La Stampa 03/01/2006, pag.16 Michela Tamburrini, 3 gennaio 2006
«Cominciò in sordina ora è una passione». La Stampa 03/01/2006. C’è chi canta per mestiere e chi canta sotto la doccia, al riparo da orecchie indiscrete
«Cominciò in sordina ora è una passione». La Stampa 03/01/2006. C’è chi canta per mestiere e chi canta sotto la doccia, al riparo da orecchie indiscrete. Chi canta bene e si scopre quest’amore in un secondo momento e chi cova la passione per una fetta importante di vita. Simona Marchini appartiene a quest’ultima categoria di gente che l’arte la sente sulla pelle. Che sia un quadro, un passo di danza, un gorgheggio. Lei però sul canto aveva sognato e al canto è infine arrivata Signora Marchini, che cosa ha portato un’attrice di successo a provarsi addirittura nella lirica? «Si tratta di una grandissima passione frustrata. Da bambina sognavo di fare il soprano ma i miei genitori non ebbero il coraggio di scommettere su questo mio desiderio, di mandarmi al conservatorio. Così proseguii negli studi fino all’università». A quel punto era troppo tardi? «A quel punto nella mia vita incominciò a succedere di tutto; disgrazie, dolori, matrimoni falliti. Decisi che dovevo venirne fuori e così cominciai a fare l’attrice. Era il 1979, con Romolo Siena, poi arrivarono Arbore e tante cose belle, sono stata fortunata. Quando proprio meno ci pensavo, nel 1988, mi chiamarono per affidarmi la regia di un’opera teatrale. Per inciso bisogna dire che ora si usa vedere attori che diventano registi d’opera ma allora no. Io rimasi sbalordita della proposta anche se la mia passione per la musica era conosciuta». Di che cosa si trattava? «Di un’opera di Puccini. Ci misi l’anima e andò bene. Ma non era finita lì. Cantare, canticchiavo. In macchina con il grande baritono Leo Nucci mi divertivo a intonare delle arie. Fu lui a propormi di mettere su ”Le convenienze teatrali” di Donizetti, operina deliziosa, molto recitata. Questa stranezza la proponemmo alla Fenice di Venezia e con mio sommo stupore, risposero entusiasti. Si aprì per me un periodo di studio senza pause, religioso. Io non leggo bene la musica per cui studiavo a orecchio. Così approdai terrorizzata a Venezia. Il primo giorno di prove con l’orchestra ebbe uno choc, mi scusavo tutti i minuti, ero sempre in ritardo. Mi aiutarono moltissimo. Fu un’esperienza meravigliosa tanto che riuscii a partecipare con la dignità di un’attrice. Il gioco era scoperto, cantavo con il microfono, non una che si voleva spacciare per cantante, si doveva capire che io appartenevo a un altro mestiere». Ma perché questa passione per il canto? «Cantare è una delle gioie più assolute della vita, sento le energie che si muovono dentro di me mentre canto, una terapia unica, un’emozione fortissima, coinvolgente. E’ chiaro che non avendo studiato e non avendo formato la voce non posso fare molto ma ugualmente è bello. Ho delle amiche che la sera vanno a cantare in coro e sono felicissime. Lo sa dove sta il problema? Nel fatto che la gente canta poco. Io appartengo a una generazione che cantava molto di più. Cantavano le cameriere, noi ragazze compagne di scuola, cantava il cascherino del garzone, i contadini in campagna. Mi ha detto un esperto che il motivo per il quale nei paesi industrializzati ci sono meno cantanti lirici è dovuto proprio al fatto che la gente non esercita più la voce». Michela Tamburrini