Corriere della Sera 09/01/2006, pag.29 Sergio Romano, 9 gennaio 2006
Teheran 1979: negozio vietato, pena l’arresto. Corriere della Sera 09/01/2006. Può dirmi se l’Occidente fece il possibile per evitare che l’Iran diventasse una repubblica islamica? Ci fu una sottovalutazione degli avvenimenti? L’Italia era in ottimi rapporti con lo Scià Reza Pahlevi
Teheran 1979: negozio vietato, pena l’arresto. Corriere della Sera 09/01/2006. Può dirmi se l’Occidente fece il possibile per evitare che l’Iran diventasse una repubblica islamica? Ci fu una sottovalutazione degli avvenimenti? L’Italia era in ottimi rapporti con lo Scià Reza Pahlevi. Fu lasciato solo? Vorrei tanto capire perché ci troviamo ancora minacciati. Paolo Feroci Caro Feroci, la rivoluzione iraniana fu uno degli avvenimenti più difficilmente prevedibili e decifrabili della seconda metà del Novecento. Un giornalista polacco, Ryszard Kapuschinski, inviato a Teheran in quei mesi e autore di un bel libro apparso presso Feltrinelli nel 1997 («Shah-in-Shah»), sostiene che la causa della rivoluzione fu un articolo pubblicato dal quotidiano governativo Etelat l’8 gennaio 1978. L’autore prendeva di mira l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, che lo Scià Reza Pahlevi aveva esiliato nel 1963, e lo accusava di essere al servizio di forze straniere decise a sovvertire la monarchia iraniana. Quell’articolo, a cui i diplomatici europei e americani prestarono un’attenzione distratta, ebbe il potere di indignare la pubblica opinione e di suscitare una serie di proteste popolari. La folla cominciò a scendere in piazza e a marciare, disarmata e imperterrita, contro gli sbarramenti della polizia. Per alcuni mesi fummo soggetti a una sorta di doccia scozzese. Ogni manifestazione si concludeva con un considerevole numero di vittime, ma la situazione nei giorni seguenti ridiventava normale e lasciava supporre che il governo fosse perfettamente in grado di controllare il corso degli eventi. Questa analisi corrispondeva del resto all’immagine di forza e stabilità che il regime iraniano aveva allora nel mondo. Il Paese si era arricchito grazie allo shock petrolifero del 1973, aveva appena celebrato fastosamente il terzo millenario dell’impero persiano, aveva un ambizioso programma di opere pubbliche e sembrava scoppiare di salute. Cominciammo ad avere qualche dubbio quando ci accorgemmo che le grandi manifestazioni avevano ormai un ritmo mensile e che il numero dei dimostranti cresceva insieme al numero dei morti. Non ci eravamo accorti che il processo di modernizzazione forzata imposto dal governo dello Scià alla società iraniana aveva creato nuove diseguaglianze sociali e soprattutto un enorme proletariato urbano da cui l’opposizione e soprattutto il clero sciita traevano le folle dei dimostranti. Avevamo mal calcolato la dimensione della protesta e soprattutto la rabbia popolare per i metodi della polizia e dei servizi segreti. Verso la fine di agosto del 1978 feci scalo a Teheran per un paio d’ore nel corso di un viaggio a Pechino e incontrai all’aeroporto l’ambasciatore italiano Giulio Tamagnini. Disse che i moti si erano ormai estesi all’intero Paese e stavano mettendo a dura prova la stabilità del regime. Nei mesi seguenti la marea delle dimostrazioni continuò a crescere e divenne incontrollabile. Quando lasciò Teheran il 16 gennaio 1979, lo Scià credette che il suo esilio, come quello del 1953, sarebbe stato una temporanea uscita di scena. Ma era ormai disorientato, impotente e per di più, come apprendemmo più tardi, mortalmente ammalato. L’Ayatollah Khomeini ritornò da Parigi il 1? febbraio e fu accolto da una folla delirante. Non sapevamo ancora, tuttavia, se il potere sarebbe caduto nelle mani di un oscuro sacerdote che riceveva i suoi visitatori seduto per terra nella sua monacale camera da letto, o di altri gruppi politici che appartenevano all’opposizione democratica e marxista. I nostri dubbi scomparvero quando constatammo che l’intero clero sciita stava diventando apparato statale, che le vie di Teheran erano perlustrate da brutali milizie islamiche e che sulla facciata dei negozi di biancheria femminile erano apparsi cartelli in lingua farsi su cui era scritto «Ingresso vietato agli uomini, pena l’arresto». Era nato il primo regime teocratico dell’Islam moderno. Quando un’operazione di commando lanciata dal presidente Carter per la liberazione dei 62 ostaggi dell’ambasciata degli Stati Uniti fallì miseramente, capimmo che il Medio Oriente era cambiato e che a quel mutamento, volenti o nolenti, avremmo dovuto adattarci. Sergio Romano