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 2006  gennaio 06 Venerdì calendario

Il massacro di Teutoburgo. La Repubblica 06/01/2005. Durante la visita del duce a Berlino, nel 1936, il camerata Hitler gli fece avere una breve lista dei desiderata nazisti che riguardavano, per la maggior parte, statue o copie di statue dell´epoca classica

Il massacro di Teutoburgo. La Repubblica 06/01/2005. Durante la visita del duce a Berlino, nel 1936, il camerata Hitler gli fece avere una breve lista dei desiderata nazisti che riguardavano, per la maggior parte, statue o copie di statue dell´epoca classica. Sarebbero state sistemate negli atri dei terrificanti edifici parababilonesi inventati dal suo protetto Speer. In fondo alla lista c´era una richiesta differente. I tedeschi volevano il prezioso codice Aesinas che conteneva la Germania di Tacito, custodito nella grande biblioteca del palazzo dei conti Belleani appena fuori Ancona. Ossessionati da pseudoconcetti come quelli della razza e della purezza del sangue, i dirigenti più autorevoli e più fanatici del partito avevano innalzato il testo del grande storico dell´impero romano ad un livello paragonabile al Santo Graal per i cristiani del Medioevo. Non aveva detto Tacito che i germani avevano dato al mondo una razza non mescolata con le altre razze, ma rimasta "propria et sincera", particolare e pura? La richiesta fu lasciata cadere dallo stesso Mussolini, a sua volta fanatico delle legioni romane, seccato da pretese messe giù un po´ brutalmente. Ma Himmler, il sinistro capo delle Ss (era sua la richiesta portata a Mussolini) che vantava un´educazione classica, non era tipo da arrendersi facilmente e dopo qualche anno, a guerra già iniziata, ordinò a Georg von Manckesen, ambasciatore a Roma e un entusiasta latinista, di fare fotocopiare il manoscritto, che comparve stampato in Germania, con una prefazione dello stesso Himmler. Dopo l´8 settembre - da amici che erano, gli italiani erano diventati i disprezzati nemici -, un commando di Ss fu spedito a palazzo Belleani, con l´ordine di impadronirsi a tutti i costi del codice. Le Ss rovistarono da capo a fondo la residenza, ma non trovarono nulla. I Belleani l´avevano portato in un secondo loro palazzo nei dintorni di Jesi. Raccontando questa storia, molti anni più tardi, qualcuno faceva notare che a Jesi, secoli prima, era nato lo Stupor Mundi, Federico II Hohenstauffen, l´imperatore multilingue e multirazziale, allevato come un arabo, che faceva le guerre come un normanno e andava in chiesa come un cristiano. La Germania, uno straordinario saggio di etnologia, in realtà non parla tanto del paese, ma come dice anche il sottotitolo, dei suoi abitanti, i temuti germani. Può essere accaduto che a Berlino, i due dittatori abbiano continuato la conversazione - in tedesco, una lingua fonte di innumerevoli equivoci perché Mussolini la parlava male - confrontandosi sulla battaglia, sarebbe meglio chiamarlo massacro, di Teutoburgo, dove tre legioni di veterani romani la diciassettesima, diciottesima e diciannovesima, insieme con circa diecimila tra civili e alleati, in tutto oltre ventimila uomini guidati da Quintilio Varo, vennero massacrati da un esercito ululante di tremila guerrieri della tribù dei Cherusci, in uno di quei fitti e cupi boschi che deliziano l´anima teutonica. Uno scontro di una violenza senza pari, subito assurto a mito grandioso e sanguinoso e indicato nei secoli come il luogo di nascita dello spirito guerriero nazional-teutonico. Non c´è mai stato nessun altro fatto storico in Germania che abbia suscitato tanta emozione, e stimolato la fantasia degli artisti antichi e moderni fino a Beuys e Kiefer come il massacro delle legioni romane, seguito da una simpatica appendice: quasi tutti i prigionieri vennero bruciati vivi. Adesso il paesaggio è cambiato (molte querce della foresta furono abbattute durante la Guerra dei Trent´anni), quasi nessuno va in pellegrinaggio all´orribile monumento guglielmino eretto sul posto, e in Germania da 50 anni non ci sono più feldmarescialli che appuntano sul petto degli eroi medaglie al valore con rami di quercia e brillanti, e i tedeschi in generale hanno un atteggiamento più rilassato verso la propria storia molto più di quello che avevano i loro padri. E in questo nuovo clima ci si può azzardare a dire che Teutoburgo è stato il contrario di quello che due miti contrapposti andavano raccontando. Il mito dell´invincibilità delle legioni romane, una macchina da guerra terrificante ma che per funzionare andava perfettamente oliata e il mito dei germani puri e duri che affrontavano il nemico di fronte, nudi, biondi e ululanti incapaci di mentire, di preparare trappole o di qualsivoglia azione scorretta. Mentre in effetti il loro capo Arminio, cioè Hermann, sembra un signore un po´ esagitato che non fa altro che mentire, tradire e proporre tutta una serie d´inganni al vero deficiente della storia, il proconsole o governatore della Germania Quintilio Varo. E la battaglia si svolge secondo le regole delle guerre più trucide, cioè senza regole. Su Teutoburgo e soprattutto sulla foresta ha ricamato anni fa Simon Shama, nella prima parte di uno splendido saggio intitolato Landescape and memory, in cui lo storico inglese gira per l´Europa ad auscultare, in luoghi famosi storicamente o geograficamente o per ragioni letterarie, quali vibrazioni e memorie ancora suscitano, continuamente deragliando dall´asse principale e inseguendo temi apparentemente secondari, per curiosità e irrequietezza. Sono divagazioni che nessuno si sognerebbe di fermare, anche perché raccontate con una scrittura da avanguardia narrativa, che ricrea i fatti servendosi di un´immaginazione visiva trabordante, in modo da renderli romanzeschi e irresistibili. Il metodo Shama ha avuto numerosi imitatori e si ritrovano gli echi, non per la scrittura, ma per le divagazioni, con risultati eccellenti, in un nuovo libro sulla battaglia uscito nelle settimane scorse (Teutoburgo IX d.C. di Massimo Bocchiola e Marco Sartori, Rizzoli, pagg.332, euro 22). Il lettore non specialistico ha qui a disposizione un vasto arco di informazioni optional, non strettamente legate alla battaglia, che sembrano entrare nella vicenda come i classici cavoli a merenda e che invece hanno la capacità di incuriosire e di allargare i polmoni soffocati dal chiuso delle foreste teutoniche e dai selvaggi riti che quivi si celebravano. Quanto alla cronaca dello scontro, i romani nell´epoca imperiale leggevano quella di Plinio il Vecchio - sembra impareggiabile - che purtroppo non è arrivata fino a noi. Quello che sappiamo ci viene da Velleio Patercolo e sebbene non chiarissimo in tutti i suoi passaggi non è difficile seguire l´andamento dello scontro ed il progressivo disfarsi del contingente romano. Gli avversari che si trovarono di fronte ma anche sopra le loro teste, erano, come tutti i popoli germanici, comunità dedite alla guerra, come in altri paesi altre popolazioni erano dedite alla coltivazione o alla pesca. I soli modi per farsi riconoscere e per avanzare socialmente venivano dal comportamento in battaglia, e lo status personale, e il rango di ognuno dipendevano dal numero dei nemici catturati o massacrati e da altre non esattamente pacifiche attività. Ma per quanto formidabili, particolarmente efficaci in guerriglie fatte di attacchi improvvisi e di ritirate fulminee e guidati da un esaltato, ma determinato giovane capo, che voleva farsi riconoscere al di fuori della sua tribù, non ce l´avrebbero mai fatta se al comando del contingente romano ci fosse stato qualsiasi altro sperimentato uomo di guerra al posto di Quintilio Varo. Il ritratto di un Varo dedito alla deboscia appresa in Oriente e trasferita in tutt´altri ambienti, di un uomo debole e arrogante, che trattava male i Cherusci perché non sapeva nulla di loro, può essere anche vero. Ma non spiega il piede nell´abisso con cui inizia il trasferimento così pieno di incognite, attraverso un territorio estremamente pericoloso, delle legioni dai quartieri d´inverno a quelli d´estate, quando un fidato, fidatissimo alleato di Roma, durante un banchetto mette sotto accusa di tradimento Arminio, il capo dei Cherusci e incita Varo ad arrestarlo e il proconsole gira la testa dall´altra parte. E Arminio non solo non viene sorvegliato, ma lo si lascia libero di girare per il campo, e poi durante le prime ore di marcia, di andare e venire da un capo all´altro della colonna, come per prendere le misure. Con il loro capo che è nello stesso tempo una quinta colonna, che si finge alleato dei romani mentre prepara la trappola, i Cherusci hanno trovato la migliore occasione per assestare un duro colpo a Roma. E ne approfittano, appoggiati da altre tribù. Il primo attacco arriva alle spalle, nel momento in cui la colonna, impegnata nel far passare i carriaggi nel più fitto dei boschi, si è allungata allargando contemporaneamente le maglie difensive. In poco tempo la retroguardia, leggermente staccata dal resto, viene inghiottita da una massa di guerrieri che sembrano comparire da ogni dove. Poi, con l´abituale, leggendaria disciplina, i veterani riescono a concentrarsi in un assetto difensivo, con gli scudi a testuggine e come un lento semovente raggiungono, sotto una pioggia di lance che continuerà per tutta la durata dello scontro e sarà come un leitmotiv funereo di Teutoburgo, una radura dove trincerarsi. Durante la notte nessuno riposa, perché una metà dei soldati continua a scavare fossati e l´altra sta in piedi armata in caso di attacco notturno. Il giorno dopo la marcia riprende, attraverso acquitrini privi di alberi e subito compaiono i germani che s´accostano solo ad una distanza utile per lanciare i loro giavellotti, ma quando la colonna si reimmerge nella penombra del folto del bosco, eccoli che si accostano con la tecnica del branco dei lupi davanti ad una mandria e con scontri minori, ma sanguinosissimi. Quando Varo si ferma per un secondo campo, le forze romane sono dimezzate e rimangono loro poche possibilità. La migliore sembra quella di sfondare l´accerchiamento tagliando diagonalmente per una scorciatoia verso i quartieri d´inverno. Ma il terreno è infame, in pendenza, scivoloso e durante la notte Arminio lo fa sbarrare da centinaia di tronchi. Quando i veterani tentano lo sfondamento, all´alba del terzo giorno, trovano ad aspettarli i Cherusci questa volta armati di scudi e di gladii romani, che hanno imparato a maneggiare. I legionari sono allo stremo e anche quando si aprono una strada a colpi di spada, sono come risucchiati dal fango che ora è diventato una melma liquida perché un uragano si è scatenato nella notte e i combattimenti sono rischiarati dalla luce improvvisa dei fulmini. La formazione compatta dei romani non tiene, quelli che passano sono dei gruppi senza nessun rapporto con gli altri, e a questo punto si sente il corno di guerra che dà il segnale di attacco generale e per i resti delle tre legioni è la fine. Ci sono delle sconfitte che risultano più utili delle vittorie. Se Varo avesse sconfitto i germani, Roma si poteva illudere di continuare in eterno i suoi sogni di conquista, finendo di logorarsi in guerre costosissime per non occupare realmente territori che non davano che scarsi tributi, perché non esistevano coltivazioni estese, né bestiame da tassare o requisire, come in Gallia, ma solo boschi e paludi. Con la caduta verticale di Teutoburgo l´imperialismo romano aveva ricevuto un alt che faceva bene più a lui che ai suoi avversari, destinati nei prossimi secoli a scannarsi tra loro o a servire come cavalleria quei romani che non li volevano più combattere. Era il trionfo della politica di Augusto che molti anni prima, comprendendo che un imperialismo, per quanto potente, non può essere il poliziotto del mondo, e aveva cercato di ridurre le pretese di un espansionismo inutile, oltre che dannoso. Ma questa non è la lettura abituale che di quell´avvenimento danno gli storici conformisti. Stefano Malatesta