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 2004  settembre 01 Mercoledì calendario

 aperta la caccia al risparmiatore islamico, Il Sole-24 Ore, 01/09/2004 Emettere un sukuk bond, siglare una polizza d’assicurazione takaful, concludere una transazione murabahah, fare un’operazione di leasing ijarah

 aperta la caccia al risparmiatore islamico, Il Sole-24 Ore, 01/09/2004 Emettere un sukuk bond, siglare una polizza d’assicurazione takaful, concludere una transazione murabahah, fare un’operazione di leasing ijarah. L’Abc della finanza islamica, condiviso fino a pochi anni fa da non più di una manciata di banche mediorientali, inizia a entrare anche nel vocabolario del gotha finanziario globale. I banchieri occidentali, insomma, vanno realizzando quello che i loro colleghi musulmani hanno capito da tempo: l’universo della finanza islamica è un grande business. Può sembrare un po’ brutale per un settore fondato su rigorosi principi etici quali il divieto degli interessi, la condivisione tra banca e cliente dei profitti o delle perdite, la rinuncia a investimenti in settori quali l’industria degli alcolici, dei prodotti derivanti dalla carne di maiale e il gioco d’azzardo, ma la realtà è che la caccia al risparmiatore islamico si sta facendo sempre più serrata. I numeri, d’altronde, sono allettanti. I musulmani nel mondo sono un miliardo e mezzo, hanno un patrimonio stimato in 800 miliardi di dollari e molti di loro vorrebbero gestirlo senza violare i dettami del Corano. Di fronte a cifre del genere, non sorprende che si stia scatenando una corsa a offrire strumenti finanziari compatibili con la sharia (la legge islamica). I protagonisti. A condurla sono le oltre 260 banche islamiche «dure e pure» concentrate nel Golfo Persico, in Pakistan, Sudan, Malaysia, Indonesia, ma sempre di più anche le banche occidentali che hanno fiutato l’affare e si stanno attrezzando con divisioni di finanza islamica. Lo hanno già fatto Citigroup, Hsbc, Deutsche Bank, Standard Chartered, Ubs, Abn Amro, ma ormai quasi tutti i maggiori gruppi bancari occidentali hanno almeno uno staff specializzato nella finanza islamica. Non potrebbe essere altrimenti per un business i cui confini superano i Paesi musulmani e arrivano direttamente nel cuore dell’Europa. Poche settimane fa ha ottenuto la licenza per operare la Islamic Bank of Britain, prima banca islamica ad aprire nel Vecchio continente. «Entro cinque anni la finanza islamica opererà in Francia e Germania, ne sono sicuro, e poco dopo sbarcherà anche in Italia», dice fiducioso Michael Saleh Gassner, titolare di una società di consulenza tedesca specializzata nel settore. Del resto, oggi risiedono in Europa più di 50 milioni di musulmani: una potenziale clientela della finanza islamica. La scommessa delle banche globali che si sono gettate nell’avventura islamica è quella di saper rispondere meglio delle loro concorrenti mediorientali, africane e asiatiche alla domanda di servizi dei risparmiatori. Una domanda sempre più sofisticata: oggi il risparmiatore islamico non chiede più soltanto di depositare il proprio denaro in un conto corrente, ma vuole investirlo in obbligazioni o azioni, usarlo per finanziare un mutuo, un prestito al consumo, o una polizza di assicurazione, insomma ha più o meno le stesse esigenze del risparmiatore occidentale o giapponese. Ma poiché chiede di rispettare i precetti del Corano, primo fra tutti il divieto di pagare interessi, la banca deve mettere a punto meccanismi alternativi, a volte complicati, basati per esempio sul pagamento di rate d’affitto da parte del cliente, secondo il principio coranico che vieta il guadagno finanziario, ma non quello legato al commercio di beni. I prodotti. Sul fronte dell’offerta di prodotti islamici, poi, è un continuo fiorire di nuovi strumenti. Bond, fondi d’investimento, assicurazioni, mutui, persino hedge fund. Una gamma che somiglia sempre di più a quella della finanza tradizionale. Prima di mettere sul mercato un nuovo prodotto, ogni banca deve sottoporlo allo Sharia Board, un Consiglio di eminenti studiosi della legge islamica che ha il compito di valutarne l’ortodossia. Il loro ruolo è ancora determinante, ma la verità è che oggi le banche islamiche hanno più bisogno di professionisti della finanza globale che di professori di diritto. E in questo campo, le grandi banche internazionali non hanno rivali. «Il nostro cliente tipo ha una prospettiva internazionale. Viaggia molto per lavoro, e quindi ha bisogno di una banca che lo assista in diversi Paesi» spiega Steve Martin, manager per l’area mediorientale del settore corporate di Hsbc Amanah, il braccio di finanza islamica di Hsbc. Citibank, e soprattutto Ubs (tramite una società ad hoc chiamata Noriba) hanno un profilo ancora più preciso: vogliono gestire il risparmio della clientela più ricca, tramite servizi di private banking, un settore di sicuro interesse in Paesi dominati dal business dell’oro nero. Si stima infatti che gli investitori del Golfo abbiano ben 1.200 miliardi di dollari investiti nei mercati finanziari nordamericani ed europei e che vogliono convertirne una parte crescente in portafogli coerenti con la Sharia. Le strategie. Se i gruppi bancari globali vogliono cavalcare la crescita della finanza islamica, le banche musulmane non stanno certo a guardare. I Paesi più attivi sono il Bahrain, che punta a diventare l’hub mondiale del settore e che ha commissionato Ernst & Young uno studio di fattibilità per creare un gigante della finanza islamica specializzato nei grandi affari, e la Malaysia. In Bahrain hanno sede anche molte divisioni di finanza islamica dei gruppi occidentali. E la Bahrain Islamic Bank, uno dei principali istituti di credito dell’Emirato del Golfo, ha annunciato la prossima apertura di uno sportello interamente dedicato alle donne. Lo staff, dal direttore della filiale fino all’ultimo dei cassieri, sarà composto solo da donne, e soltanto la clientela femminile sarà ammessa. «La percentuale di donne che lavora nelle banche islamiche del Bahrain è più alta di quella degli istituti tedeschi», dice Michael Saleh Gassner. Va sfatato anche un altro pregiudizio legato alla finanza islamica: quello secondo il quale sarebbe aperta solo ai musulmani. In realtà scelgono la finanza islamica anche risparmiatori non musulmani: in Malaysia è molto diffusa nella comunità cinese e indiana. E c’è chi è pronto a scommettere che una piccola parte di risparmiatori europei, orientata alla finanza etica, potrebbe scegliere prodotti islamici. «Se i prodotti e i servizi sono di buona qualità, attireranno naturalmente anche la clientela ordinaria», dice Nazim Ali, direttore del progetto di finanza islamica dell’Istituto giuridico dell’Università di Harvard. Anche un risparmiatore a caccia di profitti, insomma, potrebbe optare per un prodotto islamico. Come tutti i settori in rapida espansione (nell’ultimo decennio è cresciuto in media del 10-15% all’anno e oggi ha attivi per 262 miliardi di dollari) l’industria finanziaria islamica ha bisogno di fissare regole condivise, di migliorare la corporate governance e la trasparenza. Le nuove frontiere da inseguire riguardano, inoltre, l’ampliamento dell’offerta di prodotti e lo sviluppo del mercato secondario per lo scambio dei bond. Intanto, però, i banchieri di Maometto si godono il successo: risorta negli anni Settanta dopo un lungo silenzio in un remoto villaggio agricolo egiziano, oggi la finanza islamica è di casa nella City londinese e a Wall Street. Gabriele Meoni