Il Messaggero 19/05/2005, Luigi Vaccari, 19 maggio 2005
Io e mia madre - Giovanni Giudici. Il Messaggero 19/05/2005. Giovanni Giudici ha perduto molto presto la madre, Alberta Giuseppina Portunato: <Avevo tre anni e cinque mesi
Io e mia madre - Giovanni Giudici. Il Messaggero 19/05/2005. Giovanni Giudici ha perduto molto presto la madre, Alberta Giuseppina Portunato: <Avevo tre anni e cinque mesi. Non posso ricordare le reazioni immediate. Ho memoria di un vestito a quadretti, del fatto che andava a scuola, faceva la maestra, e io le chiedevo se mi portava un pezzetto di gesso perché pasticciavo su una piccola lavagna>. Non ha percepito la drammaticità della scomparsa? <Sì che l’ho percepita. Siccome insegnava, non stavo molto con lei. L’ho percepita perché vedevo su di me sguardi compassionevoli: questo bambino senza la mamma... Ma non ero diverso dagli altri bambini, facevo le cose che facevano i bambini della mia età. Poi ho avuto una matrigna che è stata buonissima>, racconta Giudici, 80 anni, laureato in letteratura francese, giornalista dal 1948 (L’Umanità, l’Unità, L’espresso, il Corriere della Sera), poeta, narratore, saggista, traduttore, esperienze alla Questura di Roma (breve), all’ambasciata americana (Usis) e alla Olivetti (lunga). Quando ha cominciato ad andare a scuola ha sofferto di essere orfano? I compagni di classe glielo facevano pesare? <Ho avvertito la sua assenza, quasi dovendomi vergognare di non avere la mamma mentre tutti parlavano della loro. La maestra chiedeva: ”Descrivete la vostra mamma”. E io che cazzo descrivevo?>, sorride. Come se la cavava? <Non lo so. Credo che mi astenessi. Anzi: non volevo nemmeno che si sapesse. Naturalmente si sapeva, perché vivevo nella realtà molto limitata di un paese>. Dove? <Qui, dove sono nato e sono tornato, dopo una lunga permanenza a Milano, nel 1992: a Le Grazie, una frazione di Portovenere alla Serra di Lerici>. Nella stessa casa? <No: non nella stessa casa. In un’altra, non molto distante. Questa casa dove sto, che ho acquistato pochi anni fa, credo che fosse quella dove erano vissuti mio padre Gino e mia madre, per qualche tempo>. Prima che lei nascesse? <Prima che nascessi io... Scusi un momento: Marina, mia moglie mi somministra una pillola>. E dopo una pausa: <Le ho detto che la pillola è andata>, sorride. Crescendo è accaduto, anche inconsapevolmente, di utilizzare quella perdita per ottenere affetto, comprensione, solidarietà? <No>, risoluto. <No no. Anzi mi infastidiva. Avevo la matrigna, che era un donna molto limitata ma mi voleva anche molto bene>. Quando ha capito la gravità della sua morte? <Adesso, da vecchio. Eh, sì. Neanche da ragazzo: da ragazzo mi comportavo come tutti i ragazzi. Magari qualche volta avrò ricevuto qualche sguardo pietoso, che mi seccava ovviamente>. Suo padre suppliva, per quello che poteva, all’assenza? <In modo negativo, pover’uomo>. Perché? <Perché, come dire?, io in qualche modo ero, non dico innamorato... insomma avevo per lui un affetto, che forse era anche corrisposto, ma molto egoisticamente: quasi come possesso... Non so come, non vorrei dirlo questo, si serviva di me>. In che senso? <Affettivo, ma... siccome ero un bambino bravo, intelligente>, sorride, < mi usava per ottenere credito. Non con malevolenza, eh...>. Nel penultimo libro che ha pubblicato con Garzanti, Empie stelle, poi confluito nel Meridiano della Mondadori I versi della vita, una poesia, ’Quiero Llorar’, che lo apre, ed è un verso di Garcia Lorca, dice: ”Ti ho già detto tutto - / Ora sola mi resta / Questa voglia di piangere / La notte sul cuscino sempre asciutto”. Giudici sembra volersi schermire. La voce si affievolisce, quasi fino a spegnersi: <Sono così... Questa sezione è dedicata alla madre>, sussurra. Sfoglia lentamente il Meridiano che ha sulle ginocchia: <Le ginocchia non sono un buon appoggio>. A pagina 1026 legge con forte partecipazione i versi di ’Stigma’: <’Corrughi i sopraccigli e ti si incide / Al punto che convengono uno spacco / Di nascosta ferita - / Non sempre si appalesa / La riapre l’offesa della vita /...”>. Anche ’Eclampsia’, appena più avanti, è un ricordo, questo straziante, di sua madre? <Eh, sono versi che raccontano un po’ di questa madre: ”Io sì la vidi - / raccontava il dottore seppellito / All’unico poi vivo di quel grembo / Per timore di Dio per ubbidienza / O spenti infanti gridi / Lei vi faceva nel suo sfatto tempo / Finché sul quinto parto un’eclampsìa / La portò via con l’ultima / Pupattola celeste... / Ora so la tua sacra malattia”... Mia madre è morta di eclampsìa da parto: sono le convulsioni; poi è sopravvenuto un arresto cardiaco. Nell’età adulta, ma molto adulta, ben oltre i 40 anni, non come fatto pubblico, ma come sentimento privato, come stato d’animo, ho sentito questa assenza, questo vuoto>. Cos’è che le mancava? <L’eros. Eh, beh: in fondo ogni figlio... Il rapporto psicologico che ogni figlio ha con la madre; il rapporto vero, che è erotico. L’ho avvertito come un modo di pensare adulto. E intellettuale>. Le parla? Le accade? <No, no. Questo pensiero... Non particolarmente>. Non ne ha mai sentito il desiderio? <No, no. Non ci si può rivolgere... Non ho mai fatto invocazioni: madre, mamma. No, no. Nelle mie poesie non c’è mai un allocutivo, eh?, rivolto alla madre>. Ma nei suoi versi l’ha inventata. E celebrata. <Una poesia che si chiama ’Spina’, penso alluda a quella, dice: ”Narrata, innamoravi / chi di te udiva - ti inventavo io / Inusabile, austera / Pensarti un grembo era pensare Dio: / Blanda affondata spina / Nel fianco delle notte d’occhi aperti / Ti chiedo se mai fu / Tuo avermi il non averti”. Per dire questa assenza: il ”tuo avermi” perché preso dal suo pensiero. Ma non si celebra...>. Le hanno detto di lei, gliel’hanno raccontata? <Me ne parlavano i suoi parenti: una sua sorella, che è stata una zia a me molto affezionata; suo padre; la sua matrigna (anche lei aveva avuto una matrigna). Non dei lunghi racconti. Anche a Le Grazie ero guardato spesso in modo affettuoso, ma pietoso, come le ho detto, quindi fastidioso. ”Gli occhi di sua madre...”, mi dicevano per compiacermi. Ho fatto Empie stelle, dove per la prima volta parlo di lei, per cui sì, a un certo punto, facendo un discorso più difficile, la sua immagine è venuta a essere l’equivalente di un eterno femminino. Ma non su base libresca. Cioè: mi sono reso conto che è stata, dal punto di vista anche della mia vita sentimentale, una fortissima assenza>. Allora la pensa? <No, no no. Può darsi che uno poi invochi la madre nel momento in cui sta per morire. Per fortuna ancora sono vivo>, sorride Giudici. Non l’ha invocata neanche quando nel 1985 è stato colpito da un’ischemia cardiaca che l’ha costretto in ospedale? <No. Perché non si può invocare il nulla>. Ma è un nulla presente. <E’ la presenza di un’assenza>. Luigi Vaccari