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 2004  settembre 30 Giovedì calendario

Come fu che il Cav. si mise in testa di battere la Rai, Vanity Fair, 30/09/2004 Parlando dei primi tempi, Silvio Berlusconi ama citare, postillandola, una frase di Dino Buzzati: «’Mentre tu sei ad un cocktail e sfiori giovani schiene di donne, o balli sentendo contro il tuo petto giovani seni, in quel preciso momento, in qualche stanzetta piena di fumo, c’è un giovane che lavora e, magari imprecando, fa quel che dovresti fare tu”

Come fu che il Cav. si mise in testa di battere la Rai, Vanity Fair, 30/09/2004 Parlando dei primi tempi, Silvio Berlusconi ama citare, postillandola, una frase di Dino Buzzati: «’Mentre tu sei ad un cocktail e sfiori giovani schiene di donne, o balli sentendo contro il tuo petto giovani seni, in quel preciso momento, in qualche stanzetta piena di fumo, c’è un giovane che lavora e, magari imprecando, fa quel che dovresti fare tu”. Ecco: il giovane nella stanzetta ero io». Il 24 settembre 1974, sotto i portici a due passi dal Jolly Hotel di Milano 2, si danno appuntamento tre ragazzi, due sociologi di Trento e un architetto veronese amico dei Gatti di Vicolo Miracoli, che l’architetto non l’avrebbe fatto mai. Era un martedì. Per rendere più appetibili le case della nuova città-satellite che ha appena finito di costruire, un imprenditore edile di 38 anni di nome Silvio Berlusconi, padrone della Edilnord, ha deciso di dotarli di una televisione via cavo. Nella sua testa è una specie di benefit, come il frigo-bar e l’aria condizionata degli alberghi. Le tv private stanno già nascendo come funghi in giro per l’Italia, ma la nuova emittente - Telemilano cavo - sarà soprattutto uno strumento di servizio per i residenti di Milano 2: informazione locale, notizie sulla vita dei quartiere, lezioni di inglese. I suggeritori dell’idea sono Giacomo Properzj, allora segretario del Pri, e Alceo Moretti, un creativo che aveva un’agenzia di pubbliche relazioni, suo socio. «Eravamo qui dentro», ricorda oggi, a trent’anni di distanza, Giorgio Medail, l’architetto non architetto, indicando un salone di parrucchiere, «quando una sera Berlusconi disse una cosa che ci lasciò di stucco. La stanza era un negozio grigio di cinque metri per cinque, senza arredamento, solo due tavoli. Poteva essere la fine del ’77 o l’inizio del ’78: facevamo dibattiti con i politici, trasmettevamo sketch di cabaret... Con me c’era Viviana Kasam, lui andava su e giù pensando a voce alta. ”I programmi che realizziamo per noi potremmo venderli alle altre tv private”, ragionava. ”Potremmo vendere anche più programmi collegati dalle nostre annunciatrici, e magari mettergli dentro la pubblicità che raccoglieremo per autofinanziarci”. Parlava e gli venivano le idee. ”Finché poi, un giorno, chissà, magari batteremo la Rai...”. Io e Viviana ci guardammo increduli: questo è matto. Viviana si picchiettò la tempia con l’indice. Invece...». Invece nel bilancio semestrale 2004 (il migliore della sua storia) presentato qualche giorno fa, Mediaset ha annunciato per il terzo anno consecutivo il sorpasso sulla Rai negli ascolti del prime time (45,1 per cento di share contro il 44,8 nel periodo di garanzia primaverile) e un aumento degli utili del 50 per cento rispetto all’anno precedente. «Tutto, in qualche modo, cominciò in quel settembre», ricostruisce Medail. Vicino alla sessantina, un’aria da brigante buono in total black, esperto di esoterismo, Medail è vicedirettore di ”Studio aperto”, ma per Mediaset ha firmato decine di programmi, dai ”Misteri della notte”, in cui raccontava le trasgressioni delle grandi metropoli mondiali, a ”Dovere di cronaca”, settimanale d’informazione in cui gli opinionisti erano la «nazionale del giornalismo» (Montanelli, Bocca, Guglielmo Zucconi, Brera, Gawronski). La sera di quel 24 settembre Raiuno trasmette ”Napulammore”, uno spettacolo musicale con Massimo Ranieri (registrato due mesi prima), e Raidue la quarta e ultima puntata di ”Nel mondo di Alice”, uno sceneggiato tratto dai romanzi di Lewis Carroll, protagonista Milena Vukotic, la futura signora Fantozzi. Raitre non esiste. La tv a colori sì, ma su ”Sorrisi e Canzoni” i rari programmi non in bianco e nero sono ancora contrassegnati da una «C». Il monopolio della Rai non è nemmeno scalfito dalla Tv Svizzera, da Telemontecarlo o Telecapodistria. Quel giorno nella stanzetta di Milano 2 si accendono per la prima volta le due telecamere e il mix di regia regalati dalla Siemens, l’azienda che aveva allestito le antenne del quartiere. «Berlusconi aveva voluto centralizzare gli impianti per evitare il proliferare delle antenne sui tetti dei palazzi». Insomma, tutto cominciò per motivi estetici... «Assolutamente. Era maniaco dell’estetica, dell’ordine. Teneva continue lezioni su come doveva essere la sua città modello». E Telemilano? «Il cavo telefonico poteva distribuire sei segnali. Due erano occupati dalla Rai, uno da Telemontecarlo, uno dalla TV svizzera, uno da Capodistria. Il sesto era libero». Lei come ci arrivò? «Ero da poco stato assunto alla Edilnord come addetto stampa e mi occupavo della promozione di Milano 2 sui quotidiani. Quando venne fuori l’idea della tv, lì erano tutti ingegneri. Chi se ne occupa? Vittorio Moccagatta, che era il mio capo, mi disse: ”Perché non lo fai tu?”». Quale fu il vostro primo programma? «A pensarci adesso, la nostra ingenuità fa compassione. Fu un’intervista fatta da Properzj in francese e senza traduzione al capo della resistenza curda». Vera avanguardia televisiva. Come fu accolto il vostro esperimento? «Con una certa curiosità. Pian piano crescevamo. Sembrava impossibile che ci potesse essere qualcosa, anche di piccolissimo, fuori dalla Rai. Intanto ci eravamo spostati nella sala congressi del Jolly Hotel dove stavamo più larghi. Properzj riusciva a portare altri politici per allestire dei dibattiti». Per esempio? «Una mattina trovai fuori ad aspettarmi Spadolini, allora ministro dei Beni culturali, e Aniasi, sindaco di Milano: ”Siamo qui per il dibattito”. Solo che io non ne sapevo niente; dovevano esserci delle elezioni imminenti. ”Aspettate un attimo che chiamo un ragazzo per le telecamere...”». Ricorda qualche altro ospite illustre? «Passarono da noi molti giornalisti, anche Scalfari prima di fondare ”Repubblica”, Bocca, Massimo Fini, Mauro Rostagno che aveva studiato pure lui a Trento. Facemmo una serata di letteratura con Riccardo Bacchelli...». Prevalentemente dibattiti. «Davamo anche film. Andavamo dai preti delle edizioni San Paolo e dicevamo che ci servivano per la scuola media di Milano 2. Poi, con uno strumento che si chiamava telecinema, trasferivamo la pellicola delle ”pizze” in un nastro magnetico per trasmetterlo in tv». Mike Bongiorno quando arrivò? «Lo sentii una volta, credo nel ’75, ben prima che poi lo contattasse Berlusconi. Doveva scrivere il suo pezzo per ”La Domenica del Corriere”: ”Voglio venire a vedere come funziona questa piccola tv”. Una mattina capitò lì». E Berlusconi si faceva sentire? «All’inizio, sporadicamente. Mi telefonava: ”Tagliati quella barba, se avrai dei figli finirai per spaventarli”. Ma io resistevo. La tv era ancora una specie di gadget per i clienti di Milano 2». Nell’estate del ’76 arrivò la sentenza della Corte Costituzionale che sancì la libertà di antenna. Come cambiò l’atteggiamento di Berlusconi? «Cambiò, ma non subito. Fummo io, Moccagatta e altri a spingere. Lui prese tempo, si consultò con Montanelli. Poi ingranò la quarta». La svolta fu... «Direi nell’estate-autunno del ’77. Convinse Mike a venire da noi. Pensava in grande: ”Telemilano mi costa troppo”, diceva, ”per poche migliaia di persone. Dobbiamo potenziare il segnale, farci vedere in tutta la Lombardia. Metteremo un ripetitore sul Pirellone”. Nel ’78 nacque Telemilano 58 via etere. Con Mike arrivò Massimo Inardi, il parapsicologo ex campione di ”Rischiatutto”, che fece con me ”L’uomo e l’ignoto”, un programma sulla magia e i misteri. Poi Mike volle chiamare un giovane che sentiva sempre alla radio, Claudio Cecchetto...». Altri ricordi? «Mah, forse sì, mi pare il Natale del ’77, aprivamo i regali. C’eravamo io, Confalonieri, Moccagatta, l’architetto Hoffer, qualcun altro. ”Adesso dobbiamo decidere chi fa le case e chi la televisione”, disse Berlusconi. E poi aggiunse: ”Però, guardate, potremmo essere un’ottima squadra di governo”». Maurizio Caverzan