[1] Luca Fazzo, ཿla Repubblica 6/10/2004; Bruno Perini, ཿil manifesto 6/10/2004; [2] Luca Fazzo, ཿla Repubblica 6/10/2004; [3] Michele Ainis, ཿLa Stampa 6/10/2004; [4] Giancarlo Galli, ཿAvvenire 6/10/2004; [5] Paolo Biondani, ཿCorriere della Sera 5/, 6 ottobre 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 11 OTTOBRE 2004
La class action, l’arma segreta dei risparmiatori (Usa).
iniziato martedì a Milano il primo processo per il crac Parmalat. 85 mila obbligazionisti e 50 mila azionisti sperano di rivedere almeno in parte i loro risparmi. Amalia Salerno, 78 mila euro persi su consiglio della Banca Cesare Ponti: «Farei un bel falò di questi signori, così poi vado in galera e almeno mangio». Il tipografo milanese Lionello De Checchi, classe 1930, 53 milioni di lire di liquidazione persi per i consigli della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza: «Non vado dentro l’aula perché mi hanno detto che se mi incazzo rischio di essere io quello che finisce in galera». Michela Fusco, che a ottobre 2003 si lasciò convincere da Ambroveneto a comprare 20 mila euro di bond: «Gli devono tagliare la testa». [1]
Nessuno ha il coraggio di dir loro che non vedranno un euro. Non da questo processo, almeno. Luca Fazzo: «La legge parla chiaro, questo popolo di risparmiatori disperati è marchiato con una brutta parola: chirografari. A loro andrà quello che avanza. Praticamente niente». [2] Michele Ainis: «A prima vista può suonare come un paradosso. Ma il processo Parmalat può offrire un’occasione di riscatto per la nostra società civile. Può riannodare il filo della legalità spezzata. Può riaccendere la fiducia dei cittadini verso le istituzioni, che in Italia non è mai stata troppo alta, ma che negli ultimi tempi vola rasoterra». [3]
La perdita di credibilità del mercato mobiliare italiano è rovinosa. Giancarlo Galli: «Risparmiatori sfiduciati, aziende che faticano a ottenere il credito per gli investimenti, capitali stranieri scaltramente alla finestra. L’esatto contrario di quel che urgerebbe per farci uscire da un ciclo negativo e depressivo che purtroppo si tocca quotidianamente con mano. Far luce piena, e presto, sul come s’è giunti al crac Parmalat, è un imperativo». [4] I magistrati milanesi parlano di «processo-pilota»: «Stiamo sperimentando una specie di class action all’italiana», ha detto un pm. [5]
La class action, si dice, è lo strumento giudiziario più significativo del ventesimo secolo. [6] Nata negli Stati Uniti nel secondo decennio del XX secolo, si sviluppò a partire dal 1938 ed è ora regolata da una norma del 1968. [7] Federico Rampini: «Il segreto della forza dei consumatori sta in quattro peculiarità del sistema giudiziario americano, alcune antiche ed altre recenti: le giurie popolari, l’istituto della class action, il sistema di retribuzione degli avvocati, il punitive damage». [8]
Estratti a sorte fra i cittadini, i giurati simpatizzano con i loro simili più che con le grandi multinazionali. Rampini: «Ma questo è vero solo in parte. Dovendo applicare la legge, le giurie possono essere influenzate dalla bravura dei legali, e gli avvocati migliori spesso lavorano per chi paga di più. Qui interviene l’importanza della class action, il principio che consente ad un’intera collettività di costituirsi parte civile. Se la Microsoft mette sul mercato un software difettoso, tutti i clienti che l’hanno comprato possono essere rappresentati come una singola parte lesa, da uno studio di avvocati. E non solo: è consentito a uno studio di avvocati ”promuovere” il processo alla Microsoft, poi pubblicizzarlo fra i consumatori, in modo da reclutare via via un numero sempre più ampio di clienti». [8]
La class action riequilibra i rapporti di forza. Rampini: «Questo effetto perequativo viene a sua volta rafforzato da un’altra peculiarità americana: qui la legge consente che gli avvocati si prendano una percentuale sull’indennizzo che riescono a ottenere per i propri clienti, se vincono la causa in tribunale o se convincono l’azienda a patteggiare dietro pagamento. A questo punto il fior fiore dell’avvocatura americana è dalla parte dei consumatori: non solo difende una causa nobile, ma guadagna bene». [8]
La quarta arma segreta del consumatore: il punitive damage. Rampini: « previsto dalla legge che, una volta stabilità la responsabilità di un’impresa (prodotto difettoso, insicuro, nocivo alla salute), la giuria possa stabilire un risarcimento molto più alto del danno reale subito dall’acquirente. Il risarcimento ha una doppia finalità: riparare le sofferenze morali e materiali della parte lesa, ma anche scoraggiare comportamenti delittuosi o irresponsabili da parte delle aziende. cioè consentito alzare l’indennità a un livello tale da farne un deterrente, che funga da esempio per l’impresa condannata e anche per le altre: ”colpirne una per educarne cento”». [8]
130 miliardi di dollari l’anno: tanto costa alle società americane la litigiosità in tribunale. Maria Teresa Cometto: «Per il Manhattan Institute - pensatoio conservatore che contro gli avvocati di questo settore (tort lawyer) ha perfino creato un sito (www.pointoflaw.com) - il costo diretto di queste cause supera il 2% del prodotto nazionale lordo degli Usa». Nel complesso il fatturato dei tort lawyer americani è di 40 miliardi di dollari l’anno, il doppio di Coca-Cola e Halliburton. [9]
Il più famoso dei tort lawyer è John Edwards, candidato vicepresidente dei Democratici. Cometto: «Quello degli avvocati è il business in testa alla classifica dei finanziatori della campagna elettorale dei Democratici: hanno donato 11,9 milioni di dollari al candidato presidente John Kerry e 4,1 milioni al suo numero due Edwards; ma sono anche la seconda categoria per generosità verso Bush (dopo i pensionati) con 9,4 milioni di contributi». La loro influenza sulla politica è enorme: nell’ultimo anno e mezzo hanno bloccato 9 progetti di modifica della legislazione. [9]
Una riforma è necessaria: l’attuale sistema ha generato troppe distorsioni. Spesso gli avvocati, ad esempio i cosiddetti ”cacciatori d’ambulanze” specializzati in querele contro ginecologi e ostetrici presunti responsabili di malformazioni alla nascita, incassano parcelle che superano le decine di migliaia di dollari per ora di lavoro. Cometto: «La conseguenza è che ginecologi e ostetrici sono quasi scomparsi da alcune aree, come Filadelfia, dove i tribunali hanno emesso sentenze particolarmente punitive contro di loro; e i costi delle assicurazioni mediche sono lievitati». [9]
La class action esiste anche in Italia (legge n. 281/98). Gianfranco Di Garbo, managing partner di Baker & McKenzie: «Prevede l’azione delle organizzazioni dei consumatori a tutela di un interesse collettivo. Ma si tratta di una azione di tutela preventiva. A danno avvenuto, per ottenere un risarcimento, è il singolo che deve attivarsi. In prima persona». [10]
La 281/98 fissa norme molto rigide di correttezza e trasparenza sui prodotti di risparmio. Giovanni Valentini: «La legge prevede, fra l’altro, che la banca valuti la quota di rischio del singolo risparmiatore; lo informi su un eventuale conflitto di interessi, se ha nel proprio portafoglio i titoli che sta offrendo; e infine, nel caso estremo in cui non ottenga tutte le informazioni utili, svolga addirittura una sua indagine per accertare le capacità di reddito del cliente e le sue abitudini negli investimenti finanziari. Tutto ciò non è stato sufficiente, tuttavia, a impedire gli scandali della Cirio prima e di Parmalat dopo». [11]
Le associazioni dei consumatori hanno perciò intrapreso una nuova strada. Si tratta dei ”tavoli di conciliazione” con le banche. Al momento, ne sono aperti quattro, tre sui casi Cirio e Parmalat, con Banca Intesa, Capitalia e Unicredito; uno con il Monte dei Paschi di Siena per la vicenda dei cosiddetti ”Piani di accumulo”, ”My Way” e ”For You”. Banca Intesa, per fare un esempio, ha siglato con le associazioni dei consumatori un accordo che basa il risarcimento su tre parametri: la quota di investimento a rischio; la propensione a investire del singolo cliente; la sua preparazione in materia. In attesa che il Parlamento approvi definitivamente la nuova legge sulla class action, questa può diventare una ”via italiana” per la difesa dei cittadini e dei consumatori. [11]
Un ostacolo rende complicata l’importazione in Italia della class action all’americana. Sabino Cassese: «La tutela dei crediti di massa non è neppure pensabile senza un radicale mutamento dei principi che governano il compenso degli avvocati, senza cioè il riconoscimento all’avvocato - che rappresenta il motore trainante della class action - di una quota litis dell’ammontare dell’intera causa, come compenso per i rischi connessi agli ingenti investimenti che consentono ai danneggiati di partecipare gratis all’azione giudiziaria». [7] Cometto: «Il patto quota-lite in Italia è vietato. Com’è vietato dal codice civile l’esercizio in nome proprio di diritti altrui. Con l’eccezione del sindacato, che può intraprendere un’azione collettiva in difesa dei diritti dei lavoratori e di alcune organizzazioni dei consumatori, riconosciute dallo Stato, che in certi casi possono rappresentare i loro iscritti». [12] La via italiana alla class action è un’azione cumulativa di tante cause individuali. Cristiano Iurilli (Adiconsum): «Il risultato è una pioggia di cause, con il corredo di spese da sopportare e di ingolfamento della macchina giudiziaria. Il calcolo lo ha fatto la Camera di Commercio di Milano: in Italia sono oltre 5 milioni le persone che hanno una causa civile in corso, buona parte delle quali potrebbero rientrare nella categoria della class action». [13]
A luglio la Camera varò la disciplina sul market abuse (437 si, 8 no, un astenuto). Che ora è attesa all’esame del Senato. Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori: «La class action giace in Senato con una vera e propria azione di boicottaggio che viene dall’area di governo, con qualche trasversalità nell’opposizione. Senza dubbio c’è una voglia di non fare, di non approvare questa legge che darebbe uno strumento di difesa in più ai cittadini». [14] «La vicenda della legge sul risparmio non fa onore alla politica. Il ministro Siniscalco deve intervenire, è in gioco la credibilità internazionale del nostro Paese», è sbottato la settimana scorsa Pier Ferdinando Casini. [15]
Passano le stagioni, e dal decisionismo si scivola nel bizantinismo. Galli: «Sfruttando cinicamente i litigi (ad esempio fra Bankitalia e l’ex ministro Tremonti), entrano in azione i frenatori, gli specialisti nello spezzare il capello in quattro. Ultimi, con felpata autorevolezza, i sapienti del Cnel, a invocare la gradualità delle riforme. Testuale: ”la scelta di procedere con provvedimenti diluiti nel tempo, appare la migliore...”. Pur evitando di scadere nella dietrologia, questa tecnica del bradipo lascia l’amaro in bocca. Inducendo a sospettare che in Italia quando si toccano le cristallerie dei soliti potentati in troppi vengono colti da tremori e amnesie». [4]
Con la nuova class action le cose cambierebbero. Sarebbe infatti uno dei soggetti riconosciuti dalla legge (camera di commercio e associazioni dei consumatori e dei professionisti) a farsi promotrice dell’azione legale. Il giudice accerterebbe l’eventuale illegittimità del comportamento dell’impresa (nel caso Parmalat la banca), con una sentenza (prima fase) che potrà poi essere utilizzata dai singoli per chiedere il risarcimento danni (seconda fase). Iurilli: «I singoli non dovranno più provare l’illegittimità del comportamento, ma dovranno agire solo per far quantificare il danno effettivamente subito». [13] La class action «all’italiana» sarà comunque ristretta rispetto al modello Usa, ammessa solo in caso di contratti standardizzati, come quelli di banche, assicurazioni, luce, gas e telefono, ma anche viaggi offerti dai tour operator che non soddisfano le promesse del contratto. [16] Federconsumatori dice che è una norma «troppo condizionata», anche se «è un passo importante»; per Codacons è solo «fumo negli occhi». [17]
Macché class action, serve il ”Superprocuratore”! Qualcuno come il newyorkese Eliot Spitzer, per capirsi. Guido Rossi («il più noto giurista italiano»): «La prassi del procuratore Spitzer fa impressione: le persone da lui chiamate a testimoniare non hanno il diritto di essere assistite da un avvocato e nemmeno quello, riconosciuto dal Quinto Emendamento della Costituzione Usa, di non rispondere alle domande o di non fornire prove che potrebbero determinarne il proprio assoggettamento a responsabilità penale. Infatti, ogni rifiuto di rispondere alle domande è considerato, salva prova contraria, come prova della avvenuta commissione della frode. Per vincere il caso, il procuratore generale non deve neppure provare che il convenuto intendesse frodare alcuno, né che una transazione sia occorsa tra le parti o che qualcuno sia stato effettivamente truffato, né deve per forza esibire la prova della frode. Chiude prima del giudizio. I poteri forti davanti a lui si sentono meno forti e accettano transazioni che, ricordo il caso recente di Merrill Lynch, comportano il pagamento di multe miliardarie in dollari». [18]
L’idea del ”Superprocuratore” piace a Francesco Greco, titolare dell’inchiesta milanese su Parmalat. Il quale crede «poco alle riforme legislative», preferisce la «valorizzazione dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura», propone un’authority europea «con giurisdizione sull’insieme dei mercati finanziari nazionali» e più potere ai giudici. [19] Giulio Anselmi: «Lascia attoniti che da noi l’unico tentativo di regolamentazione sia lasciato alla magistratura (salvo poi accusarla di indebite interferenze). Come prima, più di prima le normative italiane (per esempio sull’informazione ai risparmiatori attraverso i prospetti) possono essere tranquillamente aggirate, le responsabilità degli amministratori blandamente punite: all’insegna dell’opacità e dell’indifferenza per gli interessi generali. Il ministro dell’Economia Siniscalco, sollecitato da Casini, non ha potuto far finta di nulla, ma ha dato assicurazioni assai blande: ”Riprenderemo il discorso con l’obiettivo di concluderlo consensualmente in tempi ragionevoli”. D’altra parte, che fretta c’è? La giustizia, come si dice, segue il suo corso. E le vittime di Parmalat ? e poi di Cirio e delle obbligazioni argentine? in mancanza di class action hanno cominciato a fare la fila, uno ad uno, con la propria azione per danni. Ieri erano 5 mila, domani chissà». [20]