[1] Franco Papitto, ཿla Repubblica 21/9/2004; Franco Papitto, ཿla Repubblica 23/9/2004; [2] Andrea Lavazza, ཿAvvenire 23/9/2004; [3] Marcella Emiliani, ཿIl Messaggero 21/9/2004; [4] Vittorio Zucconi, ཿla Repubblica 21/9/2004; [5] Guido Rampoldi, ཿla , 21 settembre 2004
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 27 SETTEMBRE 2004
Torna il ”cane di Tripoli”: lo sdoganamento di Gheddafi.
La settimana scorsa la Libia è rientrata a pieno titolo nella comunità internazionale. Lunedì gli Usa hanno completamente revocato l’embargo commerciale, mercoledì la Ue è andata oltre, estendendo il via libera anche alle forniture di armi. [1] Lavazza: «La conversione di Gheddafi cominciò all’inizio dello scorso anno. Ammise la responsabilità libica nella strage di Lockerbie (l’aereo Pan Am fatto esplodere sui cieli della Scozia nell’88) e accettò di risarcire le famiglie delle 270 vittime. Una mossa che gli valse la revoca dell’embargo Onu in vigore dal 1992. Ma non sufficiente per ottenere la cancellazione delle sanzioni Usa, poste nell’82 e via via inasprite. I servizi segreti di Tripoli hanno partecipato ad attentati (la discoteca ”La Belle” di Berlino, 3 morti e 260 feriti nel 1986; il volo francese Uta, 170 morti nel 1989) e finanziato guerriglie come quella dell’Ira. Nel frattempo il regime ha cercato di dotarsi di armi di distruzione di massa (atomiche, chimiche e batteriologiche). Nel marzo 2003 aveva però contattato in segreto Washington e Londra per annunciare la disponibilità alla distruzione di impianti e arsenali». [2]
L’esempio iracheno funziona, si disse subito a Washington e Londra. Lavazza: «Il colonnello si arrende prima di fare la fine del rais. Di qui l’arrivo di ispettori internazionali e il cambio di atteggiamento statunitense, con la parziale ripresa delle relazioni diplomatiche. Sono seguiti accordi per indennizzare anche Francia e Germania. La visita di Blair in marzo e quella recentissima di Berlusconi - insieme con il viaggio dello stesso Gheddafi a Bruxelles per incontrare Prodi - hanno concluso il disgelo con l’Europa». [2] Emiliani: «Non è che il regime di Gheddafi sia diventato più democratico o rispettoso dei diritti umani di un paio di decenni fa, quando il presidente Reagan chiamava il colonnello ”il cane di Tripoli” arrivando a bombardargli la tenda, ma il medesimo colonnello ha superato l’esame della lotta al terrorismo e in tempi di islamismo estremista impazzito tanto basta. Anche se ha finanziato i peggiori terroristi di mezza Africa e del Medio Oriente, Gheddafi rimane un ”buon vecchio nazionalista arabo” alla Nasser». [3]
Il limbo della memoria corta e dell’opportunismo politico. Vittorio Zucconi: «Dal 1969, quando un 27enne Gheddafi rovesciò il trono di re Idris e trasformò lo ”scatolone di sabbia” in una repubblica islamica (ma non fondamentalista), la Libia sta nella serie A di quelli che Bush avrebbe chiamato più tardi gli stati canaglia, tra i fuorilegge della comunità internazionale. Non c’è stato atto di violenza e di terrorismo con valenze arabe che dal 1970 in poi non sia stato attribuito alla Jamuhirya, alla repubblica del libretto verde (il colore dell’Islam) e al ”diabolico beduino”, come fu descritto da un rapporto del Dipartimento di Stato nel 1986». [4]
Le cose sono cambiate con la fine dell’Urss. Zucconi: «Senza più neppure il vago sospetto di un sostegno da parte di Mosca e con l’esplosione dell’odio anti-islamico in Occidente dopo l’aggressione delle Torri, l’abile mercante tripolino ha visto nella guerra all’Iraq l’occasione per rifarsi trionfalmente una verginità che pareva irrecuperabile, concedendo un piccolo osso a Bush [...] ”Il programma di armamento nucleare di Gheddafi - ha ringhiato Dick Cheney il vicepresidente al Congresso - si trova oggi al sicuro qui negli Usa”. [...] Un piccolo nemico ingigantito a Grande Satana dalla propaganda, è dunque stato ammansito ed esorcizzato e tutto è stato perdonato da Washington a colui che proprio Washington aveva tentato di polverizzare. La strana guerra al terrore produce strange bedfellows, strani compagni di letto». Gheddafi resta un dittatore e la Libia un regime totalitario, «ma da oggi è il ”nostro” dittatore. L’esportazione della democrazia, come il paradiso, può attendere». [4]
Da che mondo è mondo la pace si fa coi nemici di ieri. Emiliani: «Ma è lecito chiedersi quanto abbia inciso nella decisione di perdonare Gheddafi la tragica congiuntura storica che stanno vivendo l’Iraq, l’intero Medio Oriente e gli Stati Uniti sotto elezione presidenziale. Cinicamente parlando quella che chiameremo ”l’operazione-colonnello” in questo momento permette all’Occidente di portare a casa diversi risultati. Rimette in circolazione innanzitutto il petrolio libico, cosa assai utile visto che pozzi e oleodotti iracheni sono ormai da tempo nel mirino dei terroristi in Iraq e il prezzo del greggio non fa che salire [...] In secondo luogo, una ritrovata intesa con Gheddafi consente all’Europa di provare a combattere con più efficacia quella pirateria moderna che è il traffico di clandestini». [3]
Da un paio d’anni la Libia è al centro di una forte pressione migratoria. Secondo il Viminale ci sono «due milioni di persone in attesa di un passaggio per l’Europa». Arrivano soprattutto dall’Africa subsahariana ma anche dall’Egitto e dalla Tunisia che negli anni, grazie ad accordi bilaterali, hanno chiuso gli spazi del racket. Guido Rampoldi: «Gheddafi ha in casa due milioni di immigrati, pari alla metà della popolazione libica, e quasi 2.000 km di costa. Difficile che voglia o possa impedire a qualche migliaia di prendere il largo per l’Italia». [5] Già dall’11 ottobre potranno partire i mezzi che la Libia chiede da anni per pattugliare i 4.000 chilometri di confini terrestri, soprattutto deserto, e i 2.000 di coste: aerei, elicotteri, motovedette, sistemi radar, visori notturni, jeep, speciali attrezzature di polizia scientifica per facilitare le operazioni di identificazione dei clandestini. Il piano prevede anche forniture di tipo civile e la costruzione di tre campi di accoglienza e transito. [6]
La strada per un contrasto efficace all’immigrazione clandestina non è ancora tutta in discesa. Dal punto di vista libico il superamento dell’embargo non significa che Tripoli comprerà motovedette, gipponi o elicotteri per bloccare il flusso in uscita dei clandestini. Guido Ruotolo: «Si apre una partita complessa. Fonti libiche, in queste settimane, anche dopo l’incontro del 25 agosto a Sirte tra Gheddafi e Berlusconi, hanno sempre sottolineato che il capitolo del ”risarcimento”, il vecchio contenzioso coloniale, non si poteva ritenere risolto ma soltanto accantonato». [7]
Tripoli ha chiesto all’Italia un «gran gesto». Lo storico Angelo Del Boca: «Berlusconi, riprendendo la vecchia offerta di Andreotti vuol chiudere il contenzioso coloniale donando ”un centro medico all’avanguardia” del costo stimato in 62 milioni di euro. Forse, dieci anni fa, questo dono sarebbe stato accolto con favore. Oggi non più. Oggi Gheddafi pretende un’autostrada. Per l’esattezza la costruzione di una litoranea dalla Tunisia al confine con l’Egitto, del costo 20 volte superiore a quello dell’ospedale offerto da Berlusconi. lo scotto che si paga rimandando di decennio in decennio una soluzione». [8] Ruotolo: «Ma l’Italia, in queste settimane, si è spesa perché l’Europa superasse i suoi timori e perplessità revocando l’embargo. E la Libia non può non tenerne conto». Probabilmente, a mo’ di un primo parziale risarcimento, i mezzi necessari per il contrasto dell’immigrazione clandestina li fornirà l’Italia. [7]
Sull’accordo per fronteggiare gli sbarchi di clandestini ci sono alcuni punti oscuri. Del Boca: «Sta bene l’invio a Gheddafi di mezzi, di elicotteri, di aeroplani per sorvegliare le migliaia di chilometri di frontiere. Ma io ho qualche dubbio che la Libia, che vive un momento di ipernazionalismo sotto la guida di Gheddafi sia disposta ad accettare ”l’intrusione” di superpoliziotti italiani senza che questo venga interpretato come messa in discussione della sovranità del paese. Ma la questione più incredibile è quella dei centri di accoglienza in Libia. Il governo italiano alimenta questa possibilità nonostante il ministro libico che si occupa degli affari interni e dell’immigrazione, Nasser El-Mabruk, abbia finora risposto il contrario, dichiarando: ”Sono proprio contrario all’idea di centri di accoglienza come fossero delle riserve umane”». [8]
Lo sdoganamento di Gheddafi riapre un mercato finora congelato. Il presidente di un’importante industria italiana (che vuol restare anonimo): «Sono stato recentemente a Tripoli per capire quali opportunità si creassero per la mia azienda una volta superato l’embargo. Posso dire che davvero i libici hanno bisogno di tutto, di tecnologia e di strumenti, oltre che dei prodotti che sforna la mia industria. Dopo la mia visita si è fatta viva la concorrenza francese». [7] Danilo Taino: «Per quanto malmesso, negli ultimi mesi l’aeroporto di Tripoli è diventato uno degli scali preferiti dai businessmen di mezzo mondo». [9]
Le riserve petrolifere della Libia sono le più vaste di tutta l’Africa. Sono vicine ai mercati occidentali e lontane dai conflitti del Golfo. Il petrolio libico è inoltre facile da raffinare e la sua estrazione costa appena un dollaro al barile, quando i consumatori pagano 50 volte tanto. Tripoli dice di voler aumentare la produzione del 50 per cento in tre anni per arrivare infine al raddoppio. Per farlo ha bisogno di investimenti per 30 miliardi di dollari. [10] Taino: «Gli inviati del gruppo di compagnie americane Oasis (ConocoPhillips, Marathon e Amerada Hess) discutono da mesi con Tripoli la riapertura delle loro concessioni di estrazione ”custodite in fiducia” da Gheddafi dal 1986. La Shell ha già firmato accordi preliminari di investimento. La Total ha negoziati in corso. E altre grandi seguiranno: la Libia ha 36 miliardi di barili di riserve provate (ma dice che in realtà sono cento) e 40 mila miliardi di piedi cubici di riserve di gas: il tutto estraibile a costi molto bassi». [9]
La corsa sarà affollata, ma l’Italia parte in prima fila. Taino: «Nei primi giorni di ottobre, per cominciare, verrà inaugurata una delle più grandi infrastrutture realizzate nel Mediterraneo negli ultimi anni, il gasdotto Greenstream dell’Eni che porterà in Italia otto miliardi di metri cubi di metano all’anno: entro dicembre sarà operativo. L’opera consiste nello sviluppo di due campi - Wafa, nel deserto a 520 km da Tripoli, e Bahr Essalam, nel mare a nord della capitale - che saranno gestiti in joint venture da Eni e Noc (la compagnia di Stato libica), negli impianti di condensa del gas e nella pipeline vera e propria. Un investimento di oltre 5 miliardi di euro che conferma l’Eni come principale produttore di idrocarburi del paese: 210 mila barili di petrolio al giorno, il 14% della produzione libica». [9]
La fine delle sanzioni non riguarda solo il greggio. Taino: «Da una parte, le operazioni finanziarie che tanto piacciono ai libici (hanno azioni di Capitalia, Eni e Juventus) saranno più accettabili. Dall’altra, crescerà il commercio: tra il 1985 e il 1986, quando iniziò il ciclo delle sanzioni, le esportazioni italiane crollarono del 41% e le importazioni del 56; da allora, i canali sono sempre rimasti aperti (grazie al petrolio) e nel 2003 l’Italia (primo partner commerciale della Libia) ha esportato per 1,3 miliardi di euro e ha importato per 5,2 miliardi, ma le potenzialità ora si moltiplicano». [9]
Gli europei sono attratti dalle possibili forniture di armamenti. Taino: «Il consorzio Eads, per esempio, sta discutendo un accordo per fornire a Tripoli carri armati Leopard, veicoli corazzati, sistemi di difesa aerea e aerei da combattimento. Tutti pronti, insomma, a riprendere la danza del ventre nella tenda del Colonnello». [9] Paul Berman, autore di Terrorismo e liberalismo, uno dei massimi esperti Usa del mondo islamico: «Io non fornirei armi a nessuno in Medio Oriente, è una regione polveriera. Ma, nel caso della Libia, c’è anche un motivo preciso: la Libia figura tuttora nell’elenco dei Paesi sponsor del terrorismo del Dipartimento di Stato. Spero che i 25 dell’Ue non abbiano fatto un errore, era meglio se aspettavano e si limitavano a revocare le sanzioni economiche, come noi». [11]