Giuseppe Dierna la Repubblica, 31/08/2004, 31 agosto 2004
Il Genio del Male che ha contagiato anarchici, surrealisti e fumettari, Fantômas, l’antieroe gentiluomo, la Repubblica, 31/08/2004 Muri che trasudano sangue, fiacre guidati da cadaveri, attori truccati gettati, innocenti, in pasto alla ghigliottina al posto del vero condannato, e condannati autentici che invece sopravvivono all’impiccagione grazie a una cánnula di caucciù infilata in gola, e poi - novità tra gli accessori! - guanti fabbricati con la pelle strappata dalle mani di un uomo assassinato, e che lasciano ancora per mesi dietro di sé le fuorvianti impronte del defunto
Il Genio del Male che ha contagiato anarchici, surrealisti e fumettari, Fantômas, l’antieroe gentiluomo, la Repubblica, 31/08/2004 Muri che trasudano sangue, fiacre guidati da cadaveri, attori truccati gettati, innocenti, in pasto alla ghigliottina al posto del vero condannato, e condannati autentici che invece sopravvivono all’impiccagione grazie a una cánnula di caucciù infilata in gola, e poi - novità tra gli accessori! - guanti fabbricati con la pelle strappata dalle mani di un uomo assassinato, e che lasciano ancora per mesi dietro di sé le fuorvianti impronte del defunto... Se ne incontrano davvero di tutti i colori sulle pagine di Fantômas, la fortunata serie di trentadue romanzi sul Genio del Male generato dalla sbrigliatissima e anche un po’ perversa fantasia di Marcel Allain e Pierre Souvestre (alla media assolutamente cronometrica di un volume al mese) tra il febbraio 1911 e il settembre 1913, ai quali già dal maggio dello stesso anno si era aggiunto il primo dei cinque mediometraggi che dai romanzi avrebbe tratto il regista Louis Feuillade. un successo senza precedenti che fa impallidire la fama dei vari Rocambole, Arsène Lupin, Zigomar, anche lui peraltro capace di delitti efferati. E a partire da quel primo volume (intitolato semplicemente Fantômas), da quella prima copertina che lo mostrava in smoking e cilindro, mascherina nera sugli occhi e un pugnale insanguinato nella destra, mentre - col mento malinconicamente appoggiato alla mano sinistra - si ergeva sopra una Parigi dal cielo rosso sangue, la Modernità si arricchirà di un nuovo mito di lunga durata, come testimonia il bel volumetto uscito in questi giorni a cura di Monica Dall’Asta: Fantômas. La vita plurale di un antieroe (il principe costante, www. principecostante. it, pagg. 268, euro 18), con saggi di varia angolazione: dalla ricostruzione del coevo contesto degli anarchici «illegalisti» (cui faceva riferimento anche la leggendaria Banda Bonnot, attiva in Francia in quegli stessi mesi) alla fascinazione surrealista per il Genio del Male; dal Fantômas messicano a fumetti alla riscrittura «politica» che ne farà nel ’75 Julio Cortázar quando lo metterà a lottare «contro i vampiri multinazionali». E poi frammenti poetici, ricordi, e una non meno godibile selezione d’immagini. Perché - sospinto da un’entusiasta (seppur lievemente tardiva) recensione di Guillaume Apollinaire che nel luglio del ’14 aveva definito Fantômas «un romanzo straordinario, pieno di vita e d’immaginazione, (...) dal punto di vista immaginativo una delle opere più ricche mai esistite» - quasi immediatamente la sua nera silhouette (che presto sostituì il completo da sera) prese a circolare in poesie, pitture, articoli di giornali, fino a raggiungere le vetrine dei sarti, in forma di manichino a grandezza naturale con le fattezze di René Navarre, l’attore che ne interpretava la parte nei film di Feuillade. E mentre per iniziativa ancora di Apollinaire e del poeta Max Jacob sorgeva nel ’13 una «Società degli amici di Fantômas», scriveva lo stesso Jacob: «Dal trampolino fiabesco della mia ferocia, / io, Fantômas, mi lancio fino al mio settimo piano [...] / per mostrare a quanti s’interessano a me / che un uomo chic porta sempre con sé dei biglietti da visita». Ma chi è Fantômas? «Tutto... e niente!» recita l’esordio del primo episodio (oggi in una nuova versione: Fantômas, traduzione di L. Bernardi e F. Rimondi, Mondadori, pagg. 372, euro 8,20): qualcuno che incute paura, «impossibile da afferrare, impossibile da definire», anche se per il giovane Charles Rambert - che le vicende porteranno ad assumere l’identità del giornalista Jérôme Fandor, coadiuvante dell’ispettore Juve nell’epica caccia al malfattore - Fantômas è invece «la vita, la storia, l’azione, la realtà». Uomo dai mille travestimenti, Fantômas nasce all’intersezione tra efferatezza e seduzione: i suoi delitti sono marcati da un eccesso quasi maniacale di crudeltà, ma i suoi modi sono quelli di un gentleman che, dinanzi alla principessa Danidoff distesa nuda nella vasca da bagno (il testo lo descrive come «un uomo sulla quarantina» con uno smoking dal taglio irreprensibile, mani «candide, molto curate, sobriamente ingioiellate di anelli», e la barba «tagliata a ventaglio»), prima di sottrarre all’impaurita vittima un ingente pacco di banconote, spegne discretamente la luce per permetterle di uscire dalla vasca. Le donne cadranno perciò ai suoi piedi, come la fragile Lady Beltham, a detta del surrealista Desnos «enigmatica e tragica allegoria dell’amore, delle sue passioni e dei suoi disordini». Certo, ci si erano messi d’impegno i due stacanovisti del noir seriale. Era il 1907 quando s’erano incontrati per la prima volta (ventidue anni Allain, trentaquattro Souvestre, che morirà all’inizio del ’14), subito imbastendo a quattro mani un feuilleton d’ambientazione automobilistica. E quando il successo del loro primo romanzo destò l’interesse della concorrenza, i due non si peritarono di scriverne (in incognito e in contemporanea) una parodia per la nuova committenza. Tra le opere in comune, anche un testo confezionato con tecnica quasi da fotoromanzo, dove tra i personaggi fotografati ritroviamo (con barbe e baffi posticci) gli autori stessi, mentre già appaiono succose anticipazioni di quelle che saranno le follie narrative di Fantômas: una dentiera avvelenata, una collana di perle che strangola da sola la sua proprietaria, un rasoio autosgozzante, una busta bordata di colla corretta all’acido prussico... Sfiancante la loro tecnica di lavoro: tre giorni per la scaletta, estrazione a sorte per la distribuzione dei capitoli, poi lavoro dei singoli direttamente al dittafono, trascrizione da parte delle dattilografe e spedizione in tipografia, senza ripassare dagli autori, che dovranno restituire le bozze in due giorni. Ma Fantômas non ha più bisogno di loro, vive ormai di vita propria. Lo ritroviamo adesso a Praga, sui lungofiume «vuoti come le pareti di una bara», mentre insegue - inseguito - Jack lo Squartatore in un racconto di Josef Capek del ’15, ma è anche nelle parole di un anonimo recensore francese che, deluso dalla facilità con cui il futurista Marinetti teorizza distruzione di sintassi e punteggiatura, ma poi scrive un tradizionalissimo Monoplan du Pape, storpia le iniziali del suo nome in Fantômas-Themistocle. Nel ’18 sarà invece Giorgio de Chirico a ritrovarsi (nella fantasia metafisica di Filippo De Pisis) «trasfigurato in fantômas bianco», mentre Raymond-la-Science - sanguinario membro della Banda Bonnot - scriverà nel ’12 una ballata su un attentato dell’anarchico Emile Henry: «S’era creduto fosse Fantômas / ed era invece la lotta di classe». I surrealisti, dal canto loro, come potevano non entusiasmarsi quando il commissario Juve, nella sua prima requisitoria contro Fantômas, dichiara in tutta serietà che «il verosimile è vero, almeno fino a prova contraria»? E difatti nella Centrale di rue de Grenelle campeggiava un volume di Fantômas «inchiodato al muro con un pugnale», mentre Georges Sadoul - all’epoca frequentatore del gruppo con Jacques Prévert e Raymond Queneau - ricorda un gioco in voga tra loro: qualcuno citava il titolo di uno degli episodi e gli altri dovevano ricordare quanti delitti vi venivano commessi. E Alberto Savinio racconterà a sua volta (nella Casa ispirata, 1925) del «miracolo» di cui era stato testimone: «sul tetto del teatro dell’Opera, la sera che vi rappresentavano il Giuseppe di Riccardo Strauss, avevo visto vigilare Fantômas col mento nella mano, la maschera che gli sbarrava il volto, un pugnale insanguinato tra i denti». (Niente di strano: era stato Marinetti, in un manifesto del ’16, ad annoverare place de l’Opéra tra i «luoghi abitati dal divino». Il divino della Modernità.) René Magritte farà di Fantômas quasi un’ossessione personale, disegnandolo in tuta nera, ascetico come uno stilita, o con la muta da subacqueo tra misteriosi frammenti d’interni, o come tracimante attraverso un muro di mattoncini rossi, mentre invece nell’Assassino minacciato (1926) allestirà un’inquietante quanto fascinosa scena del delitto (una donna morta, nuda sul divano, l’assassino tranquillo accanto al grammofono e due enigmatici personaggi in agguato al di là della porta) dietro la cui composizione affiora con chiarezza un fotogramma di Feuillade. Ma sarà il surrealista Desnos a proporre l’omaggio più imponente al Genio del Male: Il grande compianto di Fantômas (1933), che alterna brani dei romanzi e strofette come da cantastorie: megaproduzione radiofonica mandata in onda da Radio-Paris con musica di Kurt Weil e regia di Antonin Artaud, che prestava anche la voce a Fantômas, «spettro dagli occhi grigi». E a novant’anni dalla sua (presunta) morte nel tragico naufragio del Gigantic alla fine del trentaduesimo episodio, ripeteremo anche noi la litania che il surrealista belga Ernst Moerman gli aveva rivolto nel ’33: «Fantômas, mondo perduto nello spazio, / bacio di forzato, mistero del diamante, [...] / immagine perpendicolare alla nostra giovinezza, / parricida morto sul campo dell’onore, / Fantômas che sei nei cieli / salva la poesia». Giuseppe Dierna