. Quando ha potuto ha ritoccato i contratti. Simone Inzaghi è passato da 2 milioni e 400 mila euro l’anno a 950 mila euro. Però si è impegnato a darglieli per i prossimi cinque anni. Con Negro gli è andata male. Il contratto non è ancora chiuso. Dai due milioni e 400 mila euro l’anno, vorrebbe abbassare la cifra a 500 mila per tre anni. Negro, e sua moglie, che è il suo procuratore, pare non l’abbiano presa benissimo. Con Esteban Gonzales ha chiuso a 200 mila euro l’anno. Ma sembra che Gonzales fosse convinto di prenderne 1 milione e 200 mila. Lotito gli ha detto. «Se vinciamo lo scudetto te ne do 500 mila, la Coppa Uefa 300 mila, la Coppa Italia 200 mila. In più ti faccio un contratto annuale a 200 mila euro. E hai da esse’ contento, nel tuo paese ne prendevi 60 mila». I tifosi sono con lui. Il calcio pulito nell’ideologia calcistica fondamentalista è un sogno, un Eden, che ogni ultras coltiva dentro di sé. E che Lotito esprime. Ben oltre il calcio. Inneggiando al simbolo del gladio e del gladiatore, e soprattutto all’idea dell’appartenenza. Essendo quella del calcio l’unica ideologia totalitaria e acritica rimasta in piedi. E in questo totalitarismo calcistico, fatto di presidenti condottieri e di calciatori semidei, la pulizia di Lotito è tutta costruita sul sacrificio. Il primo sacrificio lo avrebbe fatto lui, pagando i 26 milioni di euro. Il resto dei sacrifici è richiesto a tutti gli altri, a cominciare dai suoi collaboratori più stretti. L’autista Felice, ex poliziotto, che ormai mangia solo pizza al taglio perché Lotito non gli dà il tempo neppure di sedersi a tavola; la fedele Michela, segretaria che tenta di sopportare lo stress, ma non osa andare a chiedergli le ferie. L’appartenenza è riportare a Roma quelli che hanno fatto grande la Lazio. Pulici e forse Chinaglia. Oltre naturalmente a Paolo Di Canio, ritornato dall’Inghilterra. E ora prestato proprio all’amico Storace, a cui deve davvero la sua scalata alla presidenza della Lazio. E ora Storace chiede il conto. Vuole Di Canio candidato nella sua Lista Storace. In gioco migliaia di voti laziali. Tutto a colpi di slogan, genere che a destra lascia da sempre molto a desiderare. Dopo «Lotito, calcio pulito», sarà la volta di «Storace, destra pugnace»? Roberto Cotroneo