Il Sole 24 Ore 07/01/2006, pag.9 Alessandro Merli, 7 gennaio 2006
I gialli finanziari del Ventesimo secolo/6. Il bluff del magnate dell’editoria. Il Sole 24 Ore 07/01/2006
I gialli finanziari del Ventesimo secolo/6. Il bluff del magnate dell’editoria. Il Sole 24 Ore 07/01/2006. Chi ha avuto fame da piccolo, a volte da adulto diviene preda di un appetito insaziabile, persino dell’ingordigia. Si sono tentate anche interpretazioni psichiatriche per spiegare il caso Maxwell e non c’è dubbio che in Robert Maxwell, egocentrico e megalomane, mentitore e vanitoso, bullo e truffatore, genialoide e imbonitore, le patologie psichiatriche si sprecavano. Ma, a parte il fatto che sulle circostanze della sua infanzia (dopo la nascita, con il nome di Jan Ludwik Hoch, in un villaggio che oggi sta ai confini fra la Slovacchia e la Romania), bisogna fidarsi della sua parola, e si vedrà poi quanto questa sia inaffidabile, lo scandalo Maxwell non è così unico come potrebbe sembrare a prima vista, né singolarmente legato alle macchinazioni di una mente malata. Anzi, sembra il precursore di tante vicende che, nei 15 anni dalla morte dell’editore inglese, hanno macchiato di giallo le pagine dei giornali finanziari. Come Calisto Tanzi, Maxwell aveva costruito un intreccio talmente complicato fra gli interessi di famiglia e quelli delle sue società quotate che la stampa britannica lo chiamerà "il piatto di spaghetti" e gli investigatori del ministero dell’Industria impiegheranno dieci anni a districarlo fino all’ultimo filo, dopo aver scoperto 400 società, molte delle quali offshore. Come Tanzi, pio sostenitore di cause di beneficenza, Maxwell amava presentarsi come un amico dei bisognosi. Quando nel 1984 coronò finalmente il suo sogno di diventare l’editore di un grande quotidiano nazionale, comprando il "Daily Mirror", rivendicò di averlo fatto per "salvare" la testata e i suoi dipendenti. Solo dopo la sua morte questi scopriranno che aveva depredato i loro fondi pensione integrativi di 450 milioni di sterline. Come Raul Gardini, Maxwell si sentiva investito da un progetto più grande di lui, nel suo caso di dominare l’editoria su entrambe le sponde dell’Atlantico. E come Gardini, probabilmente cedette al crollo del suo sogno e della sua immagine, ancor più che al collasso finanziario delle sue imprese. Finendo, secondo una delle ipotesi più accreditate, per togliersi la vita gettandosi a mare dal suo yacht, Lady Ghislaine, quando tutto ormai era perduto, e prima che il mondo lo scoprisse per quello che era. Come Conrad Black, l’editore canadese del "Daily Telegraph", defenestrato l’anno scorso dopo la scoperta di una truffa ai danni della Hollinger, la holding del suo gruppo, con l’appropriazione di fondi a fini personali, truffa che è sembrata a tratti una fotocopia dello scandalo del Mirror, Maxwell giocava a fare lo statista internazionale. Black, sostenitore veemente di ideologie di destra, si considerava l’ispiratore dei leader conservatori di tutto il mondo ed era riuscito a entrare nell’establishment fino al punto di ricevere da un Governo laburista il titolo di Lord. Maxwell era stato tentato a sua volta dalla politica, guadagnando un seggio da deputato per i laburisti nelle elezioni del 1964 e vagheggiando di diventare un giorno primo ministro. Ambizioni ben presto ridimensionate, ma che non gli avevano tolto la passione per trattare da pari a pari con i potenti. I suoi contatti al Cremlino andavano da Yuri Andropov, quando questi era capo del Kgb, a Mikhail Gorbaciov, che lo definì "un amico personale". Persino Margaret Thatcher, con la quale certo non aveva affinità ideologiche, lo riteneva prezioso perché la "teneva informata di quanto accadeva in Europa dell’Est, dove aveva vasti contatti, e di quello che pensavano i leader". In Israele era vicino ad Ariel Sharon e, avendo riscoperto le sue radici ebree in età adulta, circolava la voce, emersa addirittura in un dibattito ai Comuni, che fosse legato ai servizi segreti del Mossad. Tutto il giallo Maxwell ruota attorno a una data, il 5 novembre 1991, quando l’equipaggio del Lady Ghislaine, sul quale l’editore era in crociera da solo dal 31 ottobre, arrivando in mattinata a Tenerife scoprì che Maxwell non era a bordo: il suo corpo verrà scoperto poche ore dopo da un elicottero al largo della Gran Canaria, dove era finito in mare, secondo l’autopsia condotta dalle autorità spagnole, nelle prime ore dell’alba. Da allora, in meno di un mese, il castello di carte costruito da Maxwell nel corso degli anni collassò. Neppure 24 ore dopo la morte del padre, il figlio Kevin, che era stato il suo più stretto collaboratore, annuncia alla filiale londinese della Swiss Bank Corporation che le società di famiglia non avrebbero rimborsato un prestito da 57 milioni di sterline come invece aveva promesso Robert Maxwell pochi giorni prima. I dirigenti della Swiss Bank vanno alla polizia della City of London. La squadra anti-frodi comincia a investigare. Il 3 dicembre Kevin e il fratello Ian vengono estromessi dai vertici del gruppo Maxwell e la Headington Investment, la società che stava in cima alla inestricabile catena di controllo del gruppo (riconducibile a una fiduciaria di Gibilterra e a una fondazione registrata in Liechtenstein), viene dichiarata insolvente. In breve, emerge che nel labirinto di società create da Maxwell e controllate dalla famiglia si sono persi oltre 900 milioni di sterline provenienti dai fondi pensione integrativi e dai bilanci delle società quotate, una delle quali era la Maxwell Communication Corporation, o Mcc, che figurava fra le prime cento del listino del London Stock Exchange. Il lungo capitolo della storia di Maxwell che precede il 5 novembre 1991 è il romanzo della vita di un imprenditore spregiudicato fin dai primi passi. Spesso così vicino ai confini della legalità che, già nel 1971, il ministero dell’Industria lo aveva giudicato "inaffidabile" come guida di una società quotata. Ma che poi era riuscito a perseguire il suo disegno navigando fra le pieghe del sistema, ricorrendo - sembra di ripercorrere storie italiane - alla vicinanza alla politica, all’uso strumentale dei giornali che controllava, all’intimidazione e alle querele ogni volta che rischiava di emergere qualche particolare poco piacevole della sua ascesa. Le tappe decisive di questo capitolo sono la ripresa di controllo della Pergamon, da cui era stato estromesso dopo il rapporto negativo del ministero, la scalata alla Bpc, poi ribattezzata Mcc, la conquista del "Mirror". Negli anni 80, Maxwell sembra inarrestabile, nella sua competizione con il magnate australiano dei media Rupert Murdoch entrato di prepotenza sulla scena inglese con l’acquisto del "Times" e del "Sun" e, a dispetto di Maxwell stesso, del "News of the World". Maxwell risponde comprando quote di diverse emittenti televisive, (compresa la francese Tf1), e accaparrandosi varie partecipazioni, dalle banche Midland e Société Générale, allo stampatore di banconote De La Rue, alla Christian Dior, alla Havas. Ma l’inizio della fine può esser ricondotto all’acquisto nel 1988 del boccone più grosso, troppo grosso, l’americana Macmillan, pagata 2,6 miliardi di dollari. il completamento del sogno di essere un editore transatlantico, rafforzato più tardi con l’ultimo gesto di sfida, quando, già in piena crisi all’inizio del 1991, l’ingordigia avrà il sopravvento e gli farà comprare il "New York Daily News". Maxwell comincia a vendere, oltre che a comprare, quando le banche cominciano a rifiutargli i prestiti e l’impero ha bisogno di ossigeno. Ma è troppo tardi e il piatto di spaghetti ormai troppo ingarbugliato. Chi propende per l’ipotesi del suicidio osserva che nelle settimane e nei giorni prima della partenza per la sua crociera fatale, Maxwell aveva ricevuto una serie di ultimatum da parte delle banche, anche di quelle più vicine a lui, come la Goldman Sachs, ultimatum per i quali ormai non aveva più risposte. Ma dove sono finiti i soldi dei pensionati e delle società quotate e i prestiti delle banche, che a un certo punto assommavano a oltre tre miliardi di sterline? Maxwell certamente finanziava uno stile di vita stravagante, dallo yacht di 60 metri, a case in diverse capitali, a due castelli in Francia, uno per sé e uno per i figli, a cavalli da corsa regalati alle nuore, alle squadre di calcio (a un certo punto arrivò a possederne tre, tutte in serie A, finché la Lega non gli impose di rettificare il conflitto d’interessi). Ma la maggior parte dei fondi sottratti e fatti sparire da una parte per riapparire dall’altra, spesso attraverso veicoli off-shore (altra somiglianza con la vicenda Parmalat), sembra esser stata utilizzata alla fine per sostenere un gigantesco schema di supporto delle azioni della Mcc e del Mirror, sulla garanzia delle quali si reggeva il delicato equilibrio dell’enorme indebitamento bancario. E tutta la frode si basava su un meccanismo sorprendentemente semplice: in virtù di una normativa, ora in parte rettificata, che gli consentiva di controllare i fondi pensione integrativi dei dipendenti delle proprie società, Maxwell spostava i denari con due semplici firme, una come controllore di fondi pensioni, l’altra come capo delle società di famiglia cui azioni e finanziamenti venivano destinati. Si passava insomma i soldi da una mano all’altra. L’altro capitolo, che si è aperto dopo il 5 novembre 1991, include non solo gli eventi delle settimane successive alla morte di Maxwell, ma la lunga inchiesta e alla fine il processo e l’assoluzione di Kevin e Ian Maxwell. E soprattutto un nuovo rapporto del ministero dell’Industria, pubblicato dieci anni dopo la scomparsa di Robert Maxwell, che ha identificato una serie di responsabili nell’establishment finanziario per aver mancato di esercitare i controlli dovuti o per aver anteposto i potenziali profitti derivanti dagli affari con la galassia Maxwell a un attento esame del suo modo di operare. Oltre che sulla Goldman Sachs, le critiche si appuntarono soprattutto sui revisori della Coopers & Lybrand, sulla merchant bank Samuel Montagu, su una figura di spicco della City come Sir Michael Richardson, uno degli artefici della privatizzazioni dell’era Thatcher, su altre banche d’investimento in ruoli minori e sui grandi studi di avvocati Linklaters e Clifford Chance e persino sulla Borsa di Londra. Anche in questo, il giallo Maxwell, la storia di una truffa ben architettata, è soprattutto un racconto dai toni familiari a chi ha seguito gli scandali finanziari dei quindici anni successivi. Alessandro Merli