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 2004  settembre 11 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 20 SETTEMBRE 2004

La Turchia è il dramma esistenziale dell’Europa.
Sono giorni importanti per la Turchia (e per l’Europa). Andrea Bonanni: «La Turchia, prediceva giorni fa Giuliano Amato, costituirà per i prossimi anni il dramma esistenziale degli europei, ”costretti a guardarsi nello specchio del Bosforo per capire chi sono e chi non sono”». [1] Il 6 ottobre la Commissione farà conoscere il suo parere sull’apertura del negoziato ufficiale per l’ammissione di Ankara all’Ue, premessa della decisione definitiva che sarà presa a dicembre dai 25 capi di Stato o di governo. Il tedesco Gunter Verheugen, commissario per i problemi dell’«allargamento», ha svolto dal 6 al 9 settembre un’indagine «in loco» per vedere fino a che punto la Turchia ha realizzato le condizioni poste dall’Unione a chi si candida a entrarvi. Aldo Rizzo: «Il risultato è stato sostanzialmente positivo, si sono accertati grandi progressi, anche se non mancano zone d’ombra o ritardi, specie per quanto riguarda i diritti ”etnici” della minoranza curda, ma anche alcuni diritti civili». [2]

La questione dell’adulterio. Marco Ansaldo: «Era considerato un crimine in Turchia fino al 1996 per gli uomini e al ’98 per le donne, e il partito conservatore intendeva ora ripristinarne la punibilità. Ma in varie città, tra cui Ankara e Istanbul, sono stati subito organizzati cortei da associazioni per la difesa delle donne, dalla società civile e dalla Turchia laica. A smuovere concretamente le acque sono state tuttavia le critiche provenienti da alcune capitali europee e da Bruxelles». [3] Orsola Casagrande: «Alcune associazioni femministe vedevano nell’emendamento il preludio al riconoscimento della poligamia. Tra gli stessi deputati dell’Akp, infatti, sono parecchi quelli che hanno una moglie ”legale” e poi una serie di mogli sposate con legge ”islamica”. Se l’emendamento fosse stato approvato queste seconde e terze mogli sarebbero divenute ”illegali”. E sarebbero state migliaia: un problema sociale, risolvibile soltanto con il loro riconoscimento, cioè l’introduzione della poligamia». [4]

 pensabile che l’Europa ammetta tra i suoi membri un paese nel quale l’adulterio è un crimine? Michele Serra: «Spero proprio di no. Né la realpolitik né altri pensosi compromessi giustificherebbero una violazione così abnorme dei costumi, della mentalità e del senso di giustizia (e di libertà) che ci fa ”europei”. Visto che siamo tutti alla ricerca di qualche paletto al quale ancorare l’incerta identità europea, è un aiuto per tutti (turchi in primis) sapere che per iscriversi a questo club bisogna fare qualche piccolo sforzo. Il melting pot tra culture diverse è benvenuto, stimola e aiuta a crescere e a svecchiarsi. A patto che la pentola nella quale cuociamo, tutti insieme, come un bel minestrone, sia la stessa per tutti. Democrazia è anche saper pronunciare qualche no». [5]

Al premier turco Erdogan quel ”no” non è andato giù. Trascorso qualche giorno, ha intimato agli europei di non immischiarsi nei suoi affari interni «con il pretesto dell’Unione». E ha fatto sapere: «Prenderemo da soli le nostre decisioni». [6] Massimo Gramellini: «Un europeo può persino arrivare a capire che per molti islamici sposati ”di fatto” con più donne il reato di adulterio sia uno strumento per spingere lo Stato a riconoscere i legami plurimi benedetti dalle moschee. Ma non per questo sarà disposto ad accettare che in Europa ritorni una mentalità con cui ritiene di aver saldato i conti per sempre. Ognuno resti al passo con la propria storia e arrivederci al futuro: non tutti i dialoghi devono finire da sùbito e per forza in un abbraccio». [7]
La non comprovata «moderazione» dei turchi. Paolo Mieli: «A fine luglio fece scalpore la notizia pubblicata dall’autorevole quotidiano turco ”Hurriyet” delle cinque ragazze sedicenni di Izmir (Smirne) annegate perché, mentre partecipavano a un corso tenuto da una scuola coranica, in un momento di pausa facevano il bagno vestite col velo che le copriva da capo a piedi. La cosa che fece più impressione è che le ragazze furono lasciate annegare dai loro imam che impedirono loro di essere soccorse da uomini perché ”al solo toccarle avrebbero commesso un atto impuro”». [8]

Gheddafi dice che la Turchia è il cavallo di Troia dell’islamismo. «Ammettere la Turchia nell’Ue è come cercare di trapiantare un organo umano in un corpo con un differente gruppo sanguigno: non hanno compatibilità biologica». Il problema sarebbero le nuove generazioni che grazie a Internet e alle Tv satellitari apprendono ogni giorno che l’Europa è infedele e merita di essere conquistata con la spada. Quando la Turchia diventerà un membro dell’Ue, è la tesi, queste generazioni vorranno costituire partiti islamici ed esigeranno l’applicazione della sharia islamica pretendendo anche l’abolizione delle limitazioni degli ordini di Allah, tra cui Gheddafi cita la poligamia e la schiavitù delle donne: «Queste informazioni possono essere sorprendenti e persino divertenti, ma bisogna capire che per i musulmani si tratta del messaggio di Dio che deve essere assolutamente realizzato». [9]

L’ingresso della Turchia offrirebbe all’Unione tre grossi vantaggi. Rizzo: «Una maggiore capacità di difesa militare, un più sicuro controllo delle linee di rifornimento energetico e, sul piano generale, che è il più importante, la dimostrazione all’intero mondo islamico che si può interagire e addirittura integrarsi con l’Europa e con l’Occidente, senza alcuna discriminazione religiosa, se si accettano le regole della democrazia e della tolleranza». [2] Emma Bonino: «Solo l’alleanza con l’unico Paese musulmano davvero moderato può salvarci dai nichilisti di al-Qaida». [10]

La questione, tuttavia, resta aperta. Bonanni: «Il sondaggio condotto dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo rivela che in media solo il 30 per cento degli europei è favorevole ad un ingresso della Turchia: si va dal 16 per cento dei francesi al 26 per cento dei tedeschi e al 45 per cento degli italiani. E il 40 per cento degli intervistati non sa esprimere un giudizio in materia. Un discorso non dissimile, secondo lo stesso sondaggio, vale per l’opinione pubblica turca che sembra riprodurre, ingigantiti, gli stessi equivoci culturali che hanno accompagnato l’ingresso dei paesi dell’Est. Quello con l’Europa è, per i turchi, un matrimonio di convenienza: il 73 per cento vuole entrare nell’Unione perché pensa di trarne un beneficio economico. Ma solo il 52 per cento dice di avere un’opinione favorevole dell’Europa e quelli che auspicano che l’Ue diventi una potenza politica internazionale sono addirittura uno sparuto 40 per cento, contro il 70 per cento degli europei». [1]

Il Vecchio Continente ha un problema di identità. Bonino: «Siamo davvero così insicuri della nostra cultura da rispolverare il vecchio spauracchio ”mamma li turchi”? In Turchia è diverso, non si sentono accettati e reagiscono male. Vi racconto una battuta che circola tra Ankara e Instanbul. Sapete cosa chiedono gli europei ai bulgari per entrare nell’Unione? la data della prima bomba atomica. E ai romeni? il luogo dove fu sganciata la prima bomba atomica. E ai turchi? l’elenco di tutte le vittime della prima bomba atomica per nome e cognome in ordine alfabetico». [10]

L’ingresso della Turchia nell’Ue implicherebbe spese annuali per 11,3 miliardi di euro nel solo settore agricolo. la stima del commissario all’Agricoltura uscente, l’austriaco Fischler, secondo il quale l’allargamento della Ue fino all’Anatolia metterebbe a repentaglio tutta la politica agricola comune. Fischler (spalleggiato dall’olandese Bolkestein) non si preoccupa solo per i «contadini». Parla di un paese composto da «una società sui generis, molto più orientale che europea». Alberto D’Argenzio: «Tira poi fuori ”il vaso di Pandora geo-strategico”, indicando come l’adesione turca provocherebbe aspettative tra i vicini: ”Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Ucraina e senza dubbio la Federazione russa, che hanno credenziali culturali geografiche e storiche più europee della Turchia”». [11]

Il rischio che sia l’Ue a islamizzarsi più che la Turchia a europeizzarsi. Bonino: «Nel 2015 l’Europa dei 25 Paesi avrà 456 milioni di abitanti. Se entrassero Romania, Bulgaria e Turchia saremmo 567 milioni: la Turchia coi suoi 82 milioni rappresenterebbe appena il 14,4%. Non vedo tutto questo allarme invasione». [11] Egemen Bagis, ministro per il Parlamento, deputato del Partito giustizia e sviluppo (Akp) al potere, e soprattutto il più stretto collaboratore del primo ministro Erdogan: «Se vogliono fare il club cristiano, lo dicano. Queste polemiche sono un insulto a milioni di ebrei e musulmani che vivono nel continente». [12]

L’errore di identificare i musulmani con il cosiddetto «popolo delle moschee». Mieli: «Molti identificano automaticamente il musulmano con il fedele in preghiera nella moschea. Taluni ne parlano positivamente, abbellendo questa immagine di un alone romantico, quasi a voler additare agli occidentali un modello di comportamento religioso ed etico che tutti dovrebbero perseguire. Altri ne parlano negativamente, individuando nell’associazione tra musulmani e moschee un pericolo per le comunità laiche dell’Occidente. Il punto è che si tratta di una immagine falsa e infondata. il frutto di una evidente discrepanza tra la realtà e la percezione della realtà. La realtà è che solo una percentuale minima di musulmani frequenta abitualmente le moschee. E tra questi fedeli praticanti solo una piccola parte sono integralisti o, peggio ancora, estremisti e terroristi». [13]

I governi, ai quali spetta l’ultima parola, non sono unanimi, spesso temendo le ripercussioni interne. Rizzo: «Gran Bretagna, Italia, Spagna sono i più favorevoli, Francia e Germania sono sull’orlo del sì, ma ancora perplessi, altri vacillano o sono contrari. C’è pure una reazione ”culturale” (anche del cardinale Joseph Ratzinger), che si rifà al passato dei rapporti tra la Cristianità e l’impero ottomano, fermato alle porte di Vienna nel 1683». [2]

E se a dicembre la risposta dell’Europa fosse vaga? Bagis: «Basta. Non meritiamo un ”sì, ma... ”. Sono 40 anni che ci danno la liste delle riforme da fare: abbiamo fatto tutto». [12]

Il dilemma turco pone l’Unione davanti a una scelta radicale. Gianni Riotta: «Vuol essere un supermercato di Stati autonomi e basta, o vuol fiorire in comunità di valori condivisi? La prima scelta è semplice e gracile, la seconda aspra e feconda. Negoziare seriamente l’ingresso della Turchia è la migliore barriera contro tutti i fondamentalisti che detesterebbero uno Stato di musulmani associato in libertà a cristiani ed ebrei (la comunità israelitica turca è ancora vitale ed energica)». [14] Rizzo: «Secondo le regole della politica, che sono di necessità pragmatiche, questa sembra un’occasione unica per scompaginare lo scontro Occidente-Islam. una sfida, certo, ma in positivo, contro le opzioni terroristiche e le guerre preventive. Per evitare, appunto, lo scontro di civiltà che cercavano i kamikaze assassini dell’11 settembre». [2]

Il responso del 6 ottobre è in larga misura scontato. Bonanni: «Sì all’apertura dei negoziati di adesione a condizione che la Turchia continui, durante i lunghi anni di trattative, a mantenere e anzi migliorare i propri standard di democrazia. E su questa linea si attesterà probabilmente anche il Consiglio europeo di dicembre. La pressione politica in questa direzione è enorme e allinea, oltre ovviamente alla Turchia, gli Stati Uniti, la Nato, la business community internazionale e gran parte della diplomazia occidentale. Solo un uomo politico in procinto di uscire dalla scena europea, come i due commissari e come, mesi fa, Valery Giscard d’Estaing, può permettersi di sfidare quello che è ormai diventato un assioma del pensiero comunitario politically correct affermando che la Turchia non fa parte né geograficamente, né storicamente, né culturalmente dell’Europa. E che dunque aprirle le porte significa per gli europei rinnegare la propria natura e rinunciare al proprio processo identitario». [1]

Giscard d’Estaing non è poi così solo. Lo storico Jacques Le Goff: «Se, ai miei occhi, la Turchia non fa parte dell’Europa non è assolutamente per motivi religiosi. Islam ed Europa non sono in contraddizione: del resto i bosniaci, gli albanesi, in larga maggioranza musulmani, sono europei e prima o poi entreranno nell’Europa unita. Le motivazioni del mio rifiuto sono geografiche, storiche e culturali. Esiste una data definizione geografica di Europa e, anche se è difficile definirne le frontiere orientali, è chiaro che esiste anche un’unità geografica vicino-orientale cui appartengono l’Anatolia, la Siria, la Palestina... un altro mondo geografico e culturale, che ha una sua coerenza. Non auspico certo un’Europa chiusa, e occorre che essa trovi una forma di collaborazione bilaterale privilegiata con la Turchia. Ma se, integrando la Turchia, si spingono le frontiere dell’Europa fino all’Iraq, fino alla Mesopotamia, dove si arriverà? Bisogna sapersi fermare». [15]

Comunque vada, la Turchia non entrerà nell’Unione Europea prima del 2015. I pessimisti dicono che potrebbe dover attendere fino al 2025. [16] A quel punto, potrebbe toccare al Maghreb. Tahar Ben Jelloun: «Se l’Europa tende la mano al Maghreb, lo aiuterà ad accelerare il processo democratico già innestatosi in Marocco, che è invece in panne in Algeria e totalmente arenato in Tunisia. Se si vuole l’Europa, occorre rispondere a certi requisiti, sottostare a certe regole, rispettare alcune condizioni: democrazia prima di tutto, riconoscimento dell’individuo, libertà di parola e di azione, libertà di stampa e apertura verso il mondo. Sarà come prendere due piccioni con una fava: l’Europa parteciperà all’emancipazione sociale del paese, e l’economia dei paesi magrebini conoscerà una sorte migliore di quella che ha attualmente. L’immigrazione verrà decisa secondo piani e negoziati e secondo i bisogni degli uni e degli altri. E poi l’Europa fredda al nord avrà caldo al sud». [17]