Carlo Bonini, Giuseppe D’Avanzo la Repubblica, 24/08/2004, 24 agosto 2004
Le Olimpiadi di Shabtai: vittorie, affari e tanto sesso, la Repubblica, 24/08/2004 Lagonissi. La spiaggia di conchiglie bianche del Grand Resort è lucente nel sole
Le Olimpiadi di Shabtai: vittorie, affari e tanto sesso, la Repubblica, 24/08/2004 Lagonissi. La spiaggia di conchiglie bianche del Grand Resort è lucente nel sole. Il luogo è esclusivo e panakrivo, molto caro. Quaranta ombrelloni e ottanta lettini coperti di morbida spugna blu. Le ragazze - bellissime, le gambe lunghissime, lunghissime - sono distese al sole, l’una accanto all’altra. Hanno abbronzature oro brunito, tanga infinitesimi «a scomparsa», tatuaggi tribali sulle natiche e Shabtai le guarda con ammirazione sincera. «Può essere un culo più incantevole?». Ride di cuore. «Lasciatelo dire a un piccolo ebreo come me?». Shabtai Kalmanovich, 56 anni, lituano di Kaunas, «ricco da far schifo» dice, è oggi molte cose insieme, come vedremo. Ieri è stato agente del Mossad e contemporaneamente al servizio del Kgb, spia doppia e tripla - dunque - tirato fuori dalla galera di Tel Aviv per un accordo tra i governi di Mosca e di Gerusalemme che, nel 1993, ha consentito di nuovo agli ebrei russi di espatriare verso Israele. Per il momento, è sufficiente dire che Shabtai è team manager della nazionale femminile russa di basket. Shabtai ha un’idea dello sport che può far inorridire i «soloni» del Comitato Olimpico Internazionale. Ma d’altronde Shabtai, quei «parrucconi», li disprezza. Pensa che siano i più autentici nemici degli atleti. «Le Olimpiadi sono gioia, incontro, curiosità, amicizia, vitalità e quindi sesso. I burocrati del Cio non possono capirlo e costringono gli atleti a condurre durante i Giochi una vita di merda in un lager di piccole celle con bagni comuni. Cattivo cibo. Cancelli e controlli ovunque. In luoghi lontani e, comunque, sempre separati dal mondo. La prossima volta sarebbe un’idea organizzare i Giochi a Guantanamo. Perché no? Da quelle parti è già tutto pronto: i cancelli, le celle, il luogo è a prova di sicurezza. Io non voglio far vivere così le mie ragazze. Come vedete (Shabtai guarda il mare scintillante e i corpi delle ragazze e il suo ventre lucido di sudore), mi sono organizzato meglio. I giochi olimpici, io credo, devono essere un bel posto, buon cibo, sole, buoni incontri e, naturalmente, buone scopate». Alle Olimpiadi, a quanto pare, c’è posto anche per uomini come Shabtai e per le sue ambizioni. Ecco, allora, la storia delle Olimpiadi di Shabtai, negli anni 70 advisor di Golda Meir e negli anni novanta advisor e amico di Vladimir Putin, appassionato di basket, «costruttore di squadre vincenti» come lo ”Zalgiris” di Kaunas, la squadra del mitico Arvydas Sabonis, una volta vivaio del basket sovietico, campione d’Europa 1999 (uomini) o, come lo ”Ummc” di Ekaterinburg, campione d’Europa 2003 (donne). «Per questo potete scrivere che sono l’unico bisessuale del basket mondiale e soprattutto un amico dell’Italia». Shabtai crede che le Olimpiadi delle sue atlete debbano essere una vacanza nella convinzione che o lo sport diventa felicità di atleti e godimento di spettatori oppure è destinato a diventare soltanto spot pubblicitario, a vantaggio di pochissimi. «Voi pensate che Irina giocherà male nei prossimi giorni?». Irina Osipova, 23 anni, pivot da un metro e novantotto, è in acqua con il suo uomo. Stringe le lunghe gambe intorno al collo del ragazzo in un gioco d’acqua che ormai va avanti da una buona mezz’ora. *** A Shabtai piacciono le brigate allegre e i soggiorni delle cestiste russe al ”Grand Resort” si arricchiscono della presenza e dell’inventiva del più famoso cabarettista di Russia, Vladimir Vinokour, di un famoso cantante, Lev Lechenko, della grazia di un ballerino scenografo, Boris Mojsejev. E finanche del vicepresidente della Duma, Arthur Chilingarov. Tutti innamorati dell’Italia. Oceanologo, il numero due Parlamento russo, ultimo eroe dell’Unione Sovietica per una sua impresa in Antartide, a quanto dice, sta lavorando «grazie all’impegno di Berlusconi a un progetto che vuole ricordare l’impresa di Umberto Nobile». Boris Mojsejev, il ballerino, «adora» Raffaella Carrà, con cui ha anche lavorato per Rai2. Vinokour, il cabarettista, adora solo Putin, in verità. Mostra sul cellulare la foto scattata alla sua festa di compleanno, celebrata qualche settimana fa. Il presidente russo è accanto a lui, sorridente. Anche Anna Arkhipova adora l’Italia. sdraiata accanto a Shabtai. Anna ha giocato a Venezia ed è point guard, capitana della squadra olimpica e, da tre mesi, «la signora Kalmanovich». C’è una storiella che gira al Villaggio Olimpico. I malumori in un team italiano, e soprattutto una memorabile sfuriata dell’allenatore, sarebbero stati l’effetto di una scapestrata notte di un atleta azzurro, allegramente accompagnato da due russe. Cestiste? Shabtai guarda Anna. «Ne sai qualcosa tu?». Anna dice «no, ma mi posso informare». «E poi, se pure fosse, che ci sarebbe di male?», chiede. E Shabtai: «Nulla, of course, se hanno usato il preservativo». Shabtai gode delle atmosfere eccitate che riesce a creare intorno a lui. «Non è bello qui? E ora, pensate a come avremmo dovuto vivere per tre settimane ad Atene secondo i burocrati del Cio. Siete stati al Villaggio Olimpico? Stanzucce dove c’è a malapena spazio per due letti e due piccoli tavoli. Due docce per ogni otto ragazze. Nessuna possibilità di lavarsi un indumento. Vogliamo parlare del cibo? Uno schifo. Dirlo cattivo è esagerare. Dirlo pessimo è un’approssimazione. Volete spiegarmi perché le prestazioni sportive dovrebbero essere migliori di quel che viene inflitto agli atleti? Ne è venuto fuori che abbiamo perso con l’Australia. Così mi sono detto: Shabtai, le cose qui bisogna prenderle in mano e ho messo su quel che vedete. Non vi sto a dire che da allora abbiamo sempre vinto. Le ragazze dormono al Villaggio Olimpico per quel poco che è necessario e, prima e dopo le partite, vengono qui, al Grand Resort. Ogni tre giorni, mi faccio arrivare da Mosca, gli ingredienti base della nostra cucina. A cominciare dal caviale. Nel mio frigo-bar ne ho quattro chili di rosso e quattro di nero. Dunque, buon cibo, il sole, il mare e, naturalmente, se vogliono, sesso. Anche nella Russia sovietica le squadre nazionali andavano in giro con un team manager. Era sempre un ufficiale del Kgb. Con due missioni. Uno: evitare che gli atleti scappassero a chiedere asilo politico in Occidente. Due: evitare che facessero sesso. Si sa, i regimi totalitari sono sessuofobici. Io invece penso che per avere una buona prestazione sportiva devi innanzitutto avere la testa sgombra. Se per avere la testa sgombra, ti occorre fare del buon sesso, io dico: fallo! Questo dico alle mie ragazze e devo dire che mi ascoltano. Solo in due sono venute qui senza il loro uomo. Che dite, è meglio avere il proprio uomo accanto o starsene ad Atene e pensare che quel diavolo ne sta facendo di tutti i colori a Mosca?». *** Quando gli ufficiali del Kgb accompagnavano alle Olimpiadi gli atleti dell’Unione Sovietica, Shabtai - conosciuto anche come Sabatjus Kalmanovicius mentre oggi si firma Von Kalmanovic - era uno di loro. Una spia del Kgb, infiltrata nel Mossad israeliano. Le cose, per lui, si mettono male nel dicembre 1987 quando gli israeliani lo arrestano per spionaggio. Reo confesso, se la cava con una condanna a nove anni. Ne sconta poco più di sei. Nel marzo 1993, il presidente israeliano Chaim Herzog lo grazia e lo rimpatria in Russia. Quella clemenza, spiega una nota di Herzog, «apre la strada al ritorno degli ebrei russi in Israele». L’8 novembre di quell’anno, la Corte distrettuale di Tel Aviv desegreta gli atti del processo. Vi si legge: «Arruolato prima dal Gru (il servizio segreto delle Forze Armate) e quindi dal Kgb, dal 1972 Shabtai Kalmanovich ha lavorato per l’Unione sovietica con l’incarico di raccogliere e trasferire informazioni sulla situazione politica ed economica in Israele, sui suoi esponenti politici di spicco, ha tentato di infiltrare i servizi di sicurezza e il Likud». Chiusa l’avventura spionistica dell’epoca dei due blocchi, non è che Shabtai se ne stia con le mani in mano. Un rapporto del 2001 della Cia, trasmesso alle intelligence occidentali e firmato dal vice-direttore dell’Agenzia Jack G. Downing, definisce Kalmanovich «soggetto ampiamente noto nella fiorente comunità criminale dell’Est europeo come fixer (snodo). Dal suo ufficio di Budapest, mantiene contatti con un certo numero di Paesi compresa la Spagna dove la mafia russa ha stabilito la propria testa di ponte». Nello stesso rapporto, Jack Downing, un leggendario case officer della Cia, scrive ancora: «Kalmanovich è la fonte dei documenti israeliani con cui viaggia Semyon Yukovich Mogilevich. Data la facilità con cui li ha ottenuti, è possibile che Kalmanovich continui ad avere contatti in Israele». Mogilevich, per l’intelligence inglese (Mi5), «è uno dei principali criminali nel mondo» («one of the world’s top criminals»). Shabtai taglia corto. «Sono storie di venti anni fa. Posso solo dire che non ho mai spiato contro Israele altrimenti non avrei mai ricevuto la grazia, non mi sarei potuto sposare a Gerusalemme con Anna, come ho fatto nei mesi scorsi. Il mondo è cambiato. Non ho commesso nessun crimine. In quel tempo lontano ho soltanto lavorato per il mio paese». E Mogilevich? « dimostrato che si tratta di un errore. Conosco Semyon Mogilevsky che non è il Semyon Mogilevich ungherese, ma un produttore che vive in Israele. Tutto qui. Nessun mistero o impiccio». *** Shabtai ora bacia la schiena di Anna, assopita al sole. Scherzando, dice: «Questa donna oggi ha deciso di non amarmi e mi tratta manco fossi uno di quei burocrati del Cio». La sola sigla Cio produce una smorfia nella faccia di Shabtai. «Vi racconto che cosa sono capaci di fare questi signori in giacca blu con lo stemma dei cinque cerchi. Ne dico una. Dopo le partite, le ragazze aspettano sotto il sole l’arrivo di un pulmino, mentre si vedono sfrecciare davanti le mercedes, i Suv e gli shuttle dei burocrati del Cio. E allora, domando: chi è che manda avanti lo spettacolo, il Cio o gli atleti? Vi confesso il mio sogno: mandare i dirigenti del Cio al Villaggio Olimpico e gli atleti negli alberghi a cinque stelle, dove oggi sono i dirigenti del Cio. Il mio sogno è invertire la gerarchia tra gli atleti, che sono i veri artisti dello spettacolo, e chi lo organizza (il Cio), preoccupato soltanto di mettere le mani nella cassa, farsi pagare alberghi a cinque stelle, mangiare a sbafo nei ristoranti migliori. Questa sarabanda delle Olimpiadi è incomprensibile da un punto di vista organizzativo. State a sentire. una catena di cinque anelli, come i cerchi dei Giochi. Primo cerchio, il Cio internazionale. Secondo, il Comitato organizzatore greco. Terzo, le Federazioni internazionali delle singole discipline che organizzano le gare. Quarto, le Federazioni nazionali che selezionano gli atleti. Quinto, i Cio nazionali che sono gli spalloni del denaro. Lo raccolgono dai loro governi, lo portano a Ginevra. Ditemi voi: chi comanda questa sarabanda? Nessuno. un gioco di equilibri per soddisfare gli appetiti di ciascuno. Invece, è necessario che qualcuno comandi nell’interesse degli atleti. La nuova ricetta deve essere elementare. L’atleta deve tornare al primo posto della catena e i Giochi devono essere quel che tutti pensano debbano essere: un momento di incontro, di amicizia e - perché no, ragazzi? - di sesso. Da parte mia, da oggi comincio a lavorare a questo progetto. Quella di Atene è la mia prima Olimpiade e non credo sarà l’ultima». *** Ci si allontana dalla spiaggia di Lagonissi con un rovello. La voglia di entrare nel business olimpico di Shabtai Kalmanovich, di mutarne le regole e gli assetti di potere è il desiderio di un uomo che, troppo rilassato in un giorno d’estate, parla troppo e troppo in libertà o Shabtai Kalmanovich è la testa di ponte di un nuovo e non cristallino potere finanziario che comincia a guardare allo sport olimpico come a un business molto promettente? Shabtai la mette così: «Questi ragazzi sono degli artisti. Gli artisti offrono uno spettacolo che nessun’altro può offrire. Lo spettacolo, che produce ricchezza, ha bisogno di produttori che lavorino per gli artisti. Non siete d’accordo?». Carlo Bonini, Giuseppe D’Avanzo