Filippo Ceccarelli La Stampa, 20/09/2004, 20 settembre 2004
La politica è muta e allora c’è bisogno di portavoce, La Stampa, 20/09/2004 Non c’è pace per il portavoce
La politica è muta e allora c’è bisogno di portavoce, La Stampa, 20/09/2004 Non c’è pace per il portavoce. In singolare e illuminante coincidenza l’attrice Elisabetta Gardini è inciampata sul suo ruolo prima ancora di essere nominata portavoce di Forza Italia, nelle stesse ore in cui il portavoce di An Mario Landolfi stava meditando se dimettersi da quello stesso incarico per contrasti con Fini e la linea del partito. «Io faccio questo», «io faccio quello», «io qui», «io là», comunque «io»: chiaramente ha straparlato, la Gardini, ma soprattutto ha sottovalutato le orecchiette aguzze che abbondano nei ristoranti attorno a Montecitorio. A un certo punto, la graziosa portavoce in pectore si è diffusa con i suoi commensali sull’uso di certe supposte da parte dell’ex ministro Tremonti. Argomento scabroso (specie a tavola): unico precedente, un carteggio a base di supposte fra Andreotti e il povero Pecorelli. Ma dopo che Augusto Minzolini, sulla ”Stampa”, ha dato conto della disquisizione anatomo-farmacologica l’investitura della Gardini è parsa di colpo, più che improponibile, grottesca. E l’operazione di ornamental casting di Forza Italia è stata rinviata, o cancellata. Il travaglio di Landolfi, onesto portavoce di An per più di due anni, è assai meno divertente, legato come sembra a una sottile anche se diversa valutazione in materia di riforma costituzionale tra lui e Fini, che in pratica gli ha detto: caro Mario, o la pensi come me, oppure non puoi più fare il portavoce. Punto e a capo. Ora, si tratta di due casi piuttosto diversi, come diversi sono il genere, l’aspetto, la natura, la provenienza, la caratura politica e magari anche i traguardi esistenziali dei due personaggi. E tuttavia, un brutto giorno, entrambi hanno incontrato un comune e miserevole destino per il tramite di quel mestiere che, sotto l’ambigua ma appetibile denominazione di portavoce, sempre più si va configurando come nudo e crudo sinonimo di porta-croce. Si perdoni qui la facile assonanza, e ogni irrispettoso fraintendimento, ma al giorno d’oggi nessuno più del povero portavoce porta su di sé il peso, il gravame doloroso, la croce, di una società politica che non è mai stata così ciarliera, orecchiante, pappagallesca, egoista, conformista, market-oriented e quindi anche tecnicamente un po’ loffia. E quindi parecchio a rischio. Di questo andazzo per così dire strutturale e pubblicitario il portavoce è l’evoluto cireneo. Opera nello spazio esiguo che c’è tra il leader e i giornalisti, cioè fra incudine e martello, brace leaderistica e padellone mediatico. Non si capisce bene cosa si voglia da lui, né che cosa deve fare rispetto a quali target, dove esattamente deve portarla, questa voce, e perché. Si sa solo che è vicino al potere, e anche per questo invidiatissimo, ma quanto al mansionario e alle responsabilità, niente: al ristorante quanto in Parlamento s’arrangi, parli sottovoce, o sopra le righe, comunque peggio per lui, o per lei. L’unico dato certo è che con sospetta regolarità i portavoce si bruciano, oppure finiscono per mettere la lingua nel tritacarne, o cadono come birilli, o vengono gettati nel cestino tipo kleenex. Avanti il prossimo. Tremonti, per dire, ne ha cambiati tre in due anni. La categoria vive perciò in rassegnato affanno e funzionale precarietà, incerta se sia un premio o una punizione fare sì - sì con il capo fra il pubblico di ”Porta a porta” o mettere due righe di comunicato dentro il fax, partecipare allegramente alla partitella dei politici contro la nazionale dei cantanti o disperatamente, alle undici di sera, cercare di capire cosa hanno scritto o non scritto i giornalisti con i quali talvolta ci si illude di condurre temerarie operazioni di spin. Vengono in mente versi malinconici, l’ideale lamento del portavoce: si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. E già pare di ascoltarle quando, una volta per terra, si accartocciano. Più la politica è muta, più ha bisogno di voci da portare in giro. Filippo Ceccarelli