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 2004  settembre 09 Giovedì calendario

Ecco perché l’Alitalia è un’azienda decotta, L’espresso, 09/09/2004 La strategia di Cimoli & C

Ecco perché l’Alitalia è un’azienda decotta, L’espresso, 09/09/2004 La strategia di Cimoli & C. è chiara: avanzare proposte inaccettabili per far saltare la trattativa, addossare ai sindacati tutte le colpe della rottura e arrivare al commissariamento... Gianni P., responsabile di cabina dell’Alitalia con 17 anni di anzianità (e sindacalista della Filt Cgil), entra in un bar dell’Eur caracollando sotto il peso di una gigantesca valigia di documenti. Ha passato la mattinata, quella di lunedì 30 agosto, in una fumosa riunione di coordinamento delle nove sigle sindacali del settore e nel primo pomeriggio lo attende il secondo round del confronto con il vertice dell’azienda. pessimista quanto Alessandro, trentaseienne comandante torinese che da 12 anni veste la divisa della compagnia di bandiera italiana e nelle stesse ore si sta imbarcando dall’aeroporto romano di Fiumicino: «Non ho partecipato alle trattative, ma la sensazione netta è che l’azienda non sia alla ricerca di un compromesso: si vede che i grandi capi hanno in mente un’altra soluzione». Stavolta si fa sul serio. I 22 mila dipendenti dell’Alitalia cominciano a rendersi conto che la ricreazione è davvero finita. Per anni sono riusciti a difendere con le unghie e con i denti un Carnevale di privilegi. E a strapparne di nuovi. Le rare volte che il capo azienda di turno s’è messo in testa di fare il suo mestiere, un sindacato arrogante quanto miope ha fatto la faccia cattiva. Risultato: i bellicosi propositi si sono sciolti come neve al sole. E il governo in carica s’è affrettato a mettere mano al portafoglio per turare le falle di un bilancio che si è chiuso in rosso per dieci volte negli ultimi 11 anni: roba da Guinness dei primati. Però ora c’è una novità. Le residue disponibilità di cassa andranno progressivamente esaurendosi nell’arco di circa un mese, ha scandito plumbeo Glancarlo Cimoli lunedì 30 agosto. «Diesel», come lo chiamavano quando guidava le Ferrovie, non ha esagerato più di tanto. Quella appena trascorsa doveva essere l’ennesima estate del rilancio. S’è visto. I passeggeri sono calati dell’11 per cento. La quota di traffico racimolata sul mercato nazionale è scesa al 45 per cento (era al 66 ancora nel 2002). Sono mancati ricavi per 17 milioni di euro rispetto alle previsioni. Così, la compagnia di bandiera, dopo aver perso altri 331 milioni in sei mesi e abbattuto il suo capitale, è arrivata alla canna del gas. Con i soldi che ci sono in cassa (120 milioni) si possono ancora riempire le buste paga di settembre (90 milioni). Poi, se non arrivano i 400 milioni del prestito-ponte, si chiudono baracca e burattini. Ma il governo ha deciso, e non può fare altrimenti, di non garantire il finanziamento se azienda e sindacati non trovano un accordo su un piano di risanamento. Di tempo ne è dunque rimasto ben poco. Tra i 22 mila dipendenti della compagnia di bandiera c’è un misto di rabbia e paura. Un po’ lo stesso sentimento che aleggiava nella sala delle conferenze del centro congressi Alitalia quando, nel pomeriggio di giovedi 26 agosto Cimoli ha preso la parola davanti ai mille dirigenti e quadri della compagnia: «Abbiamo problemi di cassa», ha detto prima di evocare il fantasma dell’Air Lingus, la compagnia irlandese che s’è salvata dal fallimento dimezzando l’organico in un colpo solo. «Invece di proporre tagli radicali al personale inizino a fare i manager», sbotta Paola, trentatreenne assistente di volo milanese da sette anni al libro paga dell’azienda della Magliana. «Parlano di risanamento proprio loro che meriterebbero l’Oscar per gli sprechi», s’inferocisce Andrea, trentaquattrenne pilota varesino con un passato in piccole compagnie private straniere. «C’è ben altro da tagliare prima del costo del lavoro», s’unisce al coro Guido G., capo-cabina di lungo corso (oltre vent’anni) e delegato della Cgil. Non si può dare loro torto se Cimoli ha scoperto che cinque dirigenti si facevano inserire nelle mazzette dei giornali altrettante copie di ”Topolino” da regalare (si spera) ai pupi. Se è vero che quando il bilancio era già in profondo rosso il vecchio management non ha trovato niente di meglio da fare che elargire a destra e a manca gratifiche per 100 mila euro. Ancora: se, come risulta a ”L’espresso”, fino al 1999 è stata tenuta in piedi una struttura fantasma di 15 persone a Città del Messico, dove gli aerei della compagnia non atterrano dal 1985. E via continuando con la storia della variopinta compagnia di 22 dipendenti volati in Brasile per portare a casa un aereo dopo aver fatto scalo a Recife, a Capo Verde e in Irlanda. O con un sistema computerizzato per la composizione degli equipaggi che è stato fatto in casa e si vede: costa un milione e 800 mila euro l’anno ed è talmente sgangherato da aver fatto perdere alla compagnia, nel solo mese di agosto, 3 mila e 394 giornate lavorative. Chi ha gestito l’Alitalia negli ultimi anni andrebbe interdetto dai pubblici uffici. Ma questo non cancella le colpe dei dipendenti e dei loro rappresentanti sindacali. Se si fosse evitato di ballare sul Titanic, oggi Cimoli non starebbe pensando di tagliare 5 mila posti tra il personale di terra, 350 tra comandanti e piloti (su 2.365) e 800 tra capi-cabina e assistenti di volo (su 4.780). Con la loro Babele di benefit (basti pensare alla famosa indennità, poi soppressa, per l’assenza dei lettino a bordo di alcuni 767-300: 1.200 euro che venivano corrisposti anche a chi della cuccetta poteva disporre) i dipendenti in giacca verde costano troppo. I numeri dicono che alla Magliana gli stipendi rappresentano il 20,98 per cento del totale delle uscite. Volare sta a quota 10,21 per cento. Alpi Eagles al 12,55. Air One al 12,85. E la situazione continua a peggiorare, se è vero che nel primo semestre di quest’anno le buste paga della compagnia di bandiera italiana sono cresciute di un ulteriore 5,55 per cento. Costano cari i dipendenti di Cimoli. In compenso, non si danno poi granché da fare. La produttività dei comandanti dell’Alitalia è inferiore del 16 per cento rispetto a quella dei pari grado imbarcati sugli aerei della concorrenza. Il gap sale al 30-40 per cento per i primi ufficiali e i secondi piloti. Secondo quanto risulta a ”L’espresso” il 5 gennaio scorso erano in malattia 554 assistenti di volo: l’11,6 per cento del totale. Non era un caso. L’epidemia alla Magliana è quotidiana: nei primi cinque mesi dell’anno il tasso di assenteismo degli assistenti di volo non è mai sceso sotto l’8,4 per cento (il 12, 13 e 14 maggio). A Volare, dove un pilota sta alla cloche 830 ore l’anno contro le 477 del pari grado dell’Alitalia (e dove è imbarcato il 70 per cento del personale, contro il 32 dell’azienda di Cimoli), si ammalano ogni giorno meno di tre persone ogni cento. «Io dico che potremmo fare di più», ammette Paola, trentaseienne assistente di volo romana, «ma i colleghi mi rispondono che sono fuori di testa». «Sono tutte bugie», s’arrabbia infatti, arringando un gruppo di colleghi, un sindacalista degli assistenti di volo che non ci sta a passare per un campione di assenteismo. Spiega: «Intanto quelli di Volare si ammalano di meno perché sono più giovani». E vabbé. Poi però aggiunge: «Se non avessimo un meccanismo di turnazione inadeguato non saremmo costretti a marcare visita per poter partecipare a un matrimonio o a un funerale». «Irricevibili»: così il sindacato ha accolto le richieste di Cimoli, che vorrebbe raggiungere, entro il 2008, un miglioramento dei conti di 880 milioni. Trecentosessantatré milioni dovrebbero saltar fuori dall’area commerciale, 205 dal settore acquisti e 310 dalla riorganizzazione. In quest’ultima voce sono compresi risparmi sul costo dei lavoro per 230 milioni, che l’azienda pensa di ottenere aumentando gli orari di lavoro, facendo crescere la quota percentuale dello stipendio legata al servizio effettivamente prestato, limando le diarie e spostando a Milano una parte di quelli che oggi fanno i pendolari. Roba da far venire l’itterizia ai dipendenti più coccolati d’Italia. Che di tirare la cinghia non ne vogliono proprio sapere. «Dicono che devono tagliare perché non hanno più una lira, ma ci stanno prendendo in giro», è il commento a caldo di Roberto V., delegato sindacale degli assistenti di volo con 16 anni di Alitalia: «Noi sugli aerei ci stiamo e quest’estate erano pieni da scoppiare. Ci devono spiegare se i biglietti li hanno tutti regalati o invece che fine hanno fatto quei soldi». La British Airways, che ha una rete di collegamenti ben più ramificata di quella dell’Alitalia, ha mandato a casa 12 mila e 632 dipendenti nel 2003 e altri 400 li taglierà entro la fine dell’anno. L’Iberia ha sfoltito l’organico di 2 mila e 700 unità e annunciato ulteriori risparmi per 3 o 400 milioni di euro prima del 2006. La Sas dal 2000 a oggi ha licenziato 2 mila e 500 addetti. La Air France ha limato i costi di 235 milioni nel primo trimestre dell’anno. Dev’essere proprio che si sono dimenticati di dirlo a Luigi Angeletti. «Non credo che ci sia bisogno di esuberi», ha scolpito lunedì 30 il leader Uil. Che ha anche individuato una soluzione. Facile facile: «Gli azionisti devono convincersi che occorrono ulteriori investimenti». Stefano Livadiotti