Varie, 12 gennaio 2006
Tags : Birgit Nilsson
Nilsson Birgit
• Vaestra Karup (Svezia) 17 maggio 1918, gennaio 2006. Soprano. «[...] aveva debuttato nel 1946 nel ruolo di Agata, nel Franco cacciatore, di Carl Maria von Weber. In una carriera coronata da innumerevoli successi, si era esibita spesso alla Scala di Milano, al Covent Garden di Londra e al Metropolitan di New York. Si ricorda in particolare una sua trionfale interpretazione nel ruolo di Isotta, nel Tristano e Isotta di Wagner, alla Scala nel 1956. Da allora, era stata proiettata nell’Olimpo delle migliori cantanti wagneriane del ventesimo secolo. Quanto alla imponente produzione discografica, la sua registrazione dell’Elettra di Strauss, con la direzione di Sir Georg Solti, era diventata in classico. In Italia la stella di Brigit Nilsson arrivò negli anni ’60, quando la cantante aveva quasi 40 anni. Oltre che alla Scala, ha cantato al Regio di Torino, a Macerata e a Roma fu più volte ospite delle stagioni di concerto dell´Accademia di Santa Cecilia» (’la Repubblica” 12/1/2006). «[...] La sua carriera è durata 40 anni esatti avendo esordito nel 1946 come Agathe nel Freischütz ed essendosi ritirata nel 1986, per dedicarsi all’insegnamento. Calcò le scene dei migliori teatri d’opera del mondo: a Londra, a Berlino, a New York, dove ha cantato ininterrottamente per 16 anni (1959-75), alla Staatsoper di Vienna, dove si è esibita per 232 volte e dove era stata nominata membro onorario. [...] Pur ottima Lady Macbeth, Leonora, Turandot, Elektra, la cantante svedese la si ricorda comunque in primo luogo per le interpretazioni wagneriane. Era infatti soprano, come si suole dire, ”di grande tonnellaggio”, incisivo e scultoreo come nessun altro nello stile declamato che tal repertorio richiede. Era anche capace tuttavia di preziose sfumature espressive, che le erano dettate non solo da una tecnica infallibile, ma anche e soprattutto da una squisita consapevolezza drammatica. [...]» (Enrico Girardi, ”Corriere della Sera” 12/1/2006). «Era un monumento e aveva un monumento di voce [...] Più di ogni altro, il soprano svedese era l’interprete per eccellenza delle opere di Richard Wagner e Richard Strauss, un’eccellenza che fra gli anni Cinquanta e i tardi Settanta s’impose nei luoghi deputati. Al festival wagneriano di Bayreuth la Nilsson sbaragliò le rivali, al Metropolitan di New York ebbe successi memorabili, ovunque non si poteva dare Wagner al massimo livello senza che lei mancasse. I motivi sono presto detti, stavano nelle doti naturali, nella tecnica e nella scuola svedese. Aveva una voce d’acciaio che l’aveva resa erede di un’altra wagneriana divenuta mito canoro, la norvegese Kirsten Flagstad: evidentemente a quelle latitudini nascevano un tempo voci così, educate con gran cura affinché potessero cimentarsi senza sforzo in un repertorio di colossale impegno, dove occorre trapassare muri di orchestre tonanti. La famosa tecnica di appoggio del fiato sul diaframma, che pochi cantanti possiedono, era il segreto delle saette lanciate dalla Nilsson in mezzo all’orchestra dell’olocausto di Brunilde, il finale del Crepuscolo degli dèi e dell’intera Tetralogia di Wagner: nessuno sforzo, e l’ascoltatore inchiodato alla poltrona. Anche nel Tristano e Isotta non aveva rivali: oggi nella morte d’Isotta si possono ascoltare voci corpose, ma non così limpide e trafiggenti. Altri tempi davvero, quando i cantanti sapevano risparmiarsi e non saltavano da un aereo all’altro. Voce drammatica e talento drammatico aveva la Nilsson, il passo da Wagner a Strauss è sempre stato breve per talenti così: la sua Elektra, incisa in stato di grazia con Georg Solti e i Wiener Philharmoniker, è l’icona sonora della tragedia greca riscritta con la violenza espresionista della musica del Novecento. Eppure la Nilsson, proprio perché aveva una tecnica sopraffina, sapeva piegare quella voce a molte sottigliezze, quelle che richiedeva un personaggio così sfaccettato come la Marescialla nel Rosenkavalier, e non dimentichiamo che nel 1946 aveva debuttato a Stoccolma intrepretando un personaggio circonfuso di dolce purezza, Agathe nel Freischütz di Weber. Fu per questo che un soprano così nordico come la Nilsson potè cantare anche l’opera italiana a pari grandezza e intelligenza, guadagnando alta stima anche nei teatri italiani, che certo la tenevano come stella fissa nel repertorio wagneriano. Il pensiero non corre esclusivamente alla Turandot di Puccini, dove gli acuti svettanti della Nilsson erano lame affilatissime; corre all’Aida, registrata all’Opera di Roma con Franco Corelli (un altro mito) e la direzione dell’ancor giovane Zubin Mehta. Quel ripiegamento interiore, quell’intima dolcezza della voce messa al servizio del personaggio e della musica di Verdi restano un gemma fra le pagine di storia che portano il nome della Nilsson» (Giangiorgio Satragni, ”La Stampa” 12/1/2006).