Salvador Dalì Il Sole-24 Ore, 12/09/2004, 12 settembre 2004
L’anatomia disorganizzata di Salvador Dalì, Il Sole-24 Ore, 12/09/2004 A sei anni volevo essere Napoleone: non lo sono diventato
L’anatomia disorganizzata di Salvador Dalì, Il Sole-24 Ore, 12/09/2004 A sei anni volevo essere Napoleone: non lo sono diventato. A quindici anni volevo essere Dalí, e lo sono diventato. A venticinque anni volevo diventare il pittore più sensazionale del mondo, e ci sono riuscito. Ora, a quarantacinque anni, desidero dipingere un’opera e salvare l’Arte Moderna dal caos e dall’indolenza. Trionferò! Van Gogh era pazzo, e in modo incondizionato, generoso e gratuito si tagliò l’orecchio sinistro con la lama di un rasoio. Io, pur non essendo pazzo, sarei assolutamente disposto a farmi tagliare la mano sinistra, ma solo nelle circostanze più eccezionali: a condizione, in particolare, di poter osservare, per una decina di minuti, Vermeer di Delft seduto davanti al suo cavalletto mentre dipinge. Ma sarei disposto a ben altro, anche a farmi strappare l’orecchio destro e perfino anche il sinistro, se potessi conoscere la formula esatta della mistura che compone il «succo prezioso» in cui lo stesso Vermeer, unico tra gli unici intingeva il suo pennello squisitamente raro; mistura che, non ho alcun dubbio, era così comune ai suoi tempi, così quotidiana, così abituale, come dovette esserlo il «succo prezioso», la moneta corrente degli ingredienti degli studi dell’età dell’oro delle arti, che però è giunta a trasformarsi, nei nostri ottusi e scatologici giorni di decadenza artistica, in una gemma liquida così misteriosa che neppure sperare di recuperarla. E questo per la semplice ragione che la formula del «medium» con cui i pittori delle grandi epoche dipingevano le loro opere immortali, non esiste. Oggi, nel 1948, alcune persone attualmente conoscono il modo di fabbricare una bomba atomica, ma non ne esiste una sola in tutto il pianeta che sappia quale fosse la composizione del misterioso succo, del «medium» in cui intingevano i loro pennelli i fratelli Van Eyck o Vermeer. Nessuno la conosce, neppure io. Il fatto che non esista nessuna ricetta precisa che ci possa fornire indicazioni, e che nessuna analisi, né fisica né chimica, sia oggi in grado di spiegare i «maestosi imponderabili» della «materia pittorica» degli antichi maestri, ha spesso fatto credere e affermare ai nostri contemporanei che loro possedevano segreti custoditi gelosamente e fanaticamente. Io invece sono propenso a credere che proprio tali ricette fossero a quei tempi così poco segrete, così connaturate alla routine di ogni minima esperienza della vita, da venir trasmesse per via orale, senza che nessuno si prendesse il disturbo di trascriverle, oppure che, se qualcuno l’ha fatto, deve aver usato esclusivamente quella matita elegiaca con cui i maestri tracciavano tante sconosciute, cancellate e spesso angeliche efemeridi. Non esiste dunque la benché minima ombra di follia nel dichiarare, come io dichiaro, che qualora si getti su uno dei piatti della bilancia - la bilancia della giustizia Pittorica - una sola goccia del medium con cui dipingeva Vermeer di Delft, non si deve esitare neppure un istante a gettare sull’altro piatto l’orecchio sinistro di Van Gogh, la mano sinistra di Salvador Dalí e tutta un’impressionante quantità di viscere di ogni genere, fino alle più intime, strappate a caso dalle anatomie in sommo grado disorganizzate dei nostri pittori moderni. E se tutta questa carne cruda, appena tagliata, non fosse - come sospetto - sufficiente per «far salire il peso», non si dovrebbe esitare ad aggiungere, per colmare la misura, le due pesanti mani del commovente Cézanne. Salvador Dalì