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 2006  gennaio 05 Giovedì calendario

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/5. Gli affari pericolosi dei Clinton. Il Sole 24 Ore 05/01/2006

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/5. Gli affari pericolosi dei Clinton. Il Sole 24 Ore 05/01/2006. Il cadavere fu rinvenuto alle cinque e mezza del pomeriggio in un parco in Virginia, Fort Marcy, a due passi dal cuore della capitale e dalle sue icone, la Casa Bianca su Pennsylvania Avenue e il Congresso a Capitol Hill. Aveva parcheggiato l’auto e piegato per bene il cappotto, come di consueto per un uomo meticoloso. Poi il colpo di pistola in bocca, con un vecchio revolver. Ma quello di Vincent Foster, il 20 luglio del 1993, divenne subito ben più di un dramma umano: Foster era il viceconsigliere legale del presidente Bill Clinton, nel pieno della bufera delle inchieste che perseguitavano l’amministrazione democratica inaugurata soltanto l’anno prima. Inchieste che presero le mosse da una fallita speculazione immobiliare dei Clinton in Arkansas, Whitewater, ma che poi si allargarono a macchia d’olio, dalla gestione dell’ufficio viaggi della Casa Bianca fino allo scandalo di Monica Lewinsky, la relazione con una stagista dell’amministrazione che portò quasi all’impeachment di Clinton. La violenza delle polemiche si manifestò fin dal giorno della morte di Foster. Si moltiplicarono le teorie di cospirazioni nell’ombra, le voci che si trattasse di un omicidio travestito da suicidio, che Foster fosse stato ammazzato altrove, forse dentro la stessa Casa Bianca, e in seguito trasportato e lasciato nel parco della Virginia sulle rive del fiume Potomac. Perché sapeva troppo degli affari dei Clinton, del misterioso affaire Whitewater e di documenti che avrebbero portato alla luce sordidi intrecci di denaro e politica alle origini del successo dei Clinton. Neppure i primi rapporti degli inquirenti, che dichiararono il decesso un suicidio, misero a tacere i sospetti, alimentati da un aggressivo movimento conservatore che aveva preso di mira i Clinton, ma anche dai passi falsi della Casa Bianca, dove sparirono documenti dal l’ufficio di Foster. Ci vollero quattro rapporti e tre anni di indagini perché la giustizia americana decidesse di archiviare il caso: il procuratore speciale Kenneth Starr, il magistrato che chiese l’impeachment di Clinton al Congresso, nel 1996 concluse a sua volta che si trattava di suicidio. La ricostruzione ufficiale può essere riassunta così: Foster, amico d’infanzia del presidente ed ex socio della first lady Hillary Clinton nello studio legale dell’Arkansas Rose Law Firm, era in preda alla depressione. Qualcosa si era spezzato in lui, lavoratore instancabile, sotto la pressione delle indagini e dei sospetti che accerchiavano l’amministrazione. Aveva confidato la propria crisi alla sorella e cercato di consultare, senza successo, uno psichiatra. Tornato da un fine settimana al mare, si era chiuso nel suo ufficio per sistemare le ultime cose, pagare le bollette di casa, come aveva promesso alla moglie Lisa. Quel martedì era uscito dalla Casa Bianca dicendo che sarebbe rientrato più tardi. Invece, aveva parcheggiato al Marcy Park e a 47 anni si era tolto la vita con la propria rivoltella, impugnandola con entrambe le mani e usando un guanto di cucina. Anche le tracce di fibre trovate su di lui, che avevano dato adito a teorie che il suo cadavere fosse stato trasportato avvolto in un tappeto, appartenevano in realtà a casa sua. Ma dalla morte di Foster emerge un’altra verità: l’intuizione che Whitewater sarebbe stata la palude da cui potevano nascere tutte le ansie dei Clinton. Il caso, negli appunti di Foster, veniva definito un "vaso di vermi". E il clima di Washington era descritto senza mezzi termini: "In questa città rovinare la gente è considerato uno sport". Ma che cosa era davvero Whitewater? In realtà le inchieste negli anni hanno rivelato una vicenda complessa, con scarse certezze di illeciti e ricca di sospetti su favori politici e tentati insabbiamenti. Alla fine, lo stesso Starr, dopo indagini costate 40 milioni di dollari, lasciò cadere l’inchiesta originaria, limitandosi ad affermare che mancavano prove a giustificare azioni legali. Il suo rapporto al Congresso, il suo atto di accusa finale ai Clinton, nel settembre del 1998 menzionava solo incidentalmente il caso, che tuttavia portò a non pochi patteggiamenti e condanne al carcere, a cominciare dagli ex soci dei Clinton nell’investimento, James e Susan McDougal. La vicenda prende le mosse da un dimenticato terreno sulla rive del White River, in Arkansas. Nel 1978 Clinton era procuratore generale dello stato, agli inizi della sua carriera politica. E con la moglie Hillary, avvocato di grido, si gettò nell’operazione a fianco dei McDougal: i soci comprarono il terreno e crearono la Whitewater Development con l’obiettivo di vendere appezzamenti per case di villeggiatura. Il risultato finale fu disastroso: la società venne dissolta nel 1992 e i Clinton, che assieme ai McDougal avevano investito 200mila dollari, riportarono una perdita di 40mila dollari nella loro dichiarazione dei redditi. Ma gli intrecci finanziari attorno al caso sono quelli che hanno messo alle corde Clinton: durante gran parte degli anni di Whitewater il futuro presidente fu governatore dell’Arkansas e McDougal, oltre a partner d’affari, lavorò anche come suo collaboratore politico. McDougal finì al centro di numerose transazioni irregolari che sfiorarono i Clinton: la moglie Susan ottenne un prestito illegittimo di 300mila dollari da agenzie statali per le piccole aziende, tra accuse di pressioni da parte di Clinton, con una parte dei fondi che furono indirizzati proprio verso Whitewater. James si era inoltre gettato in una parallela carriera di banchiere, rilevando la cassa di risparmio Madison Guaranty Savings and Loan, poi portata al fallimento sotto i debiti. A metà degli anni Ottanta aveva iniziato un’altra avventura immobiliare, un progetto residenziale battezzato Castle Grande, finanziato saccheggiando le risorse della propria banca. Whitewater porta anche a Hillary: la futura first lady, in qualità di avvocato, lavorò per la banca di McDougal e la documentazione del suo ruolo inizialmente andò perduta. I documenti furono rinvenuti solo nel 1996 nelle stanze private dei Clinton alla Casa Bianca. Le ombre create dal caso non sfuggirono al procuratore speciale Kenneth Starr, il magistrato conservatore che nel 1994 aveva ricevuto l’incarico di far luce sulla vicenda. Starr sostituiva Robert Fiske, inizialmente scelto dal Dipartimento della Giustizia ma criticato come troppo moderato dalle correnti più intransigenti dei repubblicani. E entrava in azione dietro nomina della speciale corte prevista dalla legge che stabiliva l’istituto del procuratore indipendente per assicurare indagini senza remore sul governo. Una legge che, dopo le polemiche sull’inchiesta di Starr, venne lasciata decadere. Starr allargò progressivamente l’inchiesta, prima ancora della vicenda di Monica Lewinsky, ad accuse di abuso di potere dei Clinton, tra cui il cosiddetto Travelgate - il licenziamento di dipendenti dell’ufficio viaggi della Casa Bianca per fare spazio ad amici del presidente - e il Filegate, la raccolta di documenti riservati dell’Fbi su esponenti repubblicani. Nel mirino finirono progressivamente anche sospetti di cover-up e false dichiarazioni dei Clinton nel corso delle indagini. I veri processi collegati a Whitewater, però, si consumarono tutti tra protagonisti minori, con esiti a volte tragici. Nel maggio del 1996 i McDougal e il governatore democratico dell’Arkansas Jim Guy Tucker, il successore di Clinton nello stato, vennero condannati per truffa e associazione a delinquere, davanti alla scoperta di una rete di prestiti irregolari forse per milioni di dollari attorno alla cassa di risparmio Madison. James McDougal fu condannato a tre anni di carcere, una sentenza ridotta per la sua decisione di cooperare con i magistrati. Morì in carcere pochi mesi prima di esser rilasciato. Susan McDougal fu condannata a due anni, ma ricevette altri 18 mesi di carcere per ostruzione alla giustizia dopo essersi rifiutata di comparire davanti al grand jury di Starr che indagava sui Clinton. Nel 1999, tuttavia, una giuria la assolse dall’accusa di ostruzione. Il governatore Tucker, dimessosi, fu condannato a 18 mesi di arresti domiciliari in considerazione delle cattive condizioni di salute. Un secondo processo, nell’agosto del 1996, finì in un nulla di fatto: il caso riguardava due banchieri dell’Arkansas accusati di aver incanalato irregolarmente fondi nelle casse delle campagne elettorali dei Clinton. La saga di Whitewater arrivò a più riprese anche sugli scranni della Corte Suprema, con alterne fortune per Starr e per la difesa dei Clinton che si contendevano la consegna di documenti. Una delle ultime code dello scandalo si ebbe quando un alto funzionario del Dipartimento della Giustizia e amico dei Clinton dagli anni dell’Arkansas, Webster Hubbell, si dichiarò colpevole nel 1999 di aver ingannato le autorità federali sulla propria assistenza legale alla Madison di McDougal in cambio di un anno con la condizionale. Starr, però, negli ultimi anni aveva ormai indirizzato le indagini sulla vita privata dei Clinton. Al termine di una saga legale durata quattro anni e costata oltre 40 milioni di dollari, erano state condannate una quindicina di persone. Ma la presidenza Clinton, seppur politicamente ferita e con una credibilità scossa, sopravvisse, mentre Starr lasciò il suo incarico tra accuse di eccessi prosecutori. Marco Valsania