La Stampa 12/01/2006, pag.3 Stefano Lepri, 12 gennaio 2006
«Con l’euro a 1500 lire l’export italiano sarebbe finito». La Stampa 12/01/2006. Roma. Millecinquecento lire per un euro? Ma con quel cambio all’estero non venderemmo più nulla, avevano risposto gli industriali quando si fissò, al rientro nel Sistema monetario europeo, il valore che poi è rimasto
«Con l’euro a 1500 lire l’export italiano sarebbe finito». La Stampa 12/01/2006. Roma. Millecinquecento lire per un euro? Ma con quel cambio all’estero non venderemmo più nulla, avevano risposto gli industriali quando si fissò, al rientro nel Sistema monetario europeo, il valore che poi è rimasto. Oltre il 95% delle imprese contattate in un sondaggio condotto attraverso la Filiale di Milano della Banca d’Italia aveva giudicato insostenibile, tale da ridurre a zero i margini di profitto all’esportazione, la «quota 1500» che Silvio Berlusconi ieri ha giudicato, a posteriori, opportuna. Il dato si ricava da un articolo dell’economista della Banca d’Italia, Carlo Gola. Il cambio di 1936,27 con cui la lira è stata sostituita dall’euro discende dalla parità di rientro nel sistema monetario europeo (Sme), pattuita nel novembre 1996 a Bruxelles, dopo faticose trattative, dall’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi: 990 lire per marco tedesco. Per ottenere nel 1999 un euro a fronte di 1.500 lire, come ipotizzato ieri sera da Silvio Berlusconi, il cambio con il marco tedesco avrebbe dovuto essere fissato a circa 770 lire: ossia la parità che l’Italia non era riuscita a reggere nel disastroso settembre del 1992, quando dallo Sme la lira era dovuta uscire. All’epoca, a dire il vero, Ciampi fu lodato proprio per il motivo opposto: non di essere rientrato con una lira «forte» come volevano soprattutto i tedeschi, ma abbastanza «debole» da consentire alle nostre industrie esportatrici di restare competitive sui mercati degli altri Paesi europei. Il Financial Times attribuì alla «grinta negoziale» di Ciampi che il cambio fosse più debole, quindi più favorevole agli esportatori italiani, di quanto «la maggior parte degli altri Paesi dell’Unione si aspettasse». La Bundesbank incitava il governo tedesco a tener duro su 950 lire per marco. Nessuno ipotizzò mai che si potesse tornare in vicinanza del cambio che era franato nel 1992. Il lavoro di Carlo Gola, ora rappresentante della Banca d’Italia a Londra (pubblicato nel 2000, come d’uso, «a titolo personale»), rivela in profondità quale era l’atteggiamento delle industrie esportatrici italiane rispetto ai possibili livelli di rientro della lira nello Sme. Rispetto al cambio più debole degli anni ’93-’95 (si andò fin oltre le 1200 lire per marco), le 990 lire costituirono già uno sforzo per alcune imprese: l’8% rispose al questionario che a quel cambio non avrebbe avuto margini di profitto sui prezzi di vendita all’estero. A 950, il cambio proposto dai tedeschi, sarebbero andate in rosso il 12% delle imprese; a 900, oltre il 35%. A 770 lire per marco, la quota necessaria per avere due anni più tardi l’euro a 1.500 lire, il 94% delle imprese nel 1996, e il 98% l’anno successivo, si sarebbero ritrovate con i margini di profitto annullati. Oppure, a parità di prezzo in lire, avrebbero dovuto aumentare del 25-30% i listini in marchi o in franchi. E’ facile immaginare un disastro industriale di grandi proporzioni, con fallimenti e chiusure, e anche una crisi del turismo europeo in Italia, scoraggiato dagli alti prezzi; centinaia di migliaia di posti di lavoro in meno. Ma si tratta di una ipotesi teorica, perché i mercati valutari non avrebbero ritenuto sostenibile un cambio del genere, e l’avrebbero subito affossato con ondate speculative. L’ipotetico ritorno della lira a un cambio forte avrebbe invece diminuito in Italia il prezzo dei beni importati, e ridotto il costo delle vacanze degli italiani all’estero. Per l’appunto ieri sera da Forza Italia, a chiarimento delle parole del presidente del Consiglio, si parlava di «cambio irrealistico e troppo oneroso per i consumatori italiani». A Berlusconi l’ufficio stampa di Romano Prodi replica che «il conseguimento di un rapporto di 990 lire per marco nella riunione Ecofin del 24 novembre 1996 fu unanimemente considerato un grande e inatteso successo del governo Prodi e del suo ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi». Stefano Lepri