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 2004  settembre 04 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 6 SETTEMBRE 2004

Ora W. vuole altri quattro anni per fare la rivoluzione.
Bush 52, Kerry 41. Secondo ”Time” sarebbero finite così le presidenziali americane se si fosse votato la settimana scorsa, al termine della convention Repubblicana del Madison Square Garden. [1] Vittorio Zucconi: «I sondaggi interni dicono che il Presidente ha raggiunto o superato l’avversario su tutti i temi fondamentali, dall’economia alla guerra». [2] Michael Novak, direttore degli studi politici e sociali all’American Enterprise Institute: «Probabilmente le distanze torneranno ad accorciarsi prima del voto. Sotto, però, l’acqua comincia a muoversi in direzione di Bush». [3]

Bush è stato in svantaggio per gran parte dell’anno. [4] Marco De Martino: «La riscossa è cominciata subito dopo il discorso di John F. Kerry alla convention democratica di Boston che Bush non ha visto preferendo andare a dormire. ”Ricordati che non sono un professore” è stata la sua unica raccomandazione la mattina dopo, quando di buon’ora ha chiamato Karen Hughes per chiederle un discorso diverso da quello che ha caratterizzato la prima fase della campagna elettorale. La sua consulente più fidata, al suo fianco da quando era governatore del Texas, ha risposto con una serie di storie che Bush racconta con l’entusiasmo di chi, come lui, al liceo ha guidato gruppi di cheerleader». Una per tutte: «Una volta mi sono venuti a trovare alla Casa Bianca sette iracheni, tutti con la mano destra tagliata da Saddam: ora non è più possibile». [5]

Kerry arrivò alla sua Convention certo che gli americani fossero disgustati da Bush almeno quanto lui. David Frum, ex autore dei discorsi di Bush: «Uomo estremamente prudente, giunse alla conclusione che tutto quello che doveva fare per vincere era mostrarsi come alternativa accettabile all’attuale presidente. Così enfatizzò il suo servizio militare in Vietnam - e si rifiutò di offrire qualcosa di più su temi specifici, dalla salute al terrorismo. Per vincere le elezioni si affidò totalmente alla sua breve biografia militare. Come ha detto più volte il suo compagno di squadra John Edwards, ”se volete sapere che genere di uomo sia Kerry, chiedetelo agli uomini che erano sotto di lui in Vietnam”. Questa decisione espose Kerry a un ovvio pericolo, un pericolo che avrebbe dovuto essere ovvio: i suoi compagni d’arme in Vietnam non lo amavano». [4]

I Repubblicani hanno vinto 4 delle ultime sei presidenziali. David Gergen, ex consigliere di Nixon e Clinton: «Una ragione c’è, ed è che i repubblicani sanno fare propaganda elettorale meglio dei democratici». [2] Tonello: «Occorre quindi chiedersi come mai i repubblicani hanno costruito nel tempo una macchina politico-elettorale capace di far eleggere chiunque, anche un imboscato che si presenta contro un eroe di guerra come Kerry». [6]

Nel 1960 Nixon fu battuto da Kennedy, nel 1964 Goldwater fu umiliato da Lyndon Johnson. Tonello: «Ma queste sconfitte costrinsero i conservatori a nuove proposte unificanti e furono le dimissioni di Nixon nel ’74 a obbligarli a trovare una nuova generazione di leader. L’uomo del destino fu Reagan, che trasse vantaggio da circostanze contingenti: il sequestro dei diplomatici americani a Teheran e l’inflazione galoppante. Il programma, drastiche riduzioni fiscali e militarismo, era invece pensato come piattaforma di lungo periodo e, non a caso, è oggi allo zenith del suo successo». [6]

Nel 2000 Gore ebbe 539.898 voti popolari più di Bush. Tonello: «Ma fu ugualmente sconfitto nel collegio elettorale (ipotizziamo che i risultati della Florida fossero regolari) perché i repubblicani traggono enorme vantaggio dal loro dominio negli Stati rurali e poco popolati delle grandi praterie e delle Montagne Rocciose. Le città e le coste sono viste con diffidenza da quest’America religiosa, conservatrice, poco interessata alla politica se non come manifestazione d’identità. Il fatto che i democratici si siano enormemente ”femminilizzati” come partito (sono per l’aborto, il welfare e contro le armi da fuoco) ha garantito un solido sostegno tra le donne di educazione universitaria (59% a favore di Gore nel 2000) ma ha anche creato una potente corrente di ostilità tra i maschi a basso reddito». [6]

Votassero solo le donne, vincerebbe Kerry. Ennio Caretto: «I sondaggi indicano che sono le nubili, le divorziate, le ragazze madri, un terzo della popolazione femminile, a votare in massa contro Bush. Le donne sposate, in particolare dei ceti medio-alto e alto, le security mom, alcune delle quali tengono la rivoltella nella borsetta, in assurda difesa non più dal crimine spicciolo ma dal terrorismo, sono in crescente maggioranza per il presidente. A New York la first lady s’è rivolta a loro, le delegate alla convention». [7] Michele Serra: «Quando vedo le persone come Laura Bush e soprattutto le sento parlare, mi viene il dubbio, quasi inconfessabile, che il mondo non sia in fiamme perché ci sono da difendere libertà e democrazia, ma perché c’è da difendere lo shopping delle ragazze Bush [...]». [8]

Nei sondaggi di popolarità, Laura batte George 75 a 50. Robert Dalleck, noto biografo di Kennedy, dice che «proietta un’immagine più moderata dove non tutto è bianco o nero, c’è anche qualcosa di grigio» (vedi le sue posizioni su aborto, matrimonio gay, cellule staminali). Secondo Carl Sferrazza Anthony, storica delle first ladies americane, «Laura svolgerà nella campagna una funzione analoga a quella di Hillary Clinton nel 1992. Le due first lady non potrebbero essere più diverse. Ma Hillary umanizzò e Laura umanizzerà la figura del marito, mobilitando il voto femminile». [7]

Il vero volto dei Repubblicani non era in mostra a New York. Ma lo stesso vale per i Democratici a Boston. Elena Molinari: «I politologi non si stupiscono. Non è più il 1860, quando alla convention democratica si discusse giorno e notte se un governatore potesse abolire la schiavitù. E non è nemmeno il 1980, quando Ted Kennedy criticò il programma economico di Jimmy Carter fino a costringerlo a cambiare il testo. Oggi le convention sono giganteschi spot pubblicitari o, meno cinicamente, ”momenti di orgoglio” per i partiti». [9]

Che cosa faresti se il petrolio salisse a 60 dollari al barile? E se la Corea del Nord minacciasse di usare la bomba atomica? E se l’America scivolasse in un’altra recessione? Queste, si dice, sono le domande cui avrebbe dovuto rispondere Bush a New York. [9] Michael Moore: «Mi sono fermato a parlare con i delegati e ho fatto delle domande classiche da liberal: volete che le donne guadagnino meno degli uomini? Volete che una persona sia discriminata solo perché è omosessuale? Volete che le armi d’assalto siano disponibili nelle strade di New York? Volete un ambiente inquinato? Mi hanno sempre risposto no, come i liberal. Allora ho domandato: perché siete repubblicani? Hanno detto che temono che il governo gli porti via i soldi. Ecco il punto: i repubblicani non vogliono pagare le tasse». [10]

Four more years. Altri quattro anni alla Casa Bianca. questo il leit motiv dei Repubblicani. Ma per fare cosa? La risposta è scritta nella piattaforma programmatica approvata dai delegati alla vigilia del congresso. Politica estera: dall’Iraq non si torna indietro, nessun ripensamento sulla guerra, ma conferma delle ragioni dell’operazione nel quadro globale della lotta al terrorismo post 11 settembre. L’uso della forza verrà contemplato per rispondere alle minacce interne ed internazionali dei nemici degli Stati Uniti, se necessario con altri Paesi dell’asse del male (Iran e Corea del Nord); economia: riduzione delle tasse (nonostante l’enorme buco nei conti dello Stato, 500 miliardi di dollari) e conferma su base permanente dei mega tagli varati da Bush; politiche sociali: lotta senza quartiere all’aborto, no al matrimonio gay e al riconoscimento delle unioni di fatto; energia ed ambiente: sfruttamento intensivo delle risorse di gas e di petrolio interne, prima fra tutte la Riserva Faunistica Naturale dell’Artico. [11]

I Democratici, si sa, la pensano diversamente. Sono in massa contro la guerra in Iraq (86%), auspicano una stretta collaborazione con l’Onu per risolvere le crisi internazionali (79%), pensano che le leggi anti-terrorismo minano le libertà civili (77%), vogliono che lo Stato faccia rispettare una legislazione anti-inquinamento (62%), sono contro il libero commercio se questo colpisce le industrie Usa (77%), sono contro la pena di morte (solo il 19% la sostiene), sono per la libertà di aborto (75%), e a favore dei matrimoni tra gay (95%). [12]

Bush polarizza l’opinione pubblica come nessuno dei suoi predecessori moderni. Riotta: «Amato dall’86% dei repubblicani, è detestato dal 92% dei democratici». [13] In genere si dice che col bipolarismo vince la coalizione che conquista il centro, ovvero che occupa meglio le posizioni di centro-centro-sinistra o centro-centro-destra, che modera e diluisce il proprio messaggio politico. I Repubblicani del 2004 smentiscono questa convinzione e pensano che sia più decisivo mobilitare la loro ala estrema che convincere il centro. D’Eramo: «Non è proprio una novità: già Reagan e la Thatcher ci avevano mostrato che nei sistemi bipolari le elezioni si vincono portando gli elettori di centro a destra (o a sinistra, nel caso della vittoria di Mitterrand in Francia nel 1981) e non portando la destra (o la sinistra) al centro. I ”democratici di Reagan” furono conquistati da un messaggio di destra radicale, non da una marmellata moderata». [14]

Fino a quarant’anni fa, i Democratici erano il partito dei credenti. Novak: «Poco alla volta, però, sono diventati sempre più laici. Si sono trasformati nel partito di Hollywood, lasciando ai repubblicani il campo dei valori e spingendo verso di loro le persone religiose». [3] D’Eramo: «Gli integralisti cristiani costituiscono il 14% dei votanti. Ma, secondo i sondaggi, il 19% degli aventi diritto al voto: mancano cioè all’appello 5 milioni di votanti. Poiché le indagini all’uscita dei seggi mostrano che l’89% dei cristiani conservatori vota repubblicano, ben 4,5 di quei 5 milioni voterebbero Bush garantendogli sicura vittoria negli stati indecisi (Ohio, Pennsylvania, Missouri) a forte densità fondamentalista. L’altro retropensiero alla base di questa strategia in apparenza stravagante è che i repubblicani moderati e laici appartengono a quelle classi agiate che hanno ricevuto munifici regali fiscali da Bush e che quindi sono pronti a ingoiare un po’ di fondamentalismo pur di mantenere gli sgravi tributari [...]». [14]

I Repubblicani sono il partito dei ”ricchi” e i Democratici quello dei ”poveri”? Frum: «Dagli anni di Clinton i veri ricchi americani sono diventati sempre più democratici. Dei dieci maggiori finanziatori politici degli Stati Uniti, nove appoggiano Kerry: il finanziere George Soros da solo ha dato 15 milioni di dollari per sconfiggere Bush. L’analisi del voto del 2000 suggerisce che, mentre Bush aveva la maggioranza dei voti nel gruppo degli americani che guadagnano tra 100 mila e 250 mila dollari all’anno, le famiglie con un reddito superiore ai 250 mila dollari preferivano Al Gore». [4]

I Democratici sono il partito dei più ricchi e dei più poveri, i Repubblicani della classe media. Frum: «I democratici prendono il voto dei laureati e di quelli che hanno abbandonato la scuola dell’obbligo, i repubblicani di quelli che hanno la maturità. I democratici sono più forti sulle due coste, i repubblicani negli Stati di mezzo. I democratici prendono il voto di chi non è sposato e non va in chiesa, i repubblicani hanno 20 punti di vantaggio tra praticanti religiosi e coppie sposate con figli. I democratici sono più forti tra chi si sente in qualche modo diverso dagli altri, i repubblicani tra chi si sente un ”tipico americano” [...]». [4]

Nessun presidente è mai stato rieletto senza una crescita degli occupati pari almeno all’1% nei sei mesi prima del voto. Paolo Mastrolilli: «Bush, in questo momento, è allo 0,8%, e quindi ha ancora bisogno di recuperare terreno». [15] Gli ultimi dati di venerdì scorso hanno fatto esultare i Repubblicani: i 144 mila nuovi posti di lavoro di agosto sono quasi il doppio di quelli registrati a luglio, il tasso di disoccupazione è al livello più basso dall’ottobre 2001. [1]

Nel secondo trimestre 2004 il pil è cresciuto solo del 2,8%. Mastrolilli: «Una percentuale da fare invidia a qualunque Paese europeo, ma troppo bassa per i gusti degli americani». [15] Massimo Gaggi: «Con l’economia e l’occupazione in forte crescita ”four more years”, altri quattro anni, sarebbe bastato come slogan. Gli strateghi elettorali di Bush si sono invece accorti che Kerry gli stava togliendo il palcoscenico con le sue promesse di allargare la sanità pubblica e di difendere la ”social security”. Da qui l’esigenza di marcare la differenza con una proposta di forte impatto». [16]

Dal «conservatorismo compassionevole» del 2000 alla «ownership society» del 2004. Pedemonte: «Il ragionamento di Bush è semplice, e si sviluppa sulla scia delle dottrine liberiste di Reagan. Tradizionalmente, spiega il presidente, i cittadini americani lavoravano tutta la vita per la stessa azienda che garantiva loro assistenza sociale e diritto alla pensione. Ma l’economia è cambiata, i posti di lavoro sono diventati più incerti e questo processo di instabilità sociale è destinato ad accentuarsi rapidamente. Kerry propone di allargare la sanità gratuita a tutti? La ricetta di Bush va esattamente nella direzione opposta: ”Bisogna incoraggiare la proprietà individuale: bisogna che i cittadini abbiano il controllo della loro vita”. E questa dottrina deve essere generalizzata a tutti i settori: dalla casa all’assistenza sanitaria, dalla pensione all’azienda. Ogni americano deve essere incoraggiato a fare da sé, rinunciando all’aiuto dello Stato. Bush pensa che lo Stato debba occuparsi solo di quelli che da soli proprio non ce la fanno». [17]

La redistribuzione del reddito non ha funzionato. Novak: «Bush, in alternativa, propone l’universalizzazione del capitale, che è più facile da redistribuire. In questo quadro la sua ownership society, in cui i cittadini possiedono la propria pensione, la sanità e hanno un interesse diretto nel paese, rappresenta una rivoluzione». [3] Pedemonte: «Durante i 4 giorni della Convention repubblicana le migliaia di democratici che organizzavano eventi creativi a New York mostravano di considerare la rielezione di Bush un evento catastrofico. L’attrice Kathleen Turner è arrivata a dire: ”Credo che ci sarà una rivoluzione se le elezioni non andranno nel modo giusto”. Si sbaglia. Se sarà rieletto, sarà Bush a fare la rivoluzione». [17]