Varie, 12 gennaio 2006
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Vermeil Richard
• Calistoga (Stati Uniti) 30 ottobre 1936. Allenatore di football americano • «[...] il Trap d’America, il nonno insuperabile del football americano. [...] è stato giocatore e allenatore [...] ha vinto e perduto [...] Un Rose Bowl (il titolo nazionale a livello universitario) e un Super Bowl (il titolo nazionale a livello professionistico), ha vinto Vermeil da allenatore - oltre a cosette minori. E, anche, il raro privilegio di essere nominato Allenatore dell’Anno in tutte e quattro le categorie in cui ha allenato, dal college fino ai professionisti. Basta? No, perché non basta la lista dei suoi onori a dire chi è stato e chi è Dick Vermeil. Meglio, molto meglio lo dice il fatto che dopo aver vinto tanto una prima volta, Vermeil è stato via dal football per 15 anni, ”a vivere la mia vita di padre, di marito, di uomo che si cerca e si trova esplorando”, e dopo è tornato. Per vincere ancora, e di più. Meglio lo dice il fatto che non è mai stato licenziato, ma sempre è andato via quand’era il momento giusto per farlo. Meglio lo dice il fatto che non è noto solo per aver vinto tanto, Vermeil, nel football americano, ma anche per essere quello che piange. Già, piange: piange quando gli si rompe un giocatore, piange quando deve licenziare un giocatore, piange quando vince (ma non quando perde, mai visto in lacrime dopo una sconfitta). E piange davanti ad un tramonto che lo meriti, e piange - è accaduto, sì - di fronte ad un piatto di pasta e fagioli particolarmente ben fatto. Psicolabile? un modo di dirlo. Un altro è che Vermeil piange perché ride, perché vive, perché partecipa: ha il cuore e non dimentica di averlo. ”Se non metti tutto quel che hai in un’attività, la sconfitta non ti ferirà più di tanto ma nemmeno ti godrai appieno il successo”, dice. [...] il Super Bowl del ”99 è stato il suo momento più alto. Due anni prima era ancora lì, ben dentro la pausa di ricerca che a quel tempo sembrava dovesse non finire mai. Commentava le partite in tv, sì, ma più che altro si dedicava al Garage Cabernet, l’etichetta del vino che produce in California, o alla grande tenuta che possiede in Pennsylvania, dove non è raro vedere lui e la moglie al lavoro, nei campi. Aveva mollato il football nell’82, dopo aver portato i Philadelphia Eagles al loro primo Super Bowl (perduto, nell’81). E nessuno ci credeva, quando nel ”97 Saint Louis annunciarono di aver scelto Vermeil e di averlo indotto a tornare. Dick venne. Vide. E all’inizio perse. Per due anni i Rams fecero orrore, quasi sempre sconfitti, mai nei playoff. Poi, alla vigilia della stagione ”99, si rompe l’appena ingaggiato Trent Green, il quarterback, la mente di una squadra di football [...] Green avrebbe dovuto risollevare i Rams, invece va kappaò, si frantuma per l’intera stagione. Tragedia? L’intera città pensa che sì, che è finita prima ancora di cominciare; Vermeil pensa che no, che se non è ancora cominciata allora non può già essere finita. E dunque piange per quell’infortunio, poi prende su e affida la propria vita sportiva al quarterback di riserva, uno venuto dal nulla, il classico ”si-alzò-dall’ombra-e-fu-l’eroe”: Kurt Warner. La stagione inizia con i bookmakers che pagano a 200 la vittoria dei Rams nel Super Bowl e si chiude con Vermeil aggrappato al petto di Warner, ed entrambi piangono, e sono al centro del campo dove i Rams hanno appena vinto il Super Bowl, battendo i Tennessee Titans. Come ha fatto, Dick, a fare questo di Warner, a trasformare un nessuno in un re? Lo ha convocato nel suo ufficio, lo ha guardato in faccia, gli ha detto: ”Tu nemmeno hai la più pallida idea di quanto sei forte. Io credo in te”. [...]» (Alessandro Tommasi, ”La Stampa” 2/1/2006).