Paola Jacobbi Vanity Fair, 02/09/2004, 2 settembre 2004
Cicli e ricicli: torna Er Monnezza, Vanity Fair, 02/09/2004 Monnezza, torna! Tutto è sdoganato. Sei parte anche tu dell’ultimo grido in fatto di tendenze postmoderne: la rivalutazione del cinema trash ovvero spaghetti-western, horror all’italiana, poliziotteschi un tanto allo sparo
Cicli e ricicli: torna Er Monnezza, Vanity Fair, 02/09/2004 Monnezza, torna! Tutto è sdoganato. Sei parte anche tu dell’ultimo grido in fatto di tendenze postmoderne: la rivalutazione del cinema trash ovvero spaghetti-western, horror all’italiana, poliziotteschi un tanto allo sparo. Questi generi saranno l’oggetto di una rassegna presentata alla Mostra del Cinema di Venezia. Rassegna che potrebbe intitolarsi «vamos a matar / con una calibro 9 / in una notte de horro edde paura» e che invece, siccome sta in un festival prestigioso, è curata dalla Fondazione Prada con la collaborazione di Joe Dante e di Quentin «cool» Tarantino, e si chiama Italian Kings of B. Tra i titoli scelti dai registi, anche lo spaghetti-western Corri, uomo corri di Sergio Sollima. Protagonista Tomas Milian, attore cubano che fece fortuna in Italia grazie a Er Monnezza, sbirro coatto di undici film fortunatissimi al botteghino e sbertucciati dalla critica. La commistione trasversale tra cultura alta e bassa, che tanto va di moda, Milian l’ha anticipata e vissuta in prima persona. Era Er Monnezza ma anche un attore scelto da Bolognini, Antonioni, Bertolucci, Pasolini. La sua è una filmografia sull’ottovolante. E la biografia pure. Milian è stato ragazzo bene dell’Avana ai tempi di Batista, benzinaio e parcheggiatore a Miami, allievo squattrinato dell’Actor’s Studio a New York. Poi ci sono stati il successo in Italia e un ciclo infernale di autodistruzione, fuga dal mondo e, infine, ritorno al cinema (anche in Traffic di Steven Soderbergh) e alla vita. Non rimpiange niente, Tomas Milian. Men che meno Er Monnezza. Al punto che ha appena scritto, in collaborazione con l’italiano Manlio Gomarasca, un libro autobiografico, Monnezza, amore mio, che uscirà nel 2005 presso l’editore Cinemabis Communications. Abbiamo rintracciato Milian a casa sua, a Miami. Ha 72 anni e parla in perfetto italiano, con incursioni nel romanesco, nell’inglese e nello spagnolo. Che fa di bello, signor Milian? «Ho appena finito di girare The Lost City, diretto e prodotto da Andy Garcia. E presto interpreterò Trujillo, il dittatore di Santo Domingo, nel film che Lluis, il figlio dello scrittore Mario Vargas Llosa, ha tratto dal romanzo di suo padre, La festa del caprone». da molto che vive a Miami? «Qualche anno, ma tra poco ce ne andremo. Io e mia moglie (l’italiana Margherita Rila Valetti, stanno insieme da 45 anni, ndr) pensiamo di trasferirci a New York dove vive nostro figlio, Tomaso, che fa il graphic designer e ha appena avuto una bimba: Emma. Vogliamo fare i nonni». Claudio Amendola, il cui padre Ferruccio era la sua voce italiana, sarà Er Monnezza in un film in preparazione. Che cosa ne pensa? «Fantastico. Claudio è un grande attore, di quelli che io adoro: è verace, senza vizi accademici. E sarebbe un’idea mica male se io facessi il padre del Monnezza, che torna da viaggi lontani». Lei è ancora affezionato al Monnezza. Eppure ha lavorato anche con Pasolini, Bolognini, Antonioni, Bertolucci... «Ma Er Monnezza è la mia creazione migliore! Ho inventato io il suo look e spesso ne scrivevo le battute. Certe anche in rima. Gliene dico una, lei non si scandalizza, vero? ”A’ Galeazzo, non c’ho ’na lira e t’attacchi ar cazzo”». Poetava in romanesco ma veniva doppiato... «Amendola lo scelsi io, era il migliore. L’unico che potesse farmi accettare questa faccenda del doppiaggio che io, arrivato dall’Actor’s Studio, consideravo sminuente per un attore». Tarantino sdogana il cinema trash alla Mostra di Venezia. Ha ragione? «Si ricorda il Carosello in cui Ernesto Calindri diceva ”Il signore sì che se ne intende”? Tarantino se ne intende. Dietro a quei film c’era un impegno pazzesco. E il pubblico lo capiva. Il fatto che io lavorassi in quei film ma anche nel cinema d’autore è la dimostrazione che ogni divisione tra serie A e serie B è una sciocchezza classista». più orgoglioso del Monnezza o di essere stato diretto anche da Luchino Visconti? «Non sono questi i termini. Er Monnezza ha avuto il successo che ha avuto perché ci mettevo la stessa cura che avrei messo in un film d’autore». Perché venne in Italia? «Arrivai con uno spettacolo, una pantomima di Jean Cocteau, al Festival di Spoleto. Mi vide Bolognini e mi propose un film. Io ero pieno di buffi (romanesco per debiti, ndr), accettai. andata bene. Lavoravo con tutti. Guadagnavo un sacco di soldi. Un film tirava l’altro. E io cominciai a tirare cocaina. Volevo essere all’altezza del mio successo, controllare tutte le insicurezze. Bevevo, anche, ero devastato. Quando girai La luna di Bertolucci stavo proprio toccando il fondo». Era il 1979. Poco dopo, sparì. Dove andò? «Fuori di testa! Dovevo lasciare Roma, il cinema, tutto. Lo capii proprio durante la lavorazione de La Luna. In una scena si ascolta il finale del Ballo in Maschera dove un’aria dice, più o meno, ”cadavere sarai domani, se qui rimani”. Andai in India. Anni dopo, ripulito, mi presentai in un’agenzia di New York. Avevo 52 anni e volevo lavorare. Mi guardarono come un pazzo. Ma io, in India, avevo imparato l’umiltà. E l’umiltà mi portò a fare uno di quei provini di massa che in America chiamano cattle call, convocazione della mandria. La casting director lesse il mio curriculum e gridò: ”Ma lei è una star!”. E io: ”Veramente adesso sto in un buco nero”. Però è stata carina e mi ha mandato il copione a casa per evitarmi l’umiliazione di stare in mezzo al gruppo. Qualche giorno dopo mi convocano per un’audizione. Fa capoccella Robert Redford: il provino era per Milagro. Non andò bene, ma io gli dissi: ”Credo nel destino, prima o poi faremo un film insieme”. Tempo dopo, ci ritrovammo. Sydney Pollack mi aveva chiamato per Havana». Sua moglie le è sempre stata accanto, nella buona e nella cattiva sorte. Che mi dice di lei? «Dico: ”Poveretta!”. Anche se so che quando lo leggerà s’incazzerà. una donna schietta, materna, fortissima. Per me, ha tutti i pregi del mondo! del segno del Cancro, ha presente le donne del Cancro? Scusi, ma io parlo troppo. Come farà poi a mettere il tempo di lettura in fondo all’articolo? un’ora che siamo qui e ho notato che voi mettete sempre al massimo dieci minuti...». Come fa a saperlo? «Leggo ”Vanity Fair” tutte le settimane, lo compro qui a Miami. Io sono italiano. Non solo per cittadinanza, lo sono nel cuore. Ma questo, se teme che possa passare per una ruffianata, non lo scriva». Lo scrivo. Perché Er Monnezza non mente. [Tempo di lettura previsto: 7 minuti] Paola Jacobbi