Ugo Riccarelli Il Sole-24 Ore, 22/08/2004, 22 agosto 2004
Shizo Kanaguri iniziò la sua corsa ai Giochi di Stoccolma nel 1912 e la finì 54 anni e 8 mesi dopo, Il Sole-24 Ore, 22/08/2004 I Giochi Olimpici moderni si svolgono su un ventaglio di discipline davvero molto ampio, che si è allargato ben oltre le tradizionali specialità «classiche» dell’antica Olimpia
Shizo Kanaguri iniziò la sua corsa ai Giochi di Stoccolma nel 1912 e la finì 54 anni e 8 mesi dopo, Il Sole-24 Ore, 22/08/2004 I Giochi Olimpici moderni si svolgono su un ventaglio di discipline davvero molto ampio, che si è allargato ben oltre le tradizionali specialità «classiche» dell’antica Olimpia. Ognuna di queste ha una propria storia, recente o remota, propri eroi e relative gesta, tanto che si tratti di maestri del badminton o, come nel caso del recente successo del nostro arciere Marco Galiazzo, di eroi dall’aspetto mite, la vista miope corretta da un paio di occhiali e una mira infallibile una volta imbracciato un arco e un pugno di frecce. Uomini e donne, persone che dedicano mesi e anni di passione, di sogni, di fatiche, a limare un tempo o a perfezionare una tecnica per riuscire a scrivere una pagina che rimanga per sempre. Un record, un segno che indichi eccellenza e valore. In fondo, il lessico di quel racconto che tramanda le gesta degli uomini di sport. In attesa che con l’inizio delle gare di atletica leggera, la seconda settimana di Giochi di Atene ci porti qualche altro episodio di questo racconto, credo valga la pena di ricordare, tra tutti questi record, forse il più strano e il più umano. L’anno era il 1912, le Olimpiadi quelle di Stoccolma e Shizo Kanaguri un ottimo fondista giapponese che, seppure sconosciuto in Occidente, era stato capace di correre nel suo paese la distanza della maratona in 2 ore 32 minuti e 45 secondi, tempo di tutto rispetto per l’epoca. Va detto che, in quegli anni, il Giappone era davvero un luogo esotico e quasi sconosciuto, che si stava aprendo all’Occidente con mille cautele. Le Olimpiadi di Stoccolma furono una di quelle occasioni e videro la delegazione nipponica (due atleti e quattro giudici!) giungere in Svezia dopo un viaggio epico di quasi un mese, per nave e poi con la Transiberiana. A dispetto dell’idea che ci facciamo noi latini dei Paesi nordici, il giorno della gara il clima era torrido e umido, tanto che molti atleti accusarono eccessiva fatica, crampi, insolazioni, e uno, il portoghese Lazaro, stramazzò addirittura ai bordi della strada senza più vita. Kanaguri resistette bene a quel calore, filò via sicuro e forte dei suoi venti anni, con un buon passo, tra le prime posizioni. A circa tre quarti della corsa però successe che quel caldo infernale lo prese alla gola, una mano così stretta che non lo lasciava respirare. Di fronte a una casa, lungo il percorso, Kanaguri vide uno spettatore che stava bevendo un succo di frutta. Allora s’arresto davanti a lui e con gli occhi appannati dalla stancheza fissò quel liquido che senz’altro gli apparve oro, ambrosia, nettare divino. Lo svedese capì, e fece cenno al ragazzo di entrare in casa. La morsa dell’arsura ancora attorno al collo, Shizo probabilmente pensò che una breve sosta non avrebbe compromesso nulla. C’erano ancora dodici chilometri da fare ed era in buona posizione: una bevanda per riprendere forza, un minuto di riposo e poi sarebbe ripartito per cercare la gloria e la vittoria. Si sedette sulla poltrona che l’ospite gli indicò, trangugiò il succo di frutta e probabilmente vide il Paradiso, così appoggiò un attimo la testa allo schienale mentre allungava le gambe per sciogliere i muscoli induriti. Fu lì che gli dèi vigliacchi gli giocarono il tiro. Fu il fresco della bevanda che l’abbracciò tutto come una madre, mentre il buio sotto le sue palpebre si allargò come una coperta piena di dolcezza che lo cullò fino a farlo addormentare di botto e come un sasso. Quando si svegliò era già mattina, la corsa era terminata da oltre dodici ore e la polizia svedese lo stava cercando con apprensione. Il mondo gli cadde addosso, il sogno della vittoria infranto e, assieme la vergogna per la meschina figura cui aveva ridotto la spedizione del suo Paese. Con che faccia si sarebbe potuto ripresentare a casa? La storia qui si ingarbuglia. Qualcuno dice che Shizo trovò solo due anni dopo il coraggio per tornare, altri sostengono che fu rimpatriato di forza, in silenzio e senza far troppo rumore, per coprire l’onta di un guerriero che si era addormentato il giorno della battaglia. Passarono gli anni, gli uomini si uccisero in due conflitti mondiali. Scoppiarono epidemie e la guerra fredda, e nel frattempo le generazioni si rinnovarono assieme alle tradizioni e agli eroi. Shizo Kanaguri continuò a vivere e vide tutto questo, vide il Gran Sole di Hiroshima e l’Imperatore sconfitto, Tokyo diventare Tokyo e il Giappone aprirsi al mondo e alla modernità, ma per 55 anni egli continuò a vivere con la mano della sete ancora e sempre stretta attorno al cuore, finché nel 1967 si decise a togliere per sempre quel fuoco dalla sua gola e tornò in Svezia, di fronte alla casa in cui, in quel maledetto giorno della sua giovinezza, si era addormentato sognando la gloria. Aveva 75 anni Shizo Kanaguri, e con passo lento ma sicuro, come se si svegliasse dal riposo ristoratore di mezzo secolo prima, quel giorno portò a termine la sua maratona. Tagliò il traguardo tra gli applausi di chi l’aveva aiutato a scrivere l’ultima parola di una storia piena di dubbio, di sofferenza, di volontà, di quel particolare amore che lega gli uomini alle nuvole. I cronometri scattarono e finalmente venne registrato il tempo: 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 32 minuti e 20 secondi per svegliarsi da un sogno. Ugo Riccarelli