Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  gennaio 12 Giovedì calendario

LVY Benny. Nata a il Cairo (Egitto) il 28 agosto 1945, morto a Gerusalemme (Israele) il 15 ottobre 2003

LVY Benny. Nata a il Cairo (Egitto) il 28 agosto 1945, morto a Gerusalemme (Israele) il 15 ottobre 2003. Filosofo. «’Da Mao a Mosè”: così qualche intellettuale francese riassumeva con una punta di sufficienza la parabola di Benny Lévy. [...] Protagonista del maggio 1968 e ideologo del gruppo maoista Gauche proletarienne, si autodefiniva ”terrorista intellettuale” per l’arte con cui usava le parole e faceva cambiare idea all’interlocutore: di ciò devono essersi ricordata l’intellighentsia sartriana quando lo accusò di ”circonvenzione di vegliardo” ai danni di Jean-Paul Sartre del quale era divenuto segretario nel 1974. Sulle ceneri dell’utopia (e dopo essere stato tra i fondatori di ”Libération”), Benny Lévy aveva ritrovato le radici ebraiche, il pensiero di Lévinas e il messianismo giudaico di Gershom Scholem e Martin Buber. In un suo colloquio con Sartre uscito sul ”Nouvel Observateur”, questi manifestò pensieri lontani dal consueto esistenzialismo ateo: di qui l’anatema dei sartriani capeggiati da Simone de Beauvoir. In realtà Benny Lévy era sempre innamorato della parola, ma in senso rabbinico, come raffinato interprete della Torah: e si trasferì a Gerusalemme dove fondò l’Istituto Lévinas con Bernard- Henri Lévy e Alain Finkielkraut. Negli stessi anni la Francia conobbe anche il caso di Roger Garaudy, filosofo marxista (stavolta ortodosso ed esponente del Pcf), convertitosi all’Islam: e sono innumerevoli i casi di ex contestatori che, scesi dalle barricate, si sono vestiti d’ocra o arancione per seguire mistici d’Oriente. Ma la conversione di Benny Lévy non va confusa tra le mode, perché fu un’ ”avventura metafisica unica e rigorosa” come l’ha definita Bernard- HenryLévy, che merita rispetto intellettuale. Anche da parte della gauche» (’Corriere della Sera” 17/10/2003).