[1] Michael Meyer, ཿNewsweek International 27/9/2004; [2] Total Midyear Population for the World: 1950-2050, US Census Bureau; [3] World Fertility Report 2003 (Divisione popolazione del dipartimento degli affari economici e sociali del Segretariato delle, 27 settembre 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 4 OTTOBRE 2004
Il problema del mondo è che i cinesi fanno pochi figli.
Sabato alle 13.30 eravamo 6.463.71x.xxx (da http://www.ibiblio.org/lunarbin/worldpop).
Due settimane fa il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione ha lanciato un allarme demografico. Michael Meyer per ”Newsweek”: «Nel mondo stanno nascendo sempre meno bambini. Il tasso di fertilità è calato dai 6 figli per donna del 1972 ai 2,9 di oggi, e i demografi dicono che continuerà a scendere più veloce che mai. La popolazione mondiale continuerà a crescere, dagli attuali 6,4 miliardi ai 9 del 2050. Ma dopo questa data, inizierà a diminuire in modo netto. Questo nuovo fenomeno, lo spopolamento, è già iniziato in molti Stati». [1] I dati dell’Us Census Bureau sul tasso di crescita medio della popolazione mondiale: 1,97 nel 1972, 1,13 nel 2004, 0,43 del 2049. [2]
Questa rivoluzione sarà condotta non tanto dalle nazioni sviluppate, quanto da quelle in via di sviluppo. [1] In un rapporto dell’Onu del 2003 si legge che tra il 1970 e il 2000, la popolazione mondiale ha vissuto una grande riduzione dei livelli di fertilità, che s’è fatta sentire soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Tra il 1970 e il 1990 la diminuzione media nelle nazioni più ricche è stata dell’ordine di 1,88 figli per donna, mentre in un quarto di quelle più povere è stata di 2,6 o più. [3] Nel 2050, per la prima volta, nei Paesi in via di sviluppo (definizione che esclude le regioni più povere, tipo l’Africa subsahariana o alcune zone del Medioriente) la fertilità media scenderà al di sotto dei 2,1 figli per donna, il numero che garantisce il perfetto ricambio delle generazioni in caso di bassa mortalità e quindi la stabilità della popolazione (detto ”tasso di sostituzione”). [4]
Il tasso di fertilità medio in Europa è di 1,4 figli per donna, ben al di sotto del tasso di sostituzione. Secondi i dati contenuti nel Rapporto dell’Onu sulla popolazione mondiale del 2002 in cima ci sono Francia e Irlanda con 1,8 figli per donna, in fondo Italia e Spagna con 1,2, mentre in mezzo c’è la Germania con 1,4. Se i dati delle Nazioni Unite sono esatti, la Germania nei prossimi 40 anni potrebbe perdere la metà dei suoi 82,5 milioni di abitanti, più o meno l’equivalente di tutta la Germania dell’Est, una perdita di popolazione che non si vedeva in Europa dalla guerra dei Trent’anni (1618-1648). La Russia perde 750 mila abitanti l’anno (per Putin si tratta di «una crisi nazionale»), mentre tutta l’Europa dell’Est nel 2050 dovrebbe ridursi di 3 milioni di abitanti l’anno. [1]
La vera sorpesa è che le nazioni meno sviluppate stanno seguendo la stessa traiettoria. In Asia spicca soprattutto il caso della Cina, il cui tasso di fertilità è sceso dal 5,8 del 1970 all’1,8 di oggi (1,3 secondo Pechino, che contesta i dati Onu): dal 2019 raggiungerà il picco massimo di 1,5 miliardi di persone, per entrare poi in una fase di declino che potrebbe fargli perdere dal 20 al 30% della popolazione a ogni nuova generazione a partire dalla metà di questo secolo. [1]
Per le Nazioni Unite la novità è rappresentata dai Paesi dove fino a poco tempo fa la popolazione cresceva a ritmi preoccupanti. In Iran, negli anni della rivoluzione di Khomeini, le donne partorivano mediamente 6,5 «soldati per l’Islam», mentre oggi la media è scesa a 2,75. La stessa tendenza si è manifestata in Brasile, in Tunisia, in Indonesia. L’India in trent’anni è passata da 5,43 a 2,97 figli per donna. In Thailandia, negli anni 70, le donne mettevano al mondo cinque bimbi a testa: oggi la media è di 1,9. Tra i sedici Paesi che tuttora hanno un tasso di fertilità estremamente alto (7 o più bambini per donna), ci sono Afghanistan, Angola, Burkina Faso, Burundi, Liberia, Niger, Mali, Somalia, Uganda e Yemen. [5]
I bassi livelli di fertilità cinese sono dovuti alla politica di contenimento delle nascite, annunciata da Deng Xiaoping nel 1979 e diventata operativa su scala nazionale nel 1981, che impose a ogni coppia di mettere al mondo un solo bambino. [6] Angelo Sica su ”Panorama”: «Nel 1984, in seguito al malcontento nelle zone rurali, il limite di un figlio si estese nella formula del ”figlio e mezzo”: una coppia può avere un secondo figlio, ma solo se il primo è femmina. Per i trasgressori, sterilizzazioni e aborti ufficialmente volontari. In questo modo il governo si è vantato di aver prevenuto in due decenni 300 milioni di nascite; peccato che la maggioranza di esse fossero femmine. Oggi in Cina 20 milioni di ragazzi non potranno sposarsi per la mancanza di donne e il numero cresce di un milione e mezzo ogni anno. Nel 2020 si prevedono 40 milioni di scapoli. Adesso, con l’obiettivo di invertire la tendenza entro il 2010, Zhao Baige, dirigente della commissione per la Pianificazione familiare ha presentato ”Care for girls” (prendiamoci cura delle bambine), grazie al quale le piccole saranno esentate dal pagamento delle tasse scolastiche, mentre i genitori avranno aiuti sul lavoro, nella ricerca della casa e, dopo il sessantesimo anno di età, riceveranno una pensione annuale di 1.200 yuan (144 dollari)». [6]
Il problema del 4-2-1. l’incubo del sistema statale cinese: grazie al contenimento delle nascite, ogni figlio dovrà potenzialmente occuparsi del sostegno di due genitori e quattro nonni. [1]
Tra i motivi per cui si fanno meno figli. Meyer: «La crescita dell’alfabetizzazione femminile e l’iscrizione nelle scuole ha determinato una diminuzione della fertilità, così come i divorzi, l’aborto e la tendenza a spostare avanti nel tempo il matrimonio. L’uso dei contraccettivi inoltre è cresciuto drammaticamente negli ultimi decenni. Secondo le Nazioni Unite, il 62% delle donne sposate, o comunque ”unite”, in età riproduttiva sta usando adesso qualche forma di controllo non naturale delle nascite». [1]
«Il capitalismo è il miglior contraccettivo». Secondo il sociologo Ben Wattenberg la riduzione delle nascite è la risultante di una varietà di trend indipendenti, tra cui il più importante è l’urbanizzazione: «Avere un figlio in città è un costo, piuttosto che una risorsa per arare i campi». [7] Secondo i demografi delle Nazioni Unite, per la prima volta nella storia dell’umanità entro il 2007 più della metà della popolazione mondiale vivrà nelle città; gli abitanti delle città passeranno dai 3 miliardi del 2003 ai 5 miliardi del 2030 e si troveranno soprattutto nelle nuove aeree urbane delle regioni meno sviluppate, di Africa, Asia e America Latina. [8]
presto per dire che il mondo rischia di spopolarsi. Carl Haub del Population Reference Bureau americano: «Se dovesse verificarsi una nuova inversione e il tasso di fertilità invece di scendere a 1,85, come dicono le Nazioni Unite, dovesse stabilizzarsi a quota 2,5, nel giro di un secolo la popolazione mondiale sarebbe di 27 miliardi di persone. Il pianeta non potrebbe essere in grado di sostenere un numero tale di abitanti». [5]
In realtà la diminuzione del tasso di crescita potrebbe risolvere un problema solo per crearne un altro. Paola De Carolis sul ”Corsera”: «Il calo delle nascite comporta un invecchiamento graduale della popolazione e dà origine a difficoltà di altro genere: sempre meno lavoratori a mentenere sempre più anziani, con costi sempre maggiori per Welfare e pensioni. In Europa, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, la proporzione degli over-65 aumenterà dal 15,4 per cento del 1995 al 22,4 per cento del 2025». [5]
La teoria economica classica vuole che l’espansione economica sia strettamente legata a quella demografica. Philiph Longman in The Empty Cradle (La culla vuota): «Le conseguenze potenziali dell’implosione della popolazione sono enormi, considerando l’economia globale. Qualcuno si aggrappa all’idea che si può avere un’economia tonica senza una popolazione crescente, ma gli economisti tradizionali sono pessimisti». [9] Nel 2050 la speranza di vita passerà da 76 a 82 anni nei Paesi avanzati e da 63 a 73 in quelli in via di sviluppo. L’età media sarà di 37 anni contro i 26 di oggi. [4] I demografi dell’Onu hanno provato a disegnare pure lo scenario del 2300. Ipotizzando la nascita di due figli per ogni donna la popolazione mondiale potrebbe arrivare a nove miliardi di unità: la percentuale di ultrasessantenni salirà dal 10% di oggi al 38, mentre gli ultraottantenni diventeranno il 17% (oggi sono solo l’1%). [10]
La popolazione mondiale invecchia sempre più e cresce sempre meno. Da ”La lettera Finanziaria” (su repubblica.it) del 23 settembre: «Proprio il contrario della vecchia teoria malthusiana secondo cui il boom demografico è strettamente connesso allo sviluppo economico». Il Fondo monetario internazionale in un capitolo dell’outlook economico di settembre ha avvertito che «un mondo con più vecchi significa che diminuisce il numero di persone che produce, e questo si traduce in un’economia destinata a crescere più lentamente». [11]
Secondo i calcoli del Fmi l’età media nel mondo tra il 2000 e il 2050 aumenterà di 10 anni e salirà a 37 anni. Per di più, in gran parte dei Paesi avanzati l’invecchiamento della popolazione è già in atto e la percentuale di popolazione attiva calerà significativamente nei prossimi 50 anni. il caso dell’Europa e del Giappone, mentre negli Usa il processo è rallentato dalla forte immigrazione. Nel Sudest asiatico e nell’Europa centrale e orientale questo trend prenderà il via a partire dal 2020, mentre in Africa e nel Medio Oriente la popolazione attiva aumenterà nei prossimi anni e l’invecchiamento si farà sentire solo nell’arco di alcuni decenni». [11]
L’invecchiamento della popolazione nei Paesi avanzati comporterà un forte innalzamento della spesa previdenziale e sanitaria e un calo del Pil pro capite, cioè un impoverimento generale. Sempre secondo il Fondo monetario, l’aggravio della spesa per le pensioni, la sanità e l’assistenza agli anziani nei paesi Ocse dovrebbe essere in media intorno al 7% l’anno tra il 2000 e il 2050. [11]
L’invecchiamento della popolazione gonfierà a dismisura la spesa sanitaria. Livi Bacci in Storia minima della popolazione del mondo: «La proporzione degli anziani con oltre 65 anni nei Paesi sviluppati si aggirava, nel 2000, attorno al 14% e la previsione è che raddoppi nel 2050; tra gli anziani crescerà fortemente la proporzione dei molto anziani. Ciò può implicare una lievitazione della spesa sanitaria: tra il 1986 e il 1997 la percentuale di spesa per la sanità sul Pil è cresciuta, nella media delle sei maggiori economie occidentali, dal 7,8% al 9,4; negli Stati Uniti, nello stesso periodo, la spesa è cresciuta dal 10 al 13,7%». [12]
0,50 per cento. la quota di Pil pro capite che le nazioni più ricche perderanno entro il 2050 proprio a causa dell’invecchiamento della popolazione. [11]
In uno scenario del genere gli Stati Uniti potrebbero essere il jolly. Meyer: «Mentre l’Europa e la maggior parte dei Paesi asiatici si spopolano, la popolazione indigena degli Stati Uniti sembra rimanere relativamente costante, con tassi di fertilità che oscillano quasi precisamente attorno ai livelli di sostituzione. Aggiungendo una forte immigrazione, si può vedere che l’America è l’unica nazione moderna che continuerà a crescere». [1] Negli Stati Uniti si è avuto un processo demografico simile a quello europeo fino agli anni 80, prima di un’inversione di tendenza. A ciò si aggiunge che l’America negli ultimi vent’anni ha accolto un numero di immigrati maggiore. Secondo i demografi il risultato è che la popolazione degli Stati Uniti dagli attuali 281 milioni diventerà di 350-400 milioni nei prossimi 25 anni, e tra i 400 e i 550 milioni nel 2050. [13]
In un mondo ideale il divario tra i paesi ricchi ma in contrazione e quelli poveri ma in crescita potrebbe rappresentare un’opportunità. Meyer: «Il lavoro potrebbe spostarsi dalle zone sovrapopolate e scarse di risorse a quelle in via di spopolamento nel nord, dove continueranno a esserci opportunità. Le rimesse di reddito e i capitali potrebbero andare nel senso opposto, producendo benefici per tutti. Forse, ma il presupposto è la mobilità del lavoro. Considerando le resistenze europee mostrate verso l’immigrazione in larga scala dal Nord Africa o la politica della zero-immigrazione del Giappone, è dura essere ottimisti». [1]
I suggerimenti del Fmi per contrastare l’invecchiamento della popolazione accompagnato da un basso livello della crescita economica: «Aumentare l’offerta di lavoro, il risparmio e la produttività. Molti Paesi hanno già iniziato ad affrontare questi temi critici, a partire dalla riforma delle pensioni e dalle riforme strutturali per incrementare la produttività, anche se va fatto molto di più per migliorare la situazione di bilancio dei governi e per ridurre il debito pubblico prima dell’inizio dell’invecchiamento». [11]
La demografia non perdona. Per l’Italia l’ultimo treno per modificare il sistema previdenziale parte nel 2020, quando oltre il 50 per cento degli elettori avrà 50 anni e più (dati del Fmi). [14]